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Dal caso Savona al caso Foa. L'orrore del metodo gialloverde

Claudio Cerasa

Perché non è la lottizzazione ma l’uso del complotto per giustificare la fuga dalla realtà il vero problema del governo Lega-M5s

Lo scandalo c’è, ma non è quello che sembra. Concentrarsi sull’argomento della lottizzazione della Rai per mettere a nudo la pericolosità del sovranismo è un tema ovviamente ridicolo perché ci porta a sopravvalutare problemi falsi e a sottovalutare problemi veri. I problemi falsi sono legati alla logica “spartitoria” delle poltrone delle aziende controllate dallo stato (tra virgolette troverete i termini che gli anticasta avrebbero utilizzato se oggi non fossero diventati improvvisamente loro l’odiatissima casta) e solo chi si diletta ad andare in giro con simpatici anelli al naso poteva pensare che il governo del cambiamento populista avrebbe rinunciato a giocare con “le bieche logiche del poltronificio”. I problemi veri sono invece legati a un filo conduttore importante che tende a unire un numero consistente di puntini politici all’interno del disegno sovranista. E quel filo coincide con l’affermazione di una caratteristica sempre più richiesta alle nuove riserve della repubblica sfascista: l’affiliazione sincera alla società del sospetto, in cui l’unica forma di competenza richiesta è l’essere genericamente contro ogni forma di “potere costituito”.

 

Essere antisistema, come ci dice il profilo di Marcello Foa e come ci dice il profilo di qualsiasi appartenente alla “lobby” del populismo, non significa semplicemente esercitare una forma di discontinuità rispetto al passato, ma significa avere una predisposizione naturale ad alimentare la cultura del sospetto contro tutto ciò che il sovranismo considera nemico del popolo (democrazia rappresentativa compresa). E da questo punto di vista, la timeline di Foa, come ha messo a fuoco bene Lorenzo Borga in un fact checking spietato, è la perfetta sintesi dell’approccio populista: rilanciare sospetti non verificati, far circolare indizi senza prove a supporto di tesi strampalate, riprendere informazioni da fonti inattendibili e complottiste, diffondere sospetti e paure e tenendo sempre i lettori in guardia perché i complotti delle élite, signora mia, sono sempre dietro l’angolo.

 

La costruzione di un nemico esterno contro cui combattere con forza – la casta dell’Europa, i fissati dell’euro, la spectre di Soros, la lobby dei burocrati, il Bilderberg dei vaccinisti, la Trilateral dei neghèr – non è soltanto un buon collante identitario per alimentare le paure e non far evaporare il rancore che è il carburante di ogni politica sfascista. E’ qualcosa di più. E’ la cifra perfetta della fase storica che stiamo vivendo, caratterizzata da un metodo molto più pericoloso di una semplice lottizzazione: la costante, coerente, sincera, ridicola ed esplicita fuga dalla realtà. Meglio parlare di Europa che parlare di produttività. Meglio parlare di burocrati che parlare di crescita. Meglio parlare di vaccini che parlare di occupazione. Meglio parlare di neghèr che parlare di economia. Meglio parlare delle pensioni dei parlamentari che del calo dell’occupazione. Meglio parlare della rottamazione dell’Air Force Renzi che della fuga degli investitori stranieri dall’Italia. Meglio parlare dei complotti di Soros o delle cene sataniche di Clinton che parlare dei contratti di governo stralciati o delle promesse non mantenute. Nella grammatica antisistema riuscire a piazzare alcune bandierine diventa cruciale per spostare l’attenzione dai problemi reali a quelli virtuali e lo schema utilizzato con Foa in fondo è simmetrico a quello scelto mesi fa con Paolo Savona: prima ancora di raggiungere l’obiettivo (presidenza della Rai oggi, ministero dell’Economia ieri) è importante far capire cosa si sarebbe in grado di fare se solo “gli altri” lo consentissero (e di solito la formula “gli altri” coincide con il famigerato “patto del Nazareno” a cui i populisti sembrano essere affezionati più dei vecchi contraenti del patto). Nella società del sospetto, per rispettare lo zeitgeist populista, l’unica competenza è essere contro tutto. E il vero metodo da far tremare le gambe che si nasconde dietro la partita della Rai e dietro a una buona quantità di scelte gialloverdi è proprio questo: non l’uso della lottizzazione ma l’uso del complotto per giustificare la fuga dalla realtà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.