Oltre il vertice di Innsbruck
Minniti ci dice come il sovranismo può portare alla morte di Schengen
“L’Italia è più forte nell’Ue: le regioni del nord lo sanno. Se salta la libera circolazione, si ritorna ai nazionalismi contrapposti”
Roma. “Non mi faccia fare il controcanto di qualcun altro…”, Marco Minniti non ha voglia di indossare i panni dell’anti qualcuno. Tornato al rango di deputato semplice che si auto-organizza l’agenda (e risponde al telefono dell’ufficio), Minniti si concede per qualche istante prima di partire per il Mugello, direzione Festa dell’Unità. Il dossier immigrazione monopolizza il dibattito pubblico, non si ragiona d’altro, non si twitta d’altro, anche a causa dell’iperattivismo dell’attuale inquilino del Viminale, Matteo Salvini. In queste ore tiene banco l’epopea della nave Diciotti, guardia costiera italiana, pronta ad attraccare a Trapani, forse. “La gestione di 67 migranti – Minniti sillaba il numero – viene amplificata da una esasperata strategia mediatica, tutta tesa ad alimentare una tensione continua su una questione che andrebbe affrontata con un approccio pratico e scevro da strumentalizzazioni”. A bordo della nave, oggetto dell’ultimo braccio di ferro interno all’esecutivo, si contano pachistani, sudanesi, libici, marocchini, palestinesi: nessuno di loro proviene da paesi in guerra. “Forse l’unica novità è che c’è pure un bengalese, non accadeva da un po’ – commenta l’uomo che si è appuntato al petto la medaglia del meno-80-per-cento, il calo degli sbarchi registrato da giugno 2017 – Non si va lontano se si ragiona in termini di emergenza. L’immigrazione è un fenomeno epocale da affrontare con misure strutturali. Noi siamo andati in Africa e abbiamo costretto l’Europa a seguirci. L’accordo con la Libia, siglato dal governo Gentiloni, ha fornito i mezzi alla guardia costiera libica, e con l’Unione europea ne ha formato il personale tecnico e militare, al fine di assicurare il controllo delle loro acque territoriali. In questi mesi decine di migliaia di persone sono state salvate e riportate in Libia. Se le tribù dei Tabu e dei Suleyman, in guerra tra loro, hanno firmato la pace a Roma, al Viminale, ciò è stato possibile grazie a un’intensa attività diplomatica. Un lavorio discreto, senza clamore. Il rischio è che, sopraffatti dalla spasmodica ricerca di titoloni ed effetti pirotecnici, si perdano di vista i risultati concreti”.
Alla riunione informale dei ministri dell’Interno dell’Ue, a Innsbruck, la questione dei movimenti secondari mette a repentaglio la sopravvivenza di Schengen. Berlino minaccia di chiudere le frontiere innescando una reazione a catena in Austria e quindi al Brennero. “Se vince l’ideologia, si chiuderà il Brennero e sarà la fine di Schengen, con gravi danni per il nostro paese. L’Italia è più forte nell’Ue: le regioni del nord lo sanno bene. Se salta la libera circolazione, si ritorna all’epoca dei nazionalismi contrapposti. I miei confini contro i tuoi. Il paradosso del nazionalismo risiede nel suo essere, per natura, alieno dalla possibilità di costruire alleanze con chiunque abbia la medesima vocazione. Inoltre, i nazionalpopulisti s’illudono che l’immigrazione sia un problema da affrontare dentro l’Europa. Ma i destini dell’Europa e dell’Africa sono intrecciati. La fragilità di tale visione è emersa al Consiglio europeo di Bruxelles. Per iniziativa degli odiatissimi francesi e malgrado l’opposizione dell’amatissimo gruppo di Visegrád, il governo italiano ha chiuso un accordo minimale che rende praticamente impossibile modificare il trattato di Dublino; fissa il principio di volontarietà per i ricollocamenti infra-europei; conserva l’obbligatorietà per i rimpatri nei paesi di primo arrivo, Italia in testa. Un capolavoro”.
In chiusura, una domandina sul Pd: circola il suo nome tra i papabili nuovi leader. “Non esiste. Non appartengo ad alcuna corrente, sono un solista per vocazione. Il mio attuale compito è maieutico: stimolare la discussione per tirar fuori il meglio di noi stessi”. Un’impresa, non c’è che dire. Intanto Maurizio Martina è il nuovo segretario. “Da statuto, Martina dovrebbe restare in carica fino al 2021, a meno che non si dimetta o non venga sfiduciato”. Qualcuno ha notato la sua partecipazione alla Festa dell’Unità di Scandicci; a sorpresa, è sbucato pure Matteo Renzi che si è trattenuto con lei. “Un gesto che ho apprezzato. Conoscevo già Scandicci: bel posto, bella gente”.