Complottista e vuota, ecco la neolingua della Terza Repubblica
Dietro ai “nemici” ci sono sempre Soros e la massoneria, l’inciucio è “sintesi” e se qualcuno sbaglia basta replicare: “E il Pd?”
Roma. C’è tutto un lessico, tutto un vocabolario, tutto un parlare vuoto gentista che adesso si va diffondendo grazie al governo Lega-Cinque stelle. C’è tutto un canone, il canone del complottismo, un frasario di espressioni già stra-abusate che colonizzano le interviste, le dichiarazioni a tweet unificati. Ogni epoca ha avuto la sua storia, non sempre la sua epica. C’era un tempo in cui si diceva “senza se e senza ma”, ed era la frase fatta della sinistra per parlare di interventi bellici. Nei comizi, nelle riunioni di sezione o di circolo, persino al bar, se a un certo punto qualcuno diceva “senza se e senza ma” diventava chiaro subito da che parte stesse. Senza se e senza ma. Ora ci sono altri riflessi pavloviani. Ora è il tempo di “Soros” o “sorosiano”. Basta evocarlo per scatenare i famelici appetiti antisemiti dei commentatori da tastiera. Prima citare il finanziere ebreo era appannaggio della nutrita comunità complottarda che s’aggira su Twitter, adesso il riferimento è sbarcato al governo con i panni del feroce Matteo Salvini ministro dell’Interno: “Bisognerebbe vedere da dove arrivano certi finanziamenti, perché quando leggo che dietro ad alcuni c’è la Open Society di Soros mi viene qualche dubbio su quanto sia spontanea questa generosità”, ha detto ieri al Senato nella sua informativa sul caso Aquarius. Sospetti, illazioni, l’apoteosi del grillismo. E quando dici “Soros” s’accende nel cervello del complottista medio – quello che pensa che il mondo intero sia un prodotto di qualche riunione al Bilderberg – l’allarme Byoblu, dal nome d’arte di Claudio Messora, agit-prop pre-grillino, che imperversa sull’internet attirando i gonzi di cui parlava ieri Paolo Virzì nella sua intervista al Foglio. Citare “Soros” è come dire “massone”, altra parola chiave – per la verità vecchissima – di questa neolingua. Sono ossessioni. Nel M5s, per dire, quando vuoi affossare qualcuno basta mascariarlo dicendo che appartiene alla massoneria, e giù nomi a casaccio di logge pericolosissime che terrebbero per l’inguine l’Italia intera.
Ed è tutto un tirare in ballo “i figli”, a dimostrazione della presunta serietà e severità con cui il governo intenderebbe prendere decisioni gravi. C’è Danilo Toninelli che al Corriere garantisce “da padre”: “Salveremo le vite umane ma insieme agli altri stati”. Ecco, questa dell’esser padre aveva già contagiato Alessandro Di Battista, che su poche settimane di paternità ci ha scritto un libro, neanche l’avesse inventata lui. E pure Salvini ripete in continuazione che le decisioni più sofferte per il futuro dell’Italia le prende mentre è insieme ai pargoli. Sicché questi figlioli vengono strumentalizzati e da grandi magari faranno come quelli che a un anno finiscono in bella mostra su Instagram, perché i genitori vogliono fare gli splendidi con gli amici, e li denunceranno per violazione della privacy. Governano con il paternalismo, i Salvini e i Toninelli, con il tono appunto del buon padre di famiglia, che tiene i conti a posto e non fa entrare i negri in casa. C’è tutto un vocabolario, tutto un lessico che spadroneggia. Si usano parole con intento propagandistico che hanno un altro significato. Non è ignoranza, è manipolazione, beninteso. Nei talk, negli status di Facebook, nei tweet della comunità No euro che pensava d’aver preso il Palazzo e invece si ritrova con Paolo Savona denuclearizzato agli affari europei e i Sussi e Biribissi della Lega, Borghi & Bagnai, a casa loro, per quanto autorevolmente pagati dai cittadini nelle sacre stanze del Palazzo. C’è la “flat tax”, che non è flat, perché le aliquote sono due, al 15 e al 20 per cento, ed è un caso di bipolarismo fiscale. Poi c’è il “reddito di cittadinanza” che, osserva l’economista Fausto Panunzi, altro non è che un reddito minimo condizionato, poi c’è la “pace fiscale” che è in realtà un condono, c’è la richiesta a tambur battente di “più risorse dalla Ue” che si traduce in realtà in più deficit. E’ insomma una neolingua a uso della Terza Repubblica. Da sfoderare anche nelle discussioni online. Ogni volta che il M5s fa qualche bischerata, il grillino estrae dal cilindro il consueto “Sì, ma il Pd?”, con cui vorrebbe mettere a tacere ogni discussione. Ironizzi su Salvini che vuole governare i flussi migratori con i tweet? E’ pronta la risposta: “Sì, ma Minniti?”.
Ma il capolavoro lessicale è di Beppe Grillo, che in un post di lunedì ha illustrato la “politica di governo come sintesi”. E’ chiaro, no? Quel che producono Pd e Forza Italia è un inciucio, ma se sono Lega e M5s trattasi di accordo, di patto di governo, di contratto, insomma di sintesi virtuosa. “Da prima del suo varo, questo governo è ombrato da insistenti allusioni riguardo le differenze che dividerebbero il MoVimento dalla Lega; allusioni cariche della speranza che il Governo Conte sia destinato a naufragare il più presto possibile. Eppure nessuno ha mai negato l’esistenza di caratteri distintivi, spesso definiti ‘anime incompatibili’, da chi gufa il governo e lo rappresenta come una sorta di match continuo con Salvini. Ma li lascio volentieri alle loro difficoltà nell’etichettarci, frutto di una miopia ormai più che strutturata”. E invece “l’istanza della maggioranza degli italiani, ridiscutere il posto dell’Italia nel mondo, non è stata soffocata dalle differenze fra noi e la lega, permettendo al benpensantismo di dividerci. Sarà proprio una sintesi fra simili nella differenza a generare un modello di governo assolutamente nuovo: invece che occupare palazzo Chigi con soggetti in palese conflitto di interessi con ciò che era necessario per il paese abbiamo costruito un governo riunendo chi discute su come e cosa fare di meglio per l’Italia”. Senza inciuci.