Valeria Mancinelli, sindaco di Ancona (foto LaPresse)

Miracolo ad Ancona: ha vinto il Pd

Marianna Rizzini

“Macché baluardo”. La sindaca bis Valeria Mancinelli, striglia il partito

Roma. L’eccezione di luce per la giornata nerissima del Partito democratico che perde città storiche in Toscana e Umbria viene da Ancona, dove la sindaca uscente di centrosinistra Valeria Mancinelli è stata riconfermata con il 62,78 per cento dei voti. E però, nel centrosinistra, è subito dubbio: ad Ancona si vince perché ha vinto il Pd per com’è (con Verdi e liste civiche) o perché Mancinelli ha fatto quello che il Pd di solito non fa? L’interrogativo politico-esistenziale incombe in tutti i casi di vittoria anomala per il contesto di urne matrigne (vedi Roma, terzo Municipio, con vittoria di Giovanni Caudo, letta però come vittoria “del centrosinistra modello Zingaretti”). E insomma Mancinelli vince, ma la sua risposta a caldo alla domanda “perché avete vinto?” – “Perché qui abbiamo fatto quello che dovevamo fare ovunque. Qui la politica non ha pensato a se stessa ma ha cercato di pensare alla città… qui abbiamo fatto la politica utile, che tenta di trovare una risposta ai problemi di tutti. Abbiamo fatto quello che deve fare la politica” – getta in qualche modo nell’inquietudine chi, dall’altro lato, conta i voti persi a Siena, Pisa e Imola.

  

Anche perché, già dal ballottaggio, l’avvocato sessantatreenne Mancinelli – aspetto solido da professoressa di matematica al liceo classico (quella cioè che deve combattere con gente convinta che la matematica sia costituzionalmente una causa persa) – andava dicendo alle tv locali che a lei “il teatrino della politica” non piaceva, e che non le piacevano “gli slogan” e che ad Ancona i votanti avevano valutato “la credibilità” delle persone e non la fuffa (“le bufale”) e che definire Ancona “baluardo” della sinistra altrove perdente non era esatto: “Baluardo di niente”, diceva con sorriso severo il sindaco uscente e in via di rielezione alla fine del primo turno, ancora con divisa da campagna elettorale (dice un cittadino anconetano: “Magliettona fantasia fiorata o optical, sostituita soltanto nelle foto ufficiali da giacca squadrata con filo di perle, tipo immagini da salotto di casa”).

 

Baluardo di niente, cioè: non associateci troppo al quadro generale, non parlateci troppo di coalizioni, qui abbiamo sgobbato sul campo. E quando, alla vigilia del voto, sempre dalle tv locali (Ancona Today, per esempio), si cercava di scandagliare animo e vis polemica del sindaco uscente, Mancinelli, donna dal cursus politico vecchio stile, parlava di sé come di una persona “non indisponente”, ma “esigente con se stessa e con gli altri” e allergica “all’ipocrisia”. E ieri se n’è avuta la riprova quando, a scrutinio ultimato e vittoria in tasca, il sindaco ha approfondito l’analisi del voto, senza risparmio di critiche e con reprimenda neanche troppo velata: “Quando il Pd non fa opposizione ai governi che esprime a livello locale, ma è in sintonia con loro, il partito cresce e cresce il consenso”. O ancora: “L’alleanza si regge su due gambe, il Pd e il civismo diffuso” che “ha dato ai cittadini l’impressione di lavorare per portare a casa risultati concreti” (le liste civiche hanno preso circa ottomila voti). E però il Pd, ammaccato altrove, guarda ad Ancona come fosse il miraggio raggiunto, l’anticamera di una ripartenza impossibile da considerare a portata di mano quando, nelle regioni storicamente rosse, la perdita simbolica di poltrone di vertice dei consigli comunali ammazza le speranze e rinfocola le inimicizie interne.

 

Intanto, però, nell’Ancona dove la Lega e i Cinque stelle hanno trovato argine nell’avvocato Mancinelli, si respira l’aria del pericolo scampato: “Squadra vincente non si cambia”, dice il sindaco, raccontando la vittoria come la somma del graduale riconoscimento per le “piccole opere” costanti di “manutenzione” (c’era un assessorato dedicato) e come premio per una politica lontana dalla grandeur. Con chi ce l’aveva Mancinelli?, si sono domandati allora attorno al porto anconetano, luogo prediletto di un avvocato-sindaco che nel tempo libero ama passeggiare sulle banchine dove l’odore di salsedine “si mischia a quello della nafta”, ché per lei “è quello l’odore del mare” – e si capisce che la riconferma è anche figlia del buon rapporto con gli ambienti “operai” che altrove hanno abbandonato il Pd per i lidi populisti. Il resto lo fa, come avrebbe detto il filosofo-psicoanalista James Hillman, la “forza del carattere” di Mancinelli, la cui Weltanschauung affonda le sue radici nell’idea che “la vita reale” sia “ricchissima”, che “vada al di là di ogni pregiudizio” e che l’umanità “abbia un destino positivo”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.