La doppia linea rossa
L’emergenza chiama, Leu risponde. Ma non tutti sono per la “grande coalizione repubblicana”
Roma. Nella giornata pazza che parte con l’idea di avere ormai Carlo Cottarelli sulla via del governo-traghettatore (verso il voto), e che si chiude senza che Cottarelli faccia dichiarazioni ma con il grido quasi unanime di “elezioni subito”, la sinistra a sinistra del Pd viene catapultata al bivio delle grandi decisioni: sembrava di avere poco tempo, ce n’è ancora meno. Le scelte separatiste del passato sembrano avere presentato il conto, ma fare scelte diverse per molti equivale al rischio scomparsa. E se l’altroieri c’era chi (Paolo Cento, Leu, sul Corriere) ipotizzava la larghissima coalizione antisfascisti (“se Lega e Cinque stelle si presentano insieme, bisogna che ci uniamo tutti e io in quel caso non direi no nemmeno a Berlusconi”), e se l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, su Twitter, evocava una battaglia “#nonpiùallaspicciolata” (“di fronte all’attacco al presidente della Repubblica e di fronte al rischio di una pericolosa deriva populista e sovranista è necessario che tutte le forze progressiste decidano di allearsi alle prossime elezioni”), ieri l’ex presidente del Senato Pietro Grasso annunciava una prossima “iniziativa politica forte sulla quale ci auguriamo convergano le forze civiche del nostro paese”. Però ci si trovava tutti, a un certo punto, a dover commentare le parole del commissario europeo al Bilancio Günther Oettinger sui mercati che “insegneranno agli italiani a non votare i populisti”. Diceva dunque da Leu Loredana De Petris che le dichiarazioni del commissario erano “il miglior aiuto per le forze politiche che puntano tutto sulla demagogia sovranista invece di impegnarsi strenuamente per correggere i limiti della moneta unica”.
Perché anche questo è il problema, ora: come far digerire a chi aveva votato, due mesi fa, la sinistra critica verso quelle che erano considerate eccessive durezze europee, che il momento non consente troppi distinguo. Bisogna recuperare l’elettorato disamorato (gli astenuti del 4 marzo), l’elettorato perso sulla via dei Cinque stelle (che si spera sia, nella sua area più a sinistra, orripilato per la scelta di Matteo Salvini) e l’elettorato che vagola da anni tra centrosinistra e sinistra, senza trovare pace né entusiasmo. Ma mentre Carlo Calenda, ministro uscente dello Sviluppo e neoiscritto al Pd, chiede al Pd di “farsi promotore di un fronte repubblicano”, in Leu non tutti sono sulla linea “l’unione fa la forza”. Si ragiona sulla “questione democratica”, dice al Foglio Stefano Fassina, ex viceministro dell’Economia nel governo Letta e deputato di Leu area Sinistra italiana), ma non per questo si possono spazzare via gli altri temi urgenti: “Prima e alla base della preoccupante questione democratica”, dice, “c’è un’enorme questione sociale. Con la drammatizzazione dell’attacco alle istituzioni repubblicane la ignoriamo e la lasciamo completamente alle attenzioni di Lega e M5s. Dovremmo spostare il conflitto istituzionale sul terreno politico. Invece, il Pd fa il contrario e aggrava il quadro. La manifestazione del primo giugno è retorica, utile a tenersi stretto e mobilitato quel residuo segmento di sinistra identitaria. Non ha capacità espansiva. Ripetiamo inerzialmente lo schema pre 4 marzo, quando le varie sinistre, sconnesse dai settori economici e sociali in maggiore sofferenza, hanno gridato al pericolo fascista e si sono concentrate sul messaggio identitario antifascista. Insomma, un’unione dei cosiddetti progressisti, senza una radicale discontinuità nel messaggio sul terreno sociale e delle politiche europee, non produce valore aggiunto sul piano elettorale”.
La crisi inedita
Dall’area MdP di Leu, invece, l’ex senatore e storico Miguel Gotor dice che il 4 marzo ha rappresentato “un punto di svolta” e che è “necessario mettere un punto a capo”. Cioè: “Hai un blocco di forze antisistema e populiste che nonostante abbia raggiunto il 50 per cento, invece di governare, ha preferito attaccare frontalmente il presidente della Repubblica aprendo un’inedita crisi istituzionale e usare come pretesto il prof. Savona per andare a nuove elezioni e provare a fare cappotto. A questa prospettiva sovversiva che mette a rischio i risparmi degli italiani bisogna reagire con un’alleanza democratica, repubblicana e popolare in cui Leu deve giocare la sua parte insieme con le altre forze progressiste e del centrosinistra italiano”. Il concetto di “fronte”, dice Gotor, “non è molto fortunato nella storia della sinistra. Se potessi scegliere preferirei quello di riscossa democratica, civica e popolare. Ovviamente non è questione di nomi, ma di scelte politiche. Vista questa nuova emergenza, penso che Leu debba essere parte di questo nuovo percorso politico nella sua autonomia e con la propria agenda politica”. Ed ecco, nell’emergenza, che la sinistra-sinistra lascia intravedere in filigrana una linea doppia se non tripla. Su cui, a sera, cala la voce del possibile voto a luglio (cosa che moltiplica i dubbi sull’andare uniti subito per non soffrire troppo dopo o viceversa).