Il governo può ancora far male all'euro
L’Europa non è un bancomat. Il buon discorso di Tria è un sms per Di Maio e Salvini: se non ci intesteremo la riforma dell’Eurozona, non ci sarà alcuna solidarietà. Confini e moneta: ecco il “whatever it takes” che manca all’Italia
In tutte le storie d’amore, il rapporto tra due persone può concludersi se uno degli innamorati sceglie di imboccare improvvisamente una di queste due strade: la strada dell’esplosione o la strada dell’implosione. La strada dell’esplosione, che se volete potremmo chiamare “il piano A”, prevede una rottura violenta legata a un qualsiasi e improvviso fattore scatenante: un altro amore, una cotta non prevista, una condizione di vita cambiata. La strada dell’implosione, che se volete potremmo chiamare “il piano B”, prevede invece una rottura non violenta, lenta, legata a un progressivo logoramento del rapporto, che giorno dopo giorno tende a rosicchiare come un tarlo le gambe della storia d’amore. Il rapporto con l’euro di questo governo, se vogliamo, è una relazione che su Facebook verrebbe definita complicata ma grazie all’improvvisa prova di forza voluta dal presidente della Repubblica al termine delle consultazioni al ministero dell’Economia come tutti sappiamo non vi è un teorico dell’uscita dell’euro come Paolo Savona, convinto che un paese come l’Italia avesse il dovere di preparare un piano B per uscire dall’euro sia per volontà (esplosione) sia per necessità (implosione), ma vi è un gagliardo teorico della appartenenza necessaria dell’Italia alla zona euro: il professor Giovanni Tria. Grazie alla presenza di Giovanni Tria, almeno fino alla prossima campagna elettorale il tema dell’uscita volontaria dall’euro del nostro paese (esplosione) non sarà più un tema. Ma proprio grazie al professor Tria oggi possiamo ricordare che il nostro rapporto con l’euro, come in tutte le storie d’amore, non dipende solo dalla capacità che si ha di evitare un’esplosione ma dipende prima di tutto dalla capacità che si ha di evitare l’implosione. “La nostra azione in Europa – ha detto ieri Tria presentando la cornice entro la quale il governo si muoverà per costruire un Def che dalle parole del ministro dell’Economia sembra essere al momento in spassosa continuità con il governo precedente – deve essere volta verso una profonda riforma delle istituzioni economiche che governano l’Eurozona… L’area dell’euro è dotata di una politica monetaria unica e con obiettivi limitati, alla quale non corrisponde una capacità di bilancio in grado di sfruttare le economie di scala a livello europeo… In generale, vi sono chiari problemi sul piano del coordinamento necessario tra politica monetaria e politiche di bilancio. In sintesi, è necessario che l’architettura economica che governa l’area valutaria comune sia indirizzata alla crescita e alla convergenza”. In altre parole, il ministro Tria ricorda esplicitamente che senza portare avanti il complicato percorso di riforma dell’Eurozona – dall’unione bancaria alla creazione di un budget della zona euro fino alla trasformazione del fondo salva stati nel Fondo monetario Ue e l’assicurazione comune europea sui depositi bancari inferiori ai 100 mila euro (“European Deposit Insurance Scheme”) – l’Eurozona rischia di collassare. E implicitamente Tria offre agli azionisti dell’esecutivo di cui fa parte un tema sul quale varrebbe la pena riflettere: siamo consapevoli o no che senza scegliere gli alleati giusti in Europa l’Italia rischia di essere il paese che potrebbe più risentire della difesa dell’attuale status quo?
Al contrario di quello che si potrebbe credere, come ha giustamente ricordato venerdì scorso il numero uno di République En Marche Christophe Castaner dialogando con il Foglio, l’euro e l’Unione europea non sono due progetti irreversibili e la costruzione europea è una battaglia permanente. E per questo un governo che non considera una priorità la riforma dell’Eurozona, che sceglie di costruire alleanze con paesi euroscettici, che considera falsi amici gli unici leader che potrebbero aiutare l’Eurozona a crescere, che offre il fianco ai paesi che rifiutano qualsiasi riforma capace di creare una maggiore integrazione dell’Europa è un governo che se non farà suo il manifesto europeista di Tria rischia di rendere più vulnerabile l’Italia almeno per due ragioni. Primo: non fare di tutto per rafforzare l’Eurozona significa non fare di tutto per difendere l’euro e non difendere l’euro con tutti i mezzi a disposizione significa esporre prima o poi il debito pubblico del nostro paese alla speculazione finanziaria. Secondo: non fare di tutto per promuovere una maggiore integrazione dell’Europa significa non capire che se c’è un paese che rischia di pagare più degli altri il deficit di solidarietà quel paese si chiama proprio Italia. Per chiedere maggiore solidarietà sulle politiche di sicurezza (la ripartizione dei migranti e dei profughi) occorre lavorare per avere maggiore solidarietà sulle politiche economiche (Unione bancaria, budget della zona euro).
Ma per creare le condizioni per avere maggiore solidarietà in Europa – e mai come oggi complice la difficile condizione politica della Germania l’Italia avrebbe l’occasione per contare davvero nella triangolazione con Merkel e Macron – occorre prima rispondere a una domanda: la riforma dell’Eurozona è o non è una priorità di questo governo? La solidarietà, lo sappiamo, ha un prezzo e ha una responsabilità. Se chiedi responsabilità senza pagare un prezzo stai creando le condizioni per rendere possibile l’implosione. Nel migliore dei casi, l’implosione può riguardare il futuro di un governo. Nel peggiore dei casi, l’implosione può riguardare il futuro di un paese. Salvini e Di Maio chiedono all’Europa più responsabilità. Ma per avere più responsabilità gli azionisti di questo governo dovrebbero avere la forza di dire quello che finora non sono mai riusciti a dire: siamo pronti a fare di tutto per difendere, assieme ai nostri confini, anche la nostra moneta. La difesa dell’Italia passa dalla difesa dell’Eurozona. Ma per difendere l’Eurozona il governo Conte, già dal prossimo Consiglio europeo del 28 giugno, avrà il dovere di fare quello che ieri il ministro Tria ha implicitamente suggerito agli azionisti dell’esecutivo: ricordarsi che gli attuali alleati sono nemici non solo dell’interesse dell’Europa, ma sono prima di tutto nemici del nostro interesse nazionale.