Di sana e robusta opposizione
Per combattere il populismo del governo gialloverde non si può puntare sul vecchio lessico della sinistra
C’era una profezia nel discorso di Renzi al Senato: “Voi (governo gialloverde) non siete il bipolarismo di domani ma la coalizione di domani”. Ovvio il messaggio anche al Pd: non immaginiamoci un facile ritorno alla scena di prima, al bipolarismo centrodestra/centrosinistra. Occorrerà un nuovo schema di gioco, nuovi contenuti, nuove alleanze, nuovi perimetri dell’opposizione. Il termine “repubblicano” serviva, nella profezia di Renzi, a connotare le novità e a distinguere la futura alternativa dalla riproposizione dell’antica dialettica destra/sinistra. La profezia di Renzi vale ancora? E’ bastato il cortocircuito degli eventi di questi giorni (la politica muscolare di Salvini che lo fa lievitare nei sondaggi, la frustrazione dei 5 stelle che scendono nei voti e nei sondaggi, la tenuta del Pd, la ripresa di Forza Italia al sud) per archiviare la profezia. E illudere le opposizioni circa un rapido riavvolgimento del nastro e il ritorno allo schema bipolare classico. E’ così? Lecito dubitarne. Anche fosse fondata la scommessa di crepe, contraddizioni e implosioni interne al governo e la sensazione di una breve durata (specie per la tentazione, attribuita a Salvini di capitalizzare gli exploit della Lega nei sondaggi), non è detto (specie a legge elettorale immutata) che il “doppio binario” del 4 marzo (alleanza elettorale col centrodestra e governo con i 5 stelle) non continui a funzionare. Appare, insomma, eccessivamente ottimistica la speranza, comune alle due opposizioni, che l’eventuale squagliamento anticipato di questa maggioranza significhi, automaticamente, la fine della coalizione gialloverde e il ritorno a uno scenario (destra/sinistra) più sperimentato e usuale. In particolare il Pd appare scombussolato, frastornato e oscillante tra due opposte “narrazioni”: una che prende sul serio la vittoria dei populisti; l’altra che la ritiene vacillante, intenibile e segnata da contraddizioni tra un populismo “buono” (5 stelle) e uno “cattivo” (Salvini).
Identica, seppure opposta, la lettura che fa Berlusconi. La convinzione che traspare dalla profezia di Renzi è ovviamente la prima: il populismo al governo rappresenta una rottura reale, un cambiamento di fase, la manifestazione di mutamenti nelle credenze, nelle aspettative, nei valori proclamati di una larga fascia di elettorato. Tenuta insieme da una suggestione di radicalizzazione del “discorso pubblico” pregiudizievole per la prospettiva del paese e la sua collocazione internazionale. Il populismo, in questa lettura della realtà, va preso sul serio. E non c’è una versione “buona”, sociale, compassionevole, prossima ai valori della sinistra (l’eguaglianza, gli esclusi, gli ultimi ecc.) incarnata dai 5 stelle versus il bullismo lepenista della Lega. L’agenda sociale ed economica del populismo è una faccia della stessa medaglia, di una coalizione (altro che contratto) che si avverte “coerente”. La piattaforma “sociale” del Movimento non è solo “macroeconomicamente” irrealizzabile, velleitaria, impossibile nei conti. E’ distruttiva ed eticamente inaccettabile. E’ il “populismo” delle promesse pentastellate – il reddito di cittadinanza sganciato dal lavoro; l’antindustrialismo, l’avversione alle opere e alle infrastrutture; la demagogia energetica, il “piccolo è bello”, l’ambientalismo conservazionista – che non è meno “cattivo” del sovranismo e del bullismo leghista. E che porta al medesimo risultato: l’autarchia, la decrescita e, alla fine, il default del paese. Ma anche alla perversione, alterazione, malsanità sociale (avrebbe detto Gramsci): la decrescita che esaspera le ineguaglianze, che fa saltare il patto sociale, che crea eserciti di pensionati, di sussidiati, di arrendevoli. No: il populismo grillino non è affatto preferibile al celodurismo della destra. Sono entrambi “moneta cattiva”. Anzi. La politica macroeconomica e l’autoesclusione dall’Europa sembrano messi in difesa (posizioni del ministro Tria). E’, invece, sulla politica sociale (in totale disponibilità dei 5 stelle) che i vincoli sono “aggirabili”. E su cui il populismo può segnare una “perdita secca per il paese” (per dirla col bel libro di Alessandro Barbano) e la fuoriuscita dall’Europa. Se ne convinca il Pd. Renzi ha ragione quando imposta il suo attacco ai gialloverdi nei termini di “noi e voi” e della diversità “repubblicana” dell’opposizione al populismo. Ma, oltre Renzi, di questa lettura del populismo non v’è traccia nel Pd.
Anzi. C’è un rinculo: il ritorno a vecchie e difensive risposte. Colpisce che il “conservatore” e vecchio Berlusconi, arrendevole e illuso su Salvini, abbia annunciato una rivoluzione organizzativa, un ridisegno, un progetto nuovo per Forza Italia. Dal Pd, invece, sembra emergere un’illusione nostalgica, conservatrice, paralizzante, mortificante. La massima radicalità autocritica è lo slogan di Martina, da marketing di dentifrici, del “partire dai territori”. Di chi? Del Pd com’è oggi? Con quali innovazioni nel profilo, nei contenuti, nell’organizzazione, nelle parole d’ordine? Ma anche i “riformisti” (ho letto il Manifesto di Michele Salvati) sono deludenti. Il problema comune a tutte le correnti del Pd sembra essere soltanto “chiudere la fase di Renzi”. Magari con una pacificazione ecumenica intorno a una leadership (Gentiloni) che rappresenti il minimo comun denominatore tra lo stato maggiore. Bastasse questo! Non basterà. Il renzismo (non la persona di Renzi) sarà il convitato di pietra del dibattito nel Pd: ha rappresentato una piattaforma identitaria pregevole, un corredo di concetti e idee riformiste, una visione dell’Italia e del suo futuro che, forse rivisitate e aggiornate alla realtà del populismo al governo, non meriterebbero l’abiura e la cancellazione. Per sostituirle con cosa? Col vecchio lessico di sinistra eterna corretto dagli aggiusti solo verbosi e retorici del veltronismo? Del Pd prima maniera? E’ questo che ho trovato deludente del Manifesto di Salvati pubblicato dal Foglio. Un déjà-vu. E di innumerevoli volte. Che tocchi sperare, per qualcosa di nuovo, nel solito Renzi?