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Lo stadio, Roma e il dramma inconfessabile del grillino originario

Marianna Rizzini

Le parole d’ordine dello Tsunami Tour, “intransigenza” e “trasparenza”, sembrano ormai inadatte a contenere un mondo perduto (o mai esistito)

Roma. Non c’entra la Nemesi, non c’entra il contrappasso, anche se Nemesi e contrappasso sembra di scorgere nell’incredibile, triste caso del sindaco a Cinque stelle Virginia Raggi, investita dalla realtà dell’inchiesta sullo stadio della Roma. Hai voglia a dire “la magistratura faccia il suo lavoro” e a sentirsi “parte lesa”: la perdita dell’innocenza, per il movimento cresciuto a “vaffa” e notti dell’onestà, va al di là dei fatti. E’ un confine psicologico da superare. E il Cinque stelle della prima ora, quello che ha puntato tutto sulla diversità antropologica presunta – noi non siamo come gli altri, a noi non succederà mai nulla di quello che si è letto in anni e anni di intercettazioni sparate sui giornali – al momento vive un dramma inconfessabile, un dilemma senza soluzione: come salvare la purezza quando l’evidenza rema contro? E come continuare a sostenere la tesi quando una strana sensazione di dubbio dilaga tra chat e bacheche di attivisti ed eletti?

  

Ieri, all’indomani del pasticciaccio dello stadio, mentre il presidente di Acea Luca Lanzalone, agli arresti domiciliari, dava le dimissioni, e il vicepremier Luigi Di Maio invocava l’intervento dei probiviri, c’era chi, tra i Cinque stelle, sceglieva la via del distinguo. L’ex candidata alla presidenza della Regione Lazio Roberta Lombardi, per esempio, dopo aver smentito di aver ricevuto favori in campagna elettorale da uno degli accusati – il costruttore Luca Parnasi – e dopo essersi affrettata, su Repubblica, a indicare nei “vertici” del Movimento e in particolare nel “gruppo che si occupava di Enti Locali” i responsabili della chiamata a Roma di Lanzalone, scriveva su Facebook un post pavloviano dal titolo “continueremo a difendere la legalità”: “Quando una procura denuncia un sistema di corruzione trasversale su un’opera importante come il nuovo stadio”, scrive Lombardi, “la prima cosa da fare è preoccuparsi. Il M5s esiste proprio per restituire ai cittadini ciò che è loro: i beni comuni, il denaro pubblico, il potere di decidere attivamente per il proprio futuro. Un obiettivo ambizioso che, dinanzi a inchieste di questo tipo, si può raggiungere solo se si procede su un doppio binario: da un lato rispettando il lavoro della magistratura sull’accertamento delle responsabilità penali, dall’altro passando al setaccio ogni scelta in modo da fugare ogni dubbio su eventuali responsabilità politiche”.

    

Ma le parole d’ordine che nel 2013 facevano furore nelle piazze dello Tsunami Tour, “intransigenza” e “trasparenza”, sembrano ormai inadatte a contenere un mondo perduto (o mai esistito). I fortunati, tra i Cinque stelle della prima ora, sono quelli che, come Alessandro Di Battista, possono parlare d’altro, complice anche il viaggio in California (e quindi ecco i post sugli homeless di San Francisco accanto a quelli sul contenuto del primo decreto di Luigi Di Maio), anche se neppure loro possono del tutto esimersi dall’accenno doloroso e arzigogolato alla realtà matrigna: “Sulla questione stadio della Roma”, scrive Dibba, “vi dico che se avessimo pensato che la nascita, la crescita e le vittorie del M5s avrebbero sconfitto la corruzione non ci saremmo sgolati per cinque anni per chiedere più risorse per le intercettazioni, gli agenti sotto copertura da infiltrare nella Pubblica amministrazione e lo stop alla prescrizione nel momento in cui inizia il processo”. Ma per chi, come Lombardi, deve stare comunque con i piedi piantati sul territorio romano e laziale, le notti dell’onestà d’antan si trasformano in incubi. E infatti l’ex candidata governatore del Lazio scrive, a proposito del caso Lanzalone: “Questo deve fare con forza suonare il nostro allarme interno: perché non solo i portavoce del Movimento, ma tutti coloro che con noi collaborano, devono avere le mani pulite e rimanere sempre al di sopra di ogni sospetto. Il M5s è per la legalità sempre e comunque”. Ma un conto è dirselo, un conto fermare con le mani l’acqua del mare già strabordata.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.