S'avanza Zingaretti
Da trent’anni in politica, sempre un po’ invisibile. Ma ora il governatore del Lazio rieletto, il “fratello minore”, è in corsa per la segreteria del Pd
Non è un nome nuovo, ma ogni volta viene presentato come la pozione salvifica che si aveva in casa senza saperlo. Non è un nome imprevisto, ma è come se a quel nome venisse concesso il beneficio della prefigurazione speranzosa che sempre si concede alle sorprese. Fatto sta che Nicola Zingaretti, cinquantatreenne governatore del Lazio e candidato alla segreteria del Pd post-sconfitta (non sua: il 4 marzo è stato rieletto alla Regione), anche fautore di un’“Alleanza del Fare” (pensiero portante: “Ripartire dal territorio”), è da molti anni sulla scena politica (come ex segretario della Sinistra giovanile, ex europarlamentare, ex presidente della Provincia, governatore del Lazio con un primo mandato dal 2013), ma è come se agisse al riparo dai venti che nel Pd sferzano chiunque provi a restare anche soltanto un paio di giorni in prima linea. Il governatore c’è, ma è come se per lunghi periodi fosse stato invisibile ai più. C’è, ma è come se fosse andato e tornato dalla famosa Africa in cui mai si recò Walter Veltroni o nella famosa America a cui molti speravano guardasse Matteo Renzi dopo la sconfitta al referendum (secondo il celeberrimo consiglio-esortazione: Matteo sparisci dalla scena per un po’, vedrai poi come ti vengono a cercare). Eccolo dunque in piazza, Zingaretti: da trent’anni in politica, ma è come se i trent’anni non gli venissero addebitati dai fautori della resurrezione con novità. Eccolo il 28 giugno, a Santa Maria in Trastevere, tra Sant’Egidio e i bar, per festeggiare la vittoria pd in due municipi romani, piccola consolazione per il destino avverso del centrosinistra nella primavera-estate 2018. “Alleanza di popolo”, dice Zingaretti (intanto l’ex premier Paolo Gentiloni, a “Otto e mezzo”, con singolare sincronia, dice “alleanza ampia per l’alternativa”).
C’è, ma è come se per lungo tempo fosse stato invisibile ai più. E’ in politica da trent’anni, ma è come se non gli venissero “addebitati”
E dunque il mistero si biforca lungo due linee di dubbio: perché Zingaretti, anche scherzosamente detto “er saponetta” per via di una certa inafferrabilità, pare immune rispetto alle bufere interne che sempre decapitano i vertici ex Pci-Pds-Ds-Pd, sul modello speculare dell’altra eccezione (ma proveniente da storia ex Dc) Dario Franceschini? E perché Zingaretti, quando si espone, sembra comunque non esposto quanto chi si lancia sulla scena in contemporanea (vedi l’ex ministro Carlo Calenda, autore del manifesto omonimo per la riscossa degli antipopulisti)? Che ciò avvenga perché il governatore laziale si muove poco, e quindi senza pestare troppi piedi, o perché si muove molto, ma senza farsi troppo notare, c’è chi nel partito si è domandato perché mai l’ex sindaco di Venezia e filosofo Massimo Cacciari, in un’intervista al Fatto quotidiano in cui chiamava all’azione la dirigenza pd “innocente”, se ne uscisse con parole così tranchant: “Cuperlo, Barca, Boeri, Calenda, Zingaretti… anzi no, lui non si capisce quello che vuole”. Sia come sia, Zingaretti, dal giorno successivo alla tornata amministrativa (24 giugno) in cui il Pd ha perso città storicamente rosse nel bel mezzo delle regioni rosse, va ribadendo quello che dice da quando il Pd è stato sconfitto alle elezioni politiche (con qualche “prequel” nei mesi precedenti), e cioè che lui c’è: nel senso che la sua prossima corsa alla segreteria è ormai intenzione irreversibile, visto anche il sostegno a distanza del reggente pd Maurizio Martina, degli ex ragazzi del “modello Roma”, Walter Veltroni (e Goffredo Bettini) in testa, e di molti ex protagonisti della stagione governativa, dall’ex premier Paolo Gentiloni all’ex ministro dell’Interno Marco Minniti all’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando (che però prima vuole vedere le carte, vuole cioè capire su “quale base politica” intenda muoversi il candidato e governatore). In controluce si intravedono possibili punti problematici – c’è chi, nel Pd, stronca in partenza la candidatura (vedi Matteo Orfini, per il quale la nuova avventura zingarettiana “guarda al passato”) e chi, dalle parti di Gianni Cuperlo, non intende lasciar passare l’accumulo di cariche (segretario e governatore) – il passo in avanti di Zingaretti è stato salutato come catarsi per le preoccupazioni post-voto nell’area ex Pci-Pds-Ds del Pd: abbiamo un candidato, è il pensiero, anche se non abbiamo ancora chiaro il quadro complessivo (renziani ancora sospesi tra la voglia di fare un nome e quella di mettersi a guardare gli altri). Oppure: abbiamo un candidato, ma è la prima volta che il candidato, in prospettiva, sarà costretto a rinunciare all’immunità ufficiosa del ruolo: non si potrà insomma puntare sul fatto che Zingaretti abbia lavorato sul campo e lontano metaforicamente dal Nazareno, anche se il governatore, per il momento, insiste molto sul suo essere punto di riferimento per sindaci e amministratori anche non Pd (e circa duecento uomini del “Fare” sono davvero arrivati a Roma, nella sede della Regione, qualche giorno fa).
