Matteo Salvini, Enzo Moavero Milanesi, Giovanni Tria, Sergio Costa, Alberto Bonisoli, Riccardo Fraccaro alla parata del 2 giugno (foto LaPresse)

Non si può fischiettare di fronte al progetto eversivo dei gialloverdi

Claudio Cerasa

Addio alla nostra democrazia: è quello che ci attende con il possibile passaggio da una democrazia rappresentativa a una diretta. L’onorevole Fraccaro, da venerdì ministro dei Rapporti con il Parlamento, ci aveva già provato nel 2015. Come vigilare

Si può chiudere un occhio su tutto? La politica italiana ci insegna che quando nasce un governo la luna di miele che si viene a creare tra i nuovi padroni del paese e la volatile opinione pubblica tende sempre a mettere in secondo piano i difetti di chi governa e tende a mettere in rilievo solo gli elementi di qualità. L’amore più o meno implicito e più o meno inconfessabile che una parte consistente dell’opinione pubblica sta già manifestando dinnanzi al governo CoMa-SalDi (Conte-Mattarella; Salvini-Di Maio) porterà molti osservatori a concentrarsi più sulla forma (la storia dei ministri) che sulla sostanza (la storia del contratto) come se la maschera presentabile di alcuni tecnici fosse sufficiente a nascondere la faccia impresentabile del programma di governo. Ci sarà tempo e modo di raccontare nel dettaglio la pericolosità del contratto firmato da Salvini e Di Maio e i possibili punti che per fortuna potrebbero essere traditi rispetto alle premesse di governo. Ma se fosse necessario dover segnalare un ministero, spaventoso, che più degli altri merita di essere seguito con attenzione, e intorno al quale si potrebbero addensare il numero maggiore di nuvole antidemocratiche, quel ministero non potrebbe che coincidere con quello affidato venerdì pomeriggio all’onorevole Riccardo Fraccaro, ministro dei Rapporti con il Parlamento e, prima di tutto, per la democrazia diretta.

  

La prospettiva che la diciottesima legislatura possa coincidere con il passaggio da una democrazia rappresentativa a una diretta è uno degli elementi di criticità più importanti, e più sottovalutati, del contratto gialloverde e ci sarebbero già oggi buoni elementi per cominciare a organizzare presidi democratici sotto il ministero di Riccardo Fraccaro. La democrazia rappresentativa, ovvero il principio inviolabile che gli elettori eleggano dei parlamentari per rappresentare non un interesse di parte ma l’interesse della nazione, è da tempo uno degli obiettivi del progetto sfascista del Movimento 5 stelle, e oggi anche della Lega di Salvini. In campagna elettorale, ogni candidato grillino, compreso l’onorevole ministro Riccardo Fraccaro, ha sottoscritto un contratto anticostituzionale, con penale estorsiva da 100 mila euro, per promettere al capo di una srl privata, Davide Casaleggio, di presentarsi in Parlamento con l’idea di violare esplicitamente l’articolo 67 della Costituzione e di rappresentare così non l’interesse nazionale ma l’interesse di una parte: se fai quello che ti passa per la testa e non quello che chiede il tuo partito verrai multato, segato.

 

Nel corso delle consultazioni, come se non fosse già chiaro il messaggio, la Lega e il Movimento 5 stelle hanno promesso poi di voler andare al governo anche per “introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari” (punto diciannove del programma) e ha perfettamente ragione il segretario dei Radicali italiani Riccardo Magi quando si chiede come sia possibile per un capo dello stato nominare ministro un parlamentare vincolato da un contratto privato che risulta in aperto contrasto non solo con l’articolo 67 della Costituzione ma anche con lo stesso contenuto del giuramento prestato dal ministro di fronte al presidente della Repubblica un attimo prima di entrare in carica: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”. Può un ministro che ha sottoscritto un contratto per esercitare le sue funzioni nell’interesse esclusivo del suo partito essere credibile quando giura di esercitare le sue funzioni nell’interesse esclusivo della nazione? In questa accezione, il totem della democrazia diretta è direttamente collegato alla fine della democrazia rappresentativa e se davvero il Movimento 5 stelle e la Lega riusciranno nell’impresa di cancellare come promesso l’articolo 67 della Costituzione potranno vantarsi di aver fatto quello che non riuscì neppure a Benito Mussolini nel Ventennio: eliminare il potere di delega, distruggere l’idea della rappresentanza, trasformare gli eletti in marionette dei partiti, premiare nel proprio gruppo parlamentare solo utili idioti privi di personalità critica, spacciare una democrazia diretta da un server per una democrazia diretta dal popolo. “A cosa serve avere un Parlamento – ha scritto sul suo blog Claudio Messora, un grillino della prima ora oggi pentito almeno su questo punto – se tutti i parlamentari di una intera forza politica sono vittime dello schiaffo di una dirigenza di partito? Tanto varrebbe allora ci fosse un solo parlamentare: il segretario di quello stesso partito, in rappresentanza di tutti, che magari fa le leggi insieme ai soli segretari degli altri partiti”.

