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Teresa dei popoli

Marianna Rizzini

Bellanova, la renziana che appare talmente poco renziana da accendere i sogni renziani

Roma. Si fa il suo nome tra le righe, nel Pd (e su Repubblica), per un’eventuale corsa alla segreteria in quota renziana e in concorrenza con Nicola Zingaretti sull’ipotetica ripresa delle pecorelle smarrite in area LeU o Cinque stelle, ma che sia suggestione, wishful thinking o mezza verità il punto è un altro: la senatrice Teresa Bellanova da Ceglie Messapica, Puglia, più volte deputata, già viceministro allo Sviluppo economico nel governo Gentiloni (con Carlo Calenda ministro) e già sottosegretario al Lavoro nel governo Renzi, plenipotenziaria sui dossier Ilva e Thyssen, ex bersaniana che per nemesi crudele in marzo ha sfidato Massimo D’Alema in terra pugliese, nemica di Michele Emiliano, è un nome che solitamente viene fatto nei momenti in cui si vuole certificare l’anima di sinistra del principale partito di centrosinistra (e di minoranza). Bellanova infatti, una che a quattordici anni lavorava come bracciante (la sua famiglia, ha raccontato, non poteva permettersi di farle proseguire gli studi) e aveva colleghe che facevano chilometri di cammino per una giornata di lavoro, una che a vent’anni era già sindacalista con alle spalle una brutta esperienza con i caporali che, ha scritto l’Espresso, andavano “a cercarla con le pistole” e che a trenta era moglie di un traduttore di origine marocchina conosciuto durante un viaggio Cgil in Africa, ha il physique e l’eloquio molto applaudito di una che pare presa da un Pantheon post comunista lontano miglia e miglia dal renzismo. Invece, per dire, Bellanova ha difeso il Jobs Act a spada tratta, segno che l’abito – caftano da circolo multiculti e prosa da Cipputi rivisitato in chiave meridionalista – non fa più il monaco, anche se l’ha fatto ai tempi in cui l’articolo 18 pareva muro invalicabile. E quando qualcuno, in passato, ha provato ad accusarla di “tradimento”, Bellanova, ex militante del Pci e poi convinta esponente del Pd, ha risposto difendendo il nuovo con frasi di orgoglio vintage: “Ma come si può pensare di mettere in discussione un grande progetto come il Pd per fare un Pci in miniatura? Io ho preso a 14 anni la tessera del Pci, ho fatto la bracciante agricola e poi la sindacalista, e penso sia avvilente che quelli che sono stati i miei dirigenti vengano a spiegarmi cos’è la sinistra pensando che con qualche evocazione risolvono i problemi… Non è che ci si riunisce in un teatro una mattina e si decide chi è e chi non è di sinistra… Sì, sono di sinistra e sto con Renzi. La sinistra sono anche io, la mia storia e le migliaia di militanti che nel Pd vogliono restare con fierezza”.

   

E oggi, da renziana non originaria ma convinta, Bellanova non lesina parole di elogio all’azione dei governi con cui ha collaborato “in difesa” dei deboli (“come amo dire spesso, le promesse stanno a zero. In questi anni, prima col governo #Renzi e poi con quello #Gentiloni abbiamo lavorato per cercare di dare una mano a chi aveva meno. Da domani, 3 milioni e mezzo di pensionati riceveranno la quattordicesima. Sono fatti concreti”, ha scritto su Twitter il primo luglio), senza tuttavia mai avere l’aria da inner circle renziano contro cui tanto si accaniscono gli avversari di Renzi. E dunque, al momento di pronunciare il “no” al governo Conte, Bellanova, in Senato, ha rispolverato la cosiddetta “orazione in stile Pelizza da Volpedo”, come dicono nel Pd, evocando il Quarto Stato che avanza sotto forma di Sud bistrattato verbalmente da chi, come il ministro a Cinque stelle per la Coesione territoriale Barbara Lezzi, crede, ricorda Bellanova, “che il Pil cresca con l’uso dei condizionatori”. Ragione in più per motivare il giudizio negativo sull’esecutivo gialloverde con un j’accuse sulla “rimozione” del Mezzogiorno. “Lei è uno che legge”, ha detto Bellanova al neopremier reduce dal primo discorso in Senato, “lo si capisce dalle tante citazioni”, ha incalzato, ma sul Sud, questo il pensiero sotteso al discorso della senatrice, non deve aver letto granché visto “l’imbarazzante silenzio” sul tema. “La rappresentanza del lavoro e la difesa dei diritti delle persone costituiscono il tratto caratteristico e irrinunciabile del mio impegno politico e sindacale e la mia stessa dirittura di vita”, scrive Bellanova nella sua biografia online, e non c’è discorso in cui il concetto non venga ribadito e declinato in ogni possibile variante, particolare che facilita le fantasie di chi, tra i suoi fan, la vorrebbe vedere in prima linea nell’opera di rifondazione del perduto immaginario da partito (non più?) dotato di popolo.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.