Flashback: è un giorno d’autunno anni Novanta, in un qualsiasi liceo storico romano in autogestione o in occupazione. Ogni volta che i rappresentanti degli studenti, nelle assemblee preparatorie delle varie attività, dicono “bisognerebbe invitare uno della Fgci che parli di razzismo, immigrazione, scuola, lavoro”, dal gruppo si alza una voce: “Nicola Zingaretti, invitiamo Nicola Zingaretti”. Ed è così che, anno dopo anno, autogestione dopo autogestione, il nome del neanche trentenne Zingaretti, già volontario di “Nero e non solo”, associazione impegnata sul tema “multiculturalismo”, comincia a girare per passaparola presso le aree studentesche di sinistra e anche presso i giovani antimafia (Zingaretti organizza il Campeggio giovanile antimafia a San Vito Lo Capo). “E queste sono cose che contano subliminalmente quando poi vai a chiedere i voti”, dice un dirigente pd che conosce il governatore del Lazio dagli anni della militanza, a cavallo tra la fine del Pci e la nascita del Pds. Tanto più che l’allora militante Nicola, figlio di famiglia borghese con padre direttore di banca e madre impiegata Inail e appassionata di politica (nonché cuoca volontaria a ogni festa dell’Unità romana), diventa nel 1991 segretario nazionale della Sinistra giovanile, l’associazione dei giovani pds post Fgci, e nel 1992 viene eletto consigliere comunale.
Ieri era “quello della Fgci” sempre invitato alla assemblee, oggi “quello sempre misteriosamente immune” rispetto alle tempeste interne
Ma non è l’unico Zingaretti, Nicola, sulla scena cittadina. L’altro Zingaretti, Luca, fratello maggiore e futuro volto del commissario Montalbano, dopo aver frequentato l’Accademia d’Arte drammatica, comincia a essere riconosciuto per strada. Ha già lavorato in “Gli occhiali d’oro” di Giuliano Montaldo. E a metà dei Novanta sarà ne “Il branco” di Marco Risi, film ispirato a una storia vera di stupro di gruppo nelle campagne romane. Sono gli anni in cui il fratello minore Nicola sceglie in via definitiva il suo percorso: la politica è stata “come un’onda”, ha detto qualche mese fa a Vanity Fair: “Sai quando cammini sul bagnasciuga, tu non te l’aspetti, lei arriva e ti ritrovi tutto bagnato? Ecco per me la politica è stata una cosa così. Non l’ho mai scelta, mi ci sono trovato in mezzo, zuppo”. In quell’intervista Zingaretti, ricordando l’infanzia “di quartiere” alla Montagnola, in cui si sentiva “parte di qualcosa”, sembra disegnare i confini entro cui muoversi per la corsa alla segreteria del Pd. I ricordi fanno da traccia per l’operazione recupero dei “valori di sinistra” perduti: “… le sere a vedere, con tutta la famiglia, i film della rassegna Massenzio, e le gambe di mia madre su cui mi addormentavo sulla spiaggia di Castelporziano, dove andavamo per seguire il Festival dei poeti. Era una bella Roma, in cui ti sentivi legato alle persone, anche a quelle che non conoscevi, attraverso il fare insieme le cose”. E anche ora che Zingaretti vive nel meno popolare quartiere Prati con la moglie Cristina, conosciuta negli anni della scuola a una manifestazione, e le figlie adolescenti, capita che dica, non si sa se come slogan preventivo o come ritornello interiore, che chi vuole fare politica oggi “deve prendere l’autobus” come doveva prenderlo ieri chi volesse, nel cinema, seguire il consiglio dello sceneggiatore Cesare Zavattini. Prendere l’autobus e fare la spesa, dice Zingaretti, e in effetti molti bagnanti in località Capalbio Scalo, dove Zingaretti ha una casa, ricordano il governatore con le buste di plastica al forno, al supermercato o nei pressi del cosiddetto “parcheggione” all’inizio del paese, anche se l’evento locale che più ha colpito l’immaginazione dei vacanzieri resta il furto notturno a casa del governatore, al momento del fattaccio presente in casa e addormentato come il resto della famiglia.
