Foto tratta dalla pagina Facebook di Francesco D’Uva

“Il ragazzo si farà”. D'Uva, il capogruppo sommelier in cerca di carisma

Valerio Valentini

“Simpatico e operativo”, “una brava persona”, “un ragazzo d’oro”: il giudizio dei colleghi. Nessuno che abbia da muovergli un rimprovero, nessuno che abbia da raccontare un qualche aneddoto che non sia edificante

Roma. La notizia dell’investitura, a quanto pare, gli è arrivata direttamente a casa. Nel senso che di essere stato scelto quale nuovo capogruppo del M5s alla Camera, Francesco D’Uva lo ha saputo nella sua Messina, dove in queste settimane il chimico trentenne, appassionato di Fabrizio De André e dei Depeche Mode, è impegnatissimo per la campagna elettorale in favore di Gaetano Sciacca, candidato sindaco a cinque stelle per le amministrative del 10 giugno. E insomma è stato lì, ai piedi del palco allestito nella centrale piazza Cairoli, che Luigi Di Maio ha comunicato al suo fidato amico deputato che sarebbe stato lui a sostituire Giulia Grillo – siciliana pure lei, anche se i vertici del M5s garantiscono che si tratti di “una semplice coincidenza” – appena promossa ministro della Salute. Per l’ufficialità, poi, si è dovuto attendere fino a martedì sera, dopo il voto di fiducia al Senato al neonato governo Conte, quando il capo politico ha reso nota ai parlamentari grillini riuniti in assemblea la decisione che lui aveva preso – in perfetta autonomia, ovviamente, come del resto gli consente di fare il nuovo regolamento pentastellato. Qualche attimo di sorpresa, di stranito stupore; poi lo scroscio dell’applauso, prima di un breve discorso di circostanza in cui D’Uva ha esibito la sua emozione d’ordinanza. Del resto, “da buon siculo, riservato e introverso Francesco lo è solo in apparenza, ché quando lo conosci è un simpaticone”, garantisce Manlio Di Stefano, lombardo d’adozione ma di origini fieramente palermitane.

 

“Simpatico e operativo”, “una brava persona”, “un ragazzo d’oro”: il giudizio dei colleghi, sul deputato sommelier che nell’estate del 2016 ha sposato l’amata Dorotea – figlia di un esponente dei Ds catanesi, ora impiegata al ministero dell’Interno – è unanime. Nessuno che abbia da muovergli un rimprovero, nessuno che abbia da raccontare un qualche aneddoto che non sia edificante, a proposito di D’Uva. E questo forse anche perché, come dice un deputato che lo conosce bene, “Francesco non conta e non accusa” – vernacolo centroitalico per identificare una personalità vagamente diafana, che se di inimicizie non se ne attira è più che altro per una certa inconsistenza del suo carattere. “Malignità”, insorgevano però mercoledì sera i deputati grillini, ribadendo che, seppure “non è una persona di eccessivo carattere”, è senz’altro uno “che sa farsi sentire”. Di certo c’è che quando s’è trattato di scomporsi, anche D’Uva s’è scomposto, nei giorni di scontro col Quirinale. Anche lui ha urlato al golpe (“Oggi abbiamo avuto la prova lampante che il nostro Paese è in mano alle LOBBY straniere!”, scriveva su Facebook), anche lui ha condiviso lo stralcio del Martines spacciato da Toninelli per Mortati. Ma in fondo era, anche quella, fedeltà alla truppa, cafonaggine istituzionale per spirito di servizio. Quindi vabbè. E del resto la tesi è la stessa utilizzata per difendere Conte: e cioè che “è il ruolo a dare autorevolezza”, e che dunque “il ragazzo si farà”, come giura chi lo ha osservato da vicino durante il suo battesimo del fuoco, nella sua prima dichiarazione di voto (in sostengo al nuovo governo), quando D’Uva s’è mostrato sanguigno come non mai nel rispondere a Graziano Delrio, che poco prima aveva osato ricordare allo smemorato Conte il nome del “congiunto” del presidente Mattarella.

 

“E’ meschino strumentalizzare i nomi delle vittime di mafia per strappare applausi”, ha esordito D’Uva, quasi a rimarcare il ritegno con cui invece lui parla, solo di rado, di suo nonno Nino, avvocato ucciso da Cosa Nostra nel 1986. D’altronde pare sia stato proprio il peso di quel lutto a spingerlo nell’attivismo politico nella città dello stretto, prima da semplice attivista del MeetUp, poi, nel 2012, come candidato all’Ars, e infine come deputato mandato ad aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno l’anno successivo. E così, quando s’è trattato di scegliere, lui ha chiesto subito di essere impiegato nella commissione Antimafia, dove per cinque anni ha saputo farsi apprezzare anche dai colleghi degli altri partiti, che lo descrivono come “un inclusivo”, un “dialogante”. Forse perfino troppo, almeno a giudicare da chi, malignamente, dice che “D’Uva non ha mai detto cose troppo sbagliate, forse perché perché non ha mai detto cose troppo ardite”. Lui, del resto, nel 2013 affermava di stare nel Movimento “perché qui non esistono opinioni personali”. E c’è chi dice che l’ha preso troppo alla lettera, questo slogan.

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