Gse e il cambiamento che non c'è
Le nomine per l'Energia tardano. Casaleggio spinge per Dal Fabbro, Di Maio tentenna. E Tria sopporta
Roma. Sembrava che tutto fosse destinato a risolversi, che superato lo stallo su Cdp e Ferrovie, d’incanto tutte le altre tensioni sulle nomine si sarebbero sciolte. E invece, in quest’avvio di sedicente Terza Repubblica – che tanto assomiglia, nelle logiche cencelliane che la caratterizzano, a una riproposizione delle due che l’hanno preceduta, solo più grottesca, più sguaiata – succede che l’inconcludenza si protragga e i contrasti all’interno dell’esecutivo si acuiscano. Ieri, ad esempio, l’assemblea dei soci di Gse, la spa controllata dal ministero dell’Economia che eroga ogni anno 16 miliardi d’incentivi per le rinnovabili, si è conclusa con l’ennesimo, e previsto, nulla di fatto. “Questa settimana individueremo i vertici di Gse”, aveva annunciato il 25 luglio scorso Luigi Di Maio. E la settimana in questione, a ben vedere, era quella passata. Da allora, ben due assemblee dei soci si sono tenute invano. E così, alla fine, si è deciso di rinviare di nuovo tutto al 9 agosto. L’indicazione spetta al M5s, secondo un accordo spartitorio che assegna all’alleato leghista il dritto di individuare il nome per l’altra poltrona importante del settore, quella cioè del presidente dell’Authority sull’energia, l’Arera. E spettando al M5s, va da sé che tutti guardino – e inviino curricula – assai più a Davide Casaleggio che non a Di Maio, che pure sarebbe il ministro competente e che però continua a rassicurare tutti i possibili pretendenti con l’aria di chi, in verità, attende dall’alto un’indicazione che ancora non arriva. Il prescelto, al momento, sembra essere Luca Dal Fabbro: sempre che, a furia di essere tirato in ballo come capo in pectore della nuova Gse a cinque stelle, non finisca logorato nella macina spietata del totonomi. “Salvo sorprese dell’ultim’ora – sospira, con un sorriso amaro, chi lo conosce bene – sarà lui il nuovo presidente: peccato però che quest’ultim’ora non arriva mai”. E però, più ancora che la perfidia dei giornali, a frenare le ambizioni dell’ingegnere chimico milanese, classe ‘66, potrebbe infine essere Giovanni Tria. Ai piani alti di Via XX Settembre, infatti, la scorsa settimana si sono visti recapitare il nome di Dal Fabbro come l’unico da valutare. Non esattamente il massimo per chi, da azionista di riferimento di Gse, auspica evidentemente di potere quantomeno scegliere tra una rosa di nomi.
