Un paese libero ha bisogno di avere parlamentari liberi economicamente
La storia ci insegna che chi toglie o riduce la libertà dei politici prima o poi la riduce al paese. Per questo i vitalizi non sono paragonabili alle pensioni ordinarie
In un’Italia affannata da mille problemi e in una Europa a rischio disgregazione si continua il “processo popolare” ai cosiddetti vitalizi parlamentari, nuovi simboli della modernità a poco prezzo sui quali si può, anzi si deve sparare a palle incatenate. Il vitalizio parlamentare per ciò che decisero i padri costituenti, ancora quasi tutti viventi negli anni Sessanta, altro non era che l’attuazione di un principio costituzionale, e cioè il rafforzamento permanente della libertà dei singoli parlamentari ai quali veniva dato anche una libertà economica (l’indennità mensile) e una previdenziale (il vitalizio). Al costo di quest’ultimo concorrevano i contributi dei singoli parlamentari e un contributo delle Camere.
Grazie a quella libertà, personalità prive di mezzi poterono concorrere alla guida del paese esercitando la più alta attività, quella legislativa, affrancati dal bisogno del presente e del futuro senza arricchimenti ma con una dignità economica all’altezza di una funzione di rappresentanza democratica non riservata alle classi proprietarie come in passato. Fu questo il modo per sostenere quella convinzione profonda che legava la libertà del singolo parlamentare privo di vincolo di mandato alle libertà del paese come definito dall’art. 67 dalla Costituzione. Un paese libero, insomma, ha bisogno di avere parlamentari liberi anche economicamente per quel tanto che consente, come già detto, la dignità della funzione legislativa. Nella infuocata e spesso tracimante battaglia di questi ultimi tempi quella garanzia di libertà è stata dolosamente trasformata in un repellente privilegio da mettere alla gogna per poi abbatterlo. Non a caso chi oggi sostiene la omologazione dei vitalizi parlamentari alle pensioni ordinarie sono gli stessi che vogliono introdurre il vincolo di mandato per cui il parlamentare non rappresenterà la nazione ma solo il proprio partito o, ancora peggio, il segretario di partito di turno che gli possa garantire anche una futura rielezione. E così i parlamentari perderanno non solo la libertà economica ma anche la libertà di azione e di pensiero come da anni sta accadendo con la crescita dei partiti personali. La posta in gioco, alla fine della giostra, è l’annullamento della democrazia rappresentativa a favore di quella democrazia diretta che è l’anticamera di un nuovo strisciante autoritarismo.
La storia, infatti, ci insegna che chi toglie o riduce la libertà del parlamentare prima o poi la riduce al paese. Sono queste le ragioni per cui i vitalizi non sono paragonabili alle pensioni ordinarie che rispondono a esigenze diverse e universali. Ma c’è di più. Con la rottura di un principio del nostro stato di diritto, quello della non retroattività di ogni nuova disposizione, si apre una nuova stagione come preannunciato dal capo politico dei Cinque stelle che si appresta a toccare le pensioni più alte che abbiano goduto del sistema retributivo, per poi passare a milioni di persone, perché quel sistema è stato applicato alla stragrande maggioranza degli italiani. Non suoni offesa ma la delibera dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati ricorda, in versione comica, le gesta tragiche dei talebani in Afghanistan. Questi ultimi demolirono a furor di popolo i simboli monumentali del passato per cancellarlo e così facendo ridussero la libertà di quel paese lontano. I nostri nuovi e giovani governanti, invece, finirebbero per aggredire, sempre a furor di popolo ma più modestamente, i trattamenti previdenziali dei loro predecessori che costruirono la Repubblica difendendola dal terrorismo brigatista e dallo stragismo della destra e finiranno, lentamente, per ridurre gli spazi di libertà di tutti. Il nostro passato al servizio del paese non sarà intaccato dalle eventuali scorribande di una mediocrità culturale nel mentre, purtroppo, avanza a grandi passi un Parlamento meno libero nei suoi componenti alcuni dei quali utilizzano un lessico antico (Rousseau, cittadino, direttorio, contratto) che all’epoca aprì le porte alla democrazia moderna mentre oggi altro non sarebbe che il frutto velenoso di una comicità che pensa di potersi trasformare in cultura politica.