I tre fronti della partita Rai
La Vigilanza, i membri del cda e i vertici di Viale Mazzini (quando il gioco non è lo stesso per i vari tavoli). Gli occhi comunque rivolti verso il Mef
Roma. C’è il rito estivo delle nomine Rai – leggenda vuole che sempre in luglio avvengano le rivoluzioni in Viale Mazzini – ma stavolta il modulo d’azione è diverso. C’è quella sensazione di inconoscibilità di quello che prima pareva già visto e già sentito, complici i tempi gialloverdi che impongono lo scarto. C’è che le soluzioni prospettate divergono per qualche particolare da quelle immaginate presso i quartieri generali dell’opposizione (a sinistra e a destra) ma pure presso la maggioranza.
E così, nel giorno in cui il Partito democratico si riunisce a Tor Bella Monaca per cercare di recuperare la perduta base, in Parlamento si eleggono i presidenti delle Commissioni di garanzia, e dunque per la Vigilanza Rai viene nominato l’ex giornalista Mediaset Alberto Barachini (al Pd va invece la presidenza del Copasir, dove siederà Lorenzo Guerini). Ma non appena il nome di Barachini si leva nell’aria di mezzogiorno, confermando le indiscrezioni della sera precedente, è il metodo che finisce sotto accusa: qui state rifacendo il patto del Nazareno, anzi peggio, dicono Giuseppe Giulietti e Raffaele Lorusso dalla Fnsi, e Vittorio Di Trapani dall’Usigrai: “Siamo all’istituzionalizzazione del conflitto di interessi. Affidare la presidenza della commissione di Vigilanza a un ex dipendente Mediaset è un passo senza precedenti… E’ incredibile che questo avvenga in un silenzio assordante. E’ una partita alla quale hanno partecipato tutti i principali partiti… qual è lo scambio tra tutti i partiti? Qual è l’indicibile patto sulla pelle della Rai servizio pubblico?”.
E se qualcuno canta vittoria in nome dell’“accordo” tra opposizioni finora non molto coalizzate (Matteo Salvini è in qualche modo, per consuetudine di passato prossimo politico, fin troppo contiguo al centrodestra), c’è anche qualcuno che, verso il margine estremo del campo non-governativo, proprio attorno alle nomine Rai si butta per marcare la differenza da questi (Pd e Forza Italia) e da quelli (Cinque stelle e Lega). Dice dunque da LeU Roberto Speranza: “Con l’accordo di Pd e Forza Italia e con il beneplacito di Lega e Cinque stelle si mette nelle mani di un uomo Mediaset e della famiglia Berlusconi la commissione di Vigilanza della tv pubblica. E’ questo il cambiamento che volevano gli italiani? Dove sono finiti tutti quelli che si scandalizzavano per il conflitto di interessi?”. “Come mettere il lupo a guardia delle pecore”, dice sempre da Leu Nicola Fratoianni. Fatto sta che intanto l’accordo non soltanto tra opposizioni produce, sulla Rai, anche l’elezione di Antonello Giacomelli (Pd) e di Primo Di Nicola (M5s) alla vicepresidenza della Vigilanza – e il curriculum dei due non è neutro: Giacomelli, nella legislatura precedente, è stato sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni. Di Nicola, pur essendo alla prima legislatura, è un cinque stelle atipico e di provenienza non destrorsa (laureato in filosofia, giornalista all’Espresso e al Fatto quotidiano).
Ma la partita vera è da un’altra parte, è aperta da tempo ed entra nel vivo non appena il Parlamento elegge i membri che, secondo la nuova legge, deve scegliere per il cda Rai: al Senato la manager televisiva Beatrice Coletti (“vincitrice” della votazione online a cinque stelle sulla piattaforma Rousseau) e la storica dell’arte Rita Borioni (Pd, ma sostenuta anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia), già membro di cda Rai; alla Camera il manager di Moleskine Igor De Biasio (in quota Lega, con il sostegno di tutta la maggioranza) e l’esperto di comunicazione ed ex presidente di Rainet Giampaolo Rossi, area Fratelli d’Italia. Dei restanti consiglieri – due di indicazione governativa e uno scelto dai dipendenti Rai – è quest’ultimo che desta curiosità: si voterà fino alle 21 del 19 luglio. Chi sarà? E quali indicazioni simboliche sul futuro della televisione pubblica saranno leggibili all’esterno, dopo la nomina fatta con lessico da “democrazia dal basso”, ma con legge proveniente da non lontanissimi tempi renziani? E mentre ogni piccolo movimento nei corridoi di Viale Mazzini suscita letture da fondo del caffè, la terza partita – nomina di ad e presidente Rai – resta sospesa nonostante l’aleggiare di nomi: da Fabio Vaccarono (vertice di Google Italia) a Fabrizio Salini (ex direttore de La7) all’ex parlamentare leghista, già membro di cda, Giovanna Bianchi Clerici (per la presidenza). E alla fine di questo e di quel gioco, come per altre partite di questi giorni, gli occhi si volgono sempre e comunque verso il ministero del Tesoro.