Ogni volta che deve annunciare qualche svolta, va alla Casina Valadier. A Capalbio girava con la busta della spesa
Flash forward: è il 5 marzo 2018 e Nicola Zingaretti, rieletto governatore, è l’eccezione nella disfatta Pd: vincitore, sebbene senza maggioranza (motivo per cui, in controtendenza rispetto alle sorti nazionali gialloverdi, nel Lazio si assiste all’intesa cordiale Pd-M5s, con Roberta Lombardi aperturista “sui singoli temi” e di fatto non belligerante). Il discorso della vittoria zingarettiana al Tempio di Adriano – “si apre una nuova fase”, dice il governatore, “in cui la nostra alleanza del fare, così l’abbiamo chiamata, deve dare il suo contributo culturale per ricostruire e rigenerare il centrosinistra” – fa capire che il tempo congressuale è giunto. Impressione confermata il 25 giugno quando, all’indomani dei ballottaggi e della seconda disfatta pd, Zingaretti dice che “un ciclo storico si è chiuso”, che “vanno ridefiniti un pensiero strategico, le forme del partito e il suo rapporto con gli umori più profondi della realtà italiana, l’organizzazione della partecipazione e della rappresentanza nella democrazia… in questi anni non ci sono sfuggiti i dettagli ma il quadro d’insieme. C’è un lavoro collettivo da realizzare, deve partire subito e coinvolgere non solo il Pd . E ‘ il momento del coraggio, della verità e della responsabilità”. E però non tutti concordano con l’analisi del governatore. Matteo Orfini – come Zingaretti proveniente dalla filiera post Pci (era pupillo politico del Massimo D’Alema che con Zingaretti ha sempre avuto ottimi rapporti), ma a differenza di Zingaretti spostatosi verso Matteo Renzi – dice che nel Lazio il governatore “ha vinto con una coalizione larga, sì, ma con la destra divisa. Fosse stata unita, avremmo perso. Il punto non è quanto allarghi la coalizione ma quanto convinci i cittadini”. Intanto, dalla sinistra extra pd che inizialmente guardava con aria critica alla ricandidatura di Zingaretti, poi attestandosi su posizione possibiliste, arrivano segnali distensivi ma con riserva. Tanto che Stefano Fassina, l’ex viceministro dell’Economia ora deputato di Leu, fa intuire future chiusure a riccio in caso di sbilanciamento verso una linea “liberista” (vedi Calenda): “Caro Nicola”, scrive Fassina in una lettera aperta, “attenzione: giustapporre intorno al Pd ‘liberato’ esperienze civiche, buone classi dirigenti amministrative, intellettualità fresca è certamente condizione necessaria, ma non sufficiente a mettere in campo un adeguato e credibile progetto politico per il nostro Paese… quali interessi si punta a rappresentare, a tutelare, a promuovere? Il ‘tuo’ Pd chi vuole rappresentare? L’ordine mercantilista dei Trattati europei e dell’eurozona colpisce nella sua fisiologia il variegato popolo delle periferie economiche, sociali e culturali, mentre beneficia le filiere dell’export di qualità, i ceti medi riflessivi, le aristocrazie culturali e amministrative, insomma la constituency potenziale del Fronte repubblicano, purtroppo minoranza sociale prima che elettorale. Il Pd ridefinito sul piano del pensiero strategico e della collocazione politica …come intende sottrarsi alla morsa europeismo liberista, da un lato, e nazionalismo dall’altro?”.
Detto “er Saponetta”, è stato capo della Sinistra giovanile, europarlamentare e presidente della Provincia
In mezzo, tra lo Zingaretti anni Novanta (Sinistra giovanile) e lo Zingaretti candidato segretario pd di oggi, ci sono i momenti in cui il solitamente invisibile ex militante della Montagnola esce dal dietro-le-quinte. Attimi, ma attimi che fanno venire il dubbio di una prova generale. C’è l’attimo del 2010 in cui Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, prende il microfono alla Casina Valadier durante una serata elettorale per Emma Bonino candidata governatore del Lazio, e gli astanti capiscono che Zingaretti parla per la candidata, sì, ma da futuro candidato ad altro, alla presenza, tra gli altri, di Ascanio Celestini, Simona Marchini, grandi professori e grandi costruttori.
E c’è l’attimo in cui, nel gennaio 2012, Walter Veltroni, fondatore del Pd, incorona preventivamente Zingaretti: “Dobbiamo fare in modo che Nicola possa diventare sindaco di Roma”. Seguirà effettivamente una candidatura di Zingaretti alle primarie per il sindaco, annunciata in giugno sempre alla Casina Valadier, luogo ricorrente nei momenti di svolta della carriera del futuro governatore. Poi però, in autunno, il candidato in pectore per il Comune convoca una conferenza stampa per annunciare la sua corsa alla Regione, dopo le dimissioni anticipate di Renata Polverini. Da quel momento nulla è più come prima, men che meno la sensazione che Zingaretti, a dispetto delle apparenze, come poi dimostreranno i fatti, voglia davvero accoccolarsi a tempo indeterminato nella politica locale.