 

Basterebbe questo a far tremare le gambe ma nel progetto eversivo di democrazia diretta sognato dal movimento 5 leghe c’è qualcosa di più che dovrebbe allarmare almeno quanto l’idea, per fortuna eliminata dal programma ma che prima o poi salterà fuori ancora, di uscire dall’euro. Qualcosa in più contenuta in una proposta di legge presentata nel 2015 dallo stesso Fraccaro. Titolo: “Modifiche agli articoli 73, 75, 80 e 138 della Costituzione, in materia di democrazia diretta”. Svolgimento: “L’abolizione del quorum di partecipazione è il primo passo indispensabile per consentire ai cittadini di concorrere attivamente al processo decisionale democratico. Con l’abolizione del quorum si avrebbe il sicuro effetto di vedere sbocciare la democrazia diretta accanto a quella rappresentativa, determinando l’indispensabile evoluzione verso la democrazia integrale”. Il Movimento 5 stelle, come già più volte segnalato, sogna di esportare in Italia il modello delle esperienze referendarie compiute in molte parti della California e le ragioni per cui la presenza di una democrazia referendaria rappresenta un pericolo per la nostra democrazia è stata spiegata bene dal professor Sabino Cassese in un libro appena ripubblicato da Mondadori (“La democrazia e i suoi limiti”). “La tentazione dell’illimitata democrazia – scrive Cassese – corre il rischio di corrompere la stessa democrazia. Il fondamentalismo democratico e le smisurate ambizioni democratiche rischiano di favorire la tirannia di piccoli gruppi, oppure di favorire decisioni popolari ma dannose. Si pensi soltanto al ricorso ai referendum in California, dove sono stati revocati rappresentanti eletti, diminuite imposte, rigettate leggi e scritte nuove leggi.

 

Ciò ha provocato periodiche crisi finanziarie di uno Stato peraltro ricco. Più democrazia, osservano alcuni studiosi tedeschi, può voler dire favorire gli interessi di breve periodo o quelli di singoli gruppi più attivi e minare la democrazia rappresentativa, oppure il Gemeinwohl, quello che potremmo chiamare l’interesse comune sul lungo periodo”. Avere la democrazia rappresentativa alle dipendenze della democrazia diretta non rischia solo di rovesciare il principio su cui si fondano le democrazie più mature del mondo ma rischia di portare il percorso della nostra repubblica su un binario non lontano da quello dell’eversione. Il ministro Riccardo Fraccaro, portavoce in Parlamento degli interessi non degli italiani ma del capo di una srl privata, nel 2013 quando Giorgio Napolitano accettò il secondo mandato da presidente della Repubblica scrisse su Facebook, salvo poi rimuoverlo dopo poche ore, un messaggio di questo tipo: “Oggi è il 20 aprile, giorno in cui nacque Hitler. Sarà un caso, ma oggi muore la democrazia in Italia”. Noi, nel nostro piccolo, cinque anni dopo potremmo affermare senza problemi che oggi è il 4 giugno, che il governo che sta per ricevere la fiducia del Parlamento italiano è un governo che promette di superare la democrazia rappresentativa e che l’ultimo governo che provò a descrivere la democrazia rappresentativa come un mero formalismo borghese da sostituire il più presto possibile con una democrazia della piazza ci fu nel momento più buio della storia italiana (avete capito quale). Ieri fascisti, oggi sfascisti. E speriamo davvero che qualcuno vigili.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.