Il (mini) taglio del cuneo fiscale di Di Maio è in linea con il Jobs Act
Il maxi taglio del costo del lavoro annunciato è solo un mini sgravio, che conferma una norma dei governi Pd
Roma. “Ci saranno centinaia di milioni di euro di incentivi agli imprenditori per assumere a tempo indeterminato. Sono 300 milioni di euro all’anno, che gli permetterà di abbattere del 10 per cento il costo del lavoro”, ha dichiarato Luigi Di Maio parlando di un emendamento che modificherà il “decreto dignità”. C’è una novità di fondo rispetto al lavoro, con un passaggio da un approccio punitivo (aumento delle tasse per i contratti a tempo determinato) a uno incentivante (decontribuzione per i contratti a tempo determinato). Ma, come spesso accade con il ministro del Lavoro, bisogna interpretare i suoi pensieri indefiniti per determinare l’impatto del provvedimento. Si tratta, come lascia intendere, del taglio di 10 punti di cuneo fiscale? Impossibile, costerebbe circa 20 miliardi, altro che 300 milioni. Un’altra interpretazione, allora, è che Di Maio parli di un taglio del 10 per cento del cuneo fiscale. Ma anche in questo caso i conti non tornano. Secondo il rapporto “Taxing wages 2018” dell’Ocse l’Italia ha il cuneo fiscale – imposizione sui redditi più contributi sociali – del 47,7 per cento, il terzo più alto dopo Belgio e Germania: un taglio del 10 per cento del cuneo fiscale (e non di dieci punti), costerebbe più di 9 miliardi.
E’ evidente che sono due ordini di grandezza diversi: con 300 milioni si più ridurre il cuneo fiscale del 10 per cento per un paio settimane, non per un anno intero. A questo punto, per delimitare ulteriormente il campo, l’ipotesi è che la decontribuzione di Di Maio non si applichi a tutti i contratti a tempo determinato, ma solo a quelli nuovi. Secondo i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, nei primi cinque mesi del 2018 i nuovi contratti a tempo indeterminato sono stati 744 mila. Proiettando questo dato su base annuale otteniamo quasi 1,8 milioni di nuovi contratti, che divisi per i 300 milioni messi a disposizione da Di Maio fa circa 17 euro al mese di sgravio. Uno sgravio piccolissimo, molto lontano dal 10 per cento del costo del lavoro. Allora proviamo a delimitare ulteriormente il campo. Probabilmente Di Maio non intendeva tutti i nuovi contratti a tempo indeterminato, ma solo le “trasformazioni”: una decontribuzione per agevolare il passaggio da un contratto cosiddetto precario a uno stabile. Tra l’altro si tratta di un fenomeno nel mercato del lavoro che sta andando particolarmente bene. Sempre secondo i dati dell’Inps nei primi cinque mesi dell’anno c’è stato un aumento delle trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato del 45 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Sommando anche i rapporti di apprendistato confermati alla fine del periodo formativo, nei primi cinque mesi dell’anno ci sono state circa 220 mila trasformazioni, che proiettate su base annua arriverebbero a oltre mezzo milione. “Di Maio parla di 300 milioni di euro annui, per ora. Quanto fa 300 milioni diviso mezzo milione? – si è chiesto Mario Seminerio su Phastidio – Con un complesso algoritmo, farebbe 600 euro annui, cioè 50 euro mensili. A voi risulta che 50 euro mensili siano un decimo del costo del lavoro, in Italia?”. La risposta è, ovviamente, no.
A questo punto, sempre cercando di dare forma e sostanza alle parole del ministro Di Maio, tocca restringere ulteriormente l’ambito di applicazione dello sconto. Se l’obiettivo è quello di ridurre il precariato, che colpisce soprattutto i giovani, l’incentivo alla stabilizzazione potrebbe essere circoscritto sulla base dell’età. Probabilmente il ministro Di Maio sta pensando a qualcosa come a uno sgravio contributivo per le nuove assunzioni di giovani con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Sembra una cosa già sentita? Gli osservatori più attenti ricorderanno che un incentivo del genere già esiste ed è stato introdotto dal governo Gentiloni con l’ultima legge di stabilità, è un esonero contributivo triennale fino a 3 mila euro per le nuove assunzioni degli under 35 (solo per il 2018), con il limite che scenderà agli under 30 per gli anni successivi. Nei primi cinque mesi del 2018, sempre secondo l’Inps, questo beneficio è stato utilizzato per 51 mila rapporti di lavoro tra assunzioni e trasformazioni, pari al 6,9 per cento di tutti i nuovi contratti a tempo indeterminato. Che cosa farà quindi Di Maio con questi benedetti 300 milioni? Semplice: l’emendamento allunga anche ai prossimi due anni il tetto dei 35 anni per lo sgravio. In pratica estende di poco la norma del governo Gentiloni, in piena filosofia Jobs Act.