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Così la Casalino & Associati mette sotto tutela il professor Conte

David Allegranti

Il presidente del Consiglio non è sotto tutela soltanto perché ci sono due vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ma anche perché a veicolare la sua esposizione pubblica c’è la comunicazione della Casaleggio

Roma. La Casalino & Associati spadroneggia, furoreggia, s’apparecchia nei locali della presidenza del Consiglio – l’ascensore sociale del “Grande Fratello” funziona alla grande – dove c’è anche un ufficio riservato al portavoce. Stanza un po’ “piccolina” ha detto Rocco ispezionando il piano, così riferiva Repubblica ieri in un pezzo sulle lamentele di Casalino per l’arredamento, non adeguato al rango di spin doctor di Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio non è sotto tutela soltanto perché ci sono due vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ma anche perché a veicolare la sua esposizione pubblica c’è la comunicazione della Casaleggio, con tanto di “Codice Rocco” e di Pietro Dettori, uno così abituato al confronto democratico che se scrivi qualcosa di non gradito ti blocca su Twitter e su Facebook. A Palazzo Chigi dovrebbe arrivare anche Maria Chiara Ricciuti, ex staff comunicazione dell’Idv, dalla scorsa legislatura m5s e portavoce personale di Di Maio, ora e durante la campagna elettorale. Sono loro a gestire i canali social di Conte, da Twitter a Facebook a Instagram, tutti in blocco nelle mani dei Cinque stelle. A dimostrazione di quanto sia politicamente connotato il profilo dell’“avvocato del popolo”, estratto dal cilindro di Alfonso Bonafede, neo-ministro della Giustizia, e da quello di Di Maio. Matteo Salvini, a quanto pare, non ha minimamente insistito per piazzare qualcuno dei suoi. Iva Garibaldi segue direttamente il leader leghista e i ministri, anche per evitare altri passi falsi come quello del ministro Lorenzo Fontana sulle “famiglie arcobaleno”. D’altronde Garibaldi già vigila sulle sortite dei parlamentari, onde evitare gaffe e intemperanze. Questo non significa che Garibaldi non si coordini con Casalino, tutt’altro: ogni decisione congiunta è concordata e i due si sentono in continuazione.

 

“Per questo tipo di ruoli – osserva Lorenzo Pregliasco, cofondatore di YouTrend/Quorum – è normale e secondo me anche giusto, non solo negli Stati Uniti ma anche nelle amministrazioni italiane, che gli eletti si affidino a persone di cui si fidano. Persone con cui in genere hanno lavorato nella fase della campagna elettorale o con cui c’è comunque una consuetudine professionale e un rapporto anche di confidenza personale. In questo caso, con un presidente del Consiglio alla sua prima avventura politica e responsabili comunicazione dotati invece di grande esperienza, i maligni potrebbero obiettare che se un tempo il premier sceglieva comunicatori di fiducia, questa volta sono stati i comunicatori a scegliere un premier di fiducia. Ma io non sono un maligno”.

 

C’è di più: uno dei due contraenti di un patto elettorale, la Lega, sceglie di avere le mani libere in caso di eventuale disastro. Come a dire: Conte è vostro, se fate casino sono affari vostri. O ancora: se la coabitazione non regge, siamo liberi di muoverci come vogliamo. Per ora tuttavia le frizioni non si vedono. Resta da capire che cosa accadrà quando il governo sarà a pieno regime. Anche perché chi gridava contro l’establishment adesso si trova dentro il Palazzo. Per adesso Lega e Cinque stelle continuano a denunciare le colpe delle élite - qualunque cosa voglia dire questa parola, diventata ormai come il puffare dei Puffi - che peraltro un po’ si vergognano, da qualche tempo, di identificarsi come tali. E cosa c’è di più vantaggioso, elettoralmente parlando, se non scaricare contro queste élite un bel po’ di rabbia? “Non possiamo meravigliarci troppo, allora, se nel tentativo di agglutinare il consenso – scrive Giovanni Orsina nel suo ultimo libro, ‘La democrazia del narcisismo’ (Marsilio Editori) – gli attori politici ricorrono sempre di più a emozioni come la rabbia, la frustrazione, l’ostilità nei confronti di un non meglio precisato establishment. Soltanto queste emozioni grezze e negative possono infatti ricomporre – sia pure in modo effimero – il pulviscolo di identità differenti e divergenti. Rabbia, frustrazione e ostilità, del resto, sono presenti in abbondanza: sia perché […] il narcisista è un infelice; sia perché la frammentazione sociale trasmette una sensazione universale di impotenza”. Adesso però gli antiestablishment sono al governo con una maggioranza schiacciante, non ci sono scuse. E sarà interessante vedere come si adatterà (se si adatterà) la comunicazione di chi ha fatto fortuna denunciando storture del sistema politico e piegando il linguaggio pubblico a un insulto (“vaffanculo”). In caso contrario i rivoluzionari narcisisti rischiano di fare la fine di Matteo Renzi, a suo modo un antisistema, che però una volta arrivato a Palazzo Chigi ha perso la sua carica rottamatrice, cedendo a tic che facevano parte della famigerata “vecchia politica”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.