I senatori in piedi applaudono all'inizio della legislatura (foto LaPresse)

La Repubblica dell'applauso (dal talk-show al Quirinale)

Marianna Rizzini

Come e perché il battimani è diventato un attore politico

Roma. Scena prima: è il 31 maggio, Carlo Cottarelli ha appena rimesso il mandato nelle mani del presidente della Repubblica. “E’ stato un onore servire il mio paese”, dice. E’ appena finito il suo discorso e, nella sala stampa del Quirinale, si alza l’applauso dei cronisti: tondo, lungo, non timido, che si fa standing ovation quando parla Sergio Mattarella. (Su Twitter, intanto, si crea un coro di applausi virtuali. Da Repubblica, per esempio, Sebastiano Messina scrive: “I giornalisti non devono mai applaudire, quando fanno il loro lavoro. E’ una regola che non ammette eccezioni. Eppure anch’io, stasera, l’avrei violata per applaudire Cottarelli perché ha dimostrato agli italiani che cosa significa essere un servitore dello Stato”).

 

 

Scena seconda, a ritroso: è il 29 maggio, pomeriggio, studio di “Tagadà”, La7. Il direttore del TgLa7 Enrico Mentana, ospite in trasmissione per commentare gli scenari della crisi interminabile, in quel momento non ancora conclusa, dice alla conduttrice Tiziana Panella, con il sorriso, la seguente frase: “Ma qui su La7 possiamo fare una piccola dieta di applausi?”.

 

Scena terza: è il 29 maggio, sera, studio di Giovanni Floris per “Dimartedì” (La7). Gli applausi del pubblico, com’è già accaduto in quel consesso, si susseguono sincopati, senza lasciare respiro, durante l’intervista del conduttore al leader della Lega Matteo Salvini, considerato, a quel punto, l’uomo che ha fatto scacco matto (è infatti appena scoppiato il caso Savona). Ed è talmente incombente, l’applauso, che Floris a un certo punto sospira: “Sappiamo che lo studio l’ha già convinto…” (il sottinteso è: ora deve convincere gli italiani). Scena 4: è il 17 maggio, studio di “Piazzapulita” (La7). Il senatore a vita ed ex premier tecnico Mario Monti si siede, inizia a parlare, ma subito si ferma, come titubante. “Posso fare una proposta?”, chiede al conduttore Corrado Formigli, “possiamo chiedere al gentile pubblico presente in studio, per la durata di questa intervista”, continua Monti, “di astenersi per favore dagli applausi?… Devo fare un ragionamento serio”. Ed è come se sparisse un personaggio dalla scena, uno degli attori, ché questo è diventato l’applauso sulla scena televisivo-politica: coro greco ma anche ghigliottina (tipo applauso partigiano del pubblico in studio del Michele Santoro d’antan o, sul fronte opposto, tipo applauso gladiatorio del pubblico che circondava i litiganti del “La Gabbia”, nello studio del Gianluigi Paragone pre-elezione. L’applauso – di sostegno o dissidenza, da corrida o da sit-com (a volte pare quasi di sentire applausi posticci come le risate fuori campo anni Settanta), coerente o schizofrenico – diventa pavloviano davanti alle maschere in commedia riconosciute.

 

Oltre a Salvini, fanno scattare applausi a ripetizione il Pierluigi Bersani malinconico che parla di far “risbucare la dialettica tra destra e sinistra”, l’Alessandro Di Battista poveraccista, Giorgia Meloni e il giovane filosofo post marxista del populismo Diego Fusaro, ma può capitare che il battito di mani scoppi con affetto quando compaiono personaggi immediatamente identificabili per eccentricità di forma o contenuto (incredibile caso ricorrente quello del giornalista Mario Giordano, che può vantare piccole schiere di fan ogni volta che la sua voce si leva acuta in un salotto dibattente).

 

E anche se, presso le redazioni televisive, autori e conduttori sottolineano la presenza predominante di un pubblico di figuranti, scelti con regolare casting, e anche di regole più o meno fisse, come il ricorso ad applausi per così dire tecnici (istituzionali quando entra l’ospite a “Porta a Porta”, Rai1, accoglienti ad “Agorà”, Rai3), l’impressione è che l’applauso abbia preso vita propria, talmente propria che il conduttore può anche dissociarsi. Capitò nel 2015, durante un’altra puntata di “Piazzapulita”, quando l’eurodeputato leghista Gianluca Buonanno se ne uscì, applauditissimo, con la frase: “I rom sono la feccia della società”, e Formigli intervenne per dire che no, “un applauso a chi dica che gli zingari sono la feccia della società è un applauso di cui io mi vergogno” e che se le persone intervenute come pubblico “si sentivano in qualche modo offese” dal dissociarsi del conduttore, potevano benissimo “non presentarsi la volta successiva”. Non siamo più, è chiaro, ai tempi del pubblico plasticamente schierato del “Ballarò” d’antan, con Floris in mezzo, gli ospiti ai lati e i sostenitori o collaboratori degli ospiti seduti come pretoriani lungo la prima fila di sedie per il pubblico (l’applauso del portavoce scattava immediato al primo “bah” proferito dall’ospite, come un segnale di battaglia). Né capita al pubblico in studio di essere coinvolto e quasi portato per mano come nelle trasmissioni del Gad Lerner prima maniera. L’applauso, però, nel frattempo, è sconfinato “dai margini al centro della trasmissione”, scriveva su questo giornale Andrea Minuz: “Allestire un talk significa ormai comporre una partitura di applausi che detta il ritmo alla puntata. Bisogna quindi saper ascoltare la musica degli applausi, la loro sapiente orchestrazione e distribuzione, l’armonia scrosciante di urla, invocazioni, cori”. Non per niente l’applauso si nota anche per assenza (vedi “Otto e Mezzo”, dove le pause dell’ospite, se percepite, si accomodano per lunghi attimi nel silenzio).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.