Accordo fatto. Lega e M5s mettono insieme due debolezze
Dal governo del cambiamento al cambio del governo. Tornano il prof. avv. Giuseppe Conte e Paolo Savona, entra l’economista Tria ed entra anche Enzo Moavero Milanesi
Roma. “Ahò, l’avete fatto ’sto governo?”. Il cittadino italiano medio, l’uomo della strada, ha forse colto tra gli sbuffi e le minacce, i grigiori e le pesantezze, i colpi al cerchio e quelli alla botte, la drammatica essenza del problema. “Ci sono tutte le condizioni per un governo politico”, dicono a un certo punto Matteo Salvini e Luigi Di Maio, liberandosi come di un grumo che gli rode il petto, loro che adesso diventano i consoli del populismo al governo, il polo nord e il polo sud, gli orsi polari della nuova Italia, il vicepremier all’immigrazione e il vicepremier al reddito di cittadinanza. “L’abbiamo fatto”, conferma a Montecitorio Giancarlo Giorgetti, l’alfabetizzato vicesegretario della Lega, anche se in questo mondo di convulsi mutamenti e frenetici pasticci, dove più nulla appare stabile, ancora manca il giudizio del Quirinale.
E allora torna il prof. avv. Giuseppe Conte, in qualità di premier terzo e Carneade, con il suo curriculum rimpinguato e il taxi preso al posto della Jaguar lasciata in garage, e torna anche Paolo Savona, non più ministro dell’Economia, incarico per il quale lo sostituisce l’economista keynesiano Giovanni Tria, preside della Facoltà di Economia all’Università di Roma Tor Vergata. Savona sarà ministro degli Affari europei, e ci arriva – ma davvero a Sergio Mattarella andrà bene? – al termine della crisi istituzionale più pazza del mondo: l’incarico a Conte e la rinuncia di Conte, l’incarico a Cottarelli e la rinuncia di Cottarelli, le “cortesie istituzionali” di Di Maio sostituite dall’impeachment di Di Maio, le manifestazioni di piazza del 2 giugno, l’assalto al Quirinale come alla Bastiglia, lo spettro delle elezioni a luglio, e infine il reincarico al prof. avv. Conte. E’ la mobilità, questo si è capito, la qualità predominante. Un colorato e pittoresco mosaico.
Ma il futuro del governo è una verità schiusa a misteriose promesse. E ciascuno degli attori sul proscenio della commedia politica ha fatto qualche rinuncia, sommando debolezze. “O Savona all’Economia o niente”, diceva Salvini, che adesso rinuncia al cardine della sua politica economica, confinando l’autorevole ma sbrigliato professor Savona in un ruolo marginale. Nel governo entra l’economista Tria ed entra anche Enzo Moavero Milanesi, il braccio destro di Mario Monti, che va a fare il ministro degli Esteri, niente meno. Una garanzia di europeismo, di rispetto dei trattati internazionali e degli equilibri all’interno dell’alleanza Atlantica. Così l’allegria, il sollievo per l’accordo siglato, si somma ai timori, ai retropensieri, alla debolezza irritabile del M5s, impastato com’è di protesta e assenso, urletti e singhiozzi. Di Maio ha ceduto su tutto, ed è finito anche sotto processo da parte dei suoi per la gestione della crisi. “Non c’hai coinvolto mai”, gli aveva urlato Paola Taverna, la verace senatrice romana, facendo saltare così la diga che tratteneva l’onda morta delle proteste tra i parlamentari grillini, “abbiamo il doppio dei voti di Salvini e Di Maio è quasi riuscito a cedere alla Lega persino il premier”. Sarà commissariato, Di Maio. Nel M5s si parla di nuovo di un direttorio, di un gruppo di parlamentari che possa affiancarlo nelle decisioni.
E per tutto il giorno, oggi, fino allo scioglimento finale della soap opera, deputati e senatori di tutti i partiti mormoravano tra i denti: “Ma perché non si accordano?”. Nessuno voleva andare alle elezioni, non i cinque stelle, non Forza Italia, non Fratelli d’Italia, non il Pd e nemmeno la Lega, malgrado le tentazioni personali di Salvini. “Il governo andava fatto, perché l’incertezza stava facendo impennare lo spread”, dicono adesso tutti. Chissà. L’Italia scopre, tra le altre cose, un nuovo e inedito ministero denominato “alla democrazia diretta”. Si vedrà. Il prof. avv. Conte è per la seconda volta in dieci giorni presidente del Consiglio. Giura stamattina alle 11. Ricorda Steven Bradbury, lo sconosciuto pattinatore che nel 2002 vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Salt Lake perché tutti gli altri atleti caddero all’ultima curva dell’ultimo giro.