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È l'Europa il nostro Cristiano Ronaldo

Claudio Cerasa

È il vaccino contro l’isteria populista, ma è anche l’alibi per far saltare tutto. Cosa farà l’Italia col principio di realtà

La politica dell’incompetenza, dell’irresponsabilità, dell’approssimazione quando non trova di fronte a sé un’opposizione capace di esprimere in modo chiaro una proposta alternativa di solito ha un unico argine capace di raffreddare in modo graduale le sue pazzie. L’argine è gelido, impersonale, anonimo e grosso modo coincide con il filo spinato che prima o poi ogni populista sprovveduto arrivato a guidare un paese deve decidere se scavalcare oppure no: il principio di realtà.

 

Nei paesi fortunati, il principio di realtà diventa il migliore alleato dei populisti e gli permette di avere un alibi per istituzionalizzarsi e non realizzare le proprie pazzie: fidatevi di noi, vi abbiamo promesso la luna ma questo è il massimo che si può fare. Nei paesi meno fortunati, il principio di realtà diventa il peggior nemico dei populisti e tende a trasformarsi in un alibi che le forze anti sistema usano per nascondere la propria incapacità: noi abbiamo provato a darvi la luna, ma non ce l’hanno fatto fare, e per questo dobbiamo ribellarci ancora di più.

 

A poco più di trenta giorni dalla nascita del governo Conte, l’Italia di Salvini e Di Maio si trova in una condizione a metà tra le due posizioni descritte e non passa giorno senza che le promesse fuori dal mondo e senza coperture del leader della Lega e del leader del M5s non vengano ridimensionate dai custodi del buon senso. Vale per il ministro della Realtà Giovanni Tria. Vale per il ministro della Quiete Enzo Moavero Milanesi. Vale per il ministro della Continuità Elisabetta Trenta. E il gioco lo conosciamo. Salvini e Di Maio promettono di realizzare un programma da 100 miliardi di euro all’anno e il ministro della Realtà dice: col piffero. Salvini e Di Maio promettono di disinnescare le sanzioni alla Russia e il ministro della Quiete dice: col piffero. Salvini e Di Maio promettono di agire in discontinuità sulla Difesa e il ministro della Continuità dice col piffero.

 

Ogni governo populista, specie quando quel governo non ha competenza, tende in modo naturale a essere simile a una scatola vuota, pronta a essere riempita e completata da chiunque sappia esercitare un briciolo di potere. Nella prassi quotidiana, per governare l’ordinaria amministrazione la scatola vuota tende a essere riempita da chiunque abbia prossimità con i governanti (nel migliore dei casi ci sono i mandarini di stato, nel peggiore dei casi i poteri loschi eterodiretti dalle piattaforme digitali).

 

Quando dall’ordinaria amministrazione si passa invece alla progettazione la scatola vuota tende a essere riempita da chiunque abbia un briciolo di competenza (cosa che ai ministri farebbe comodo, considerando per esempio che l’unico decreto legge presentato finora, il “decreto dignità”, annunciato il 14 giugno, firmato in Cdm il 2 luglio, non è ancora stato pubblicato neppure in Gazzetta Ufficiale) e la competenza quando viene accettata è sempre sinonimo di Europa. E’ grazie alla linea europeista che l’Italia è riuscita a non diventare il nuovo bersaglio della speculazione. E’ grazie alla linea non sovranista che l’Italia potrà riuscire a governare l’immigrazione dalle coste africane. E’ grazie alla linea europeista che l’Italia riuscirà forse ad affrancarsi dalle alleanze anti italiane costruite in Europa da Salvini e Di Maio. Al momento del dunque, dovendo scegliere che cosa fare con i propri istinti populisti, i governi sono sempre portati a scegliere da che parte stare. Vale per la Grecia di Tsipras. Vale per il Regno Unito di May. Non sappiamo se varrà anche per l’Italia di Conte. Il principio di realtà è il Cristiano Ronaldo dell’economia. Ma per un governo formato non da uno ma da due populisti il principio di realtà potrebbe presto trasformarsi in qualcosa di diverso: in un pretesto utile non per allungare ma per accorciare la vita del governo. Non ce l’hanno fatto fare, signora mia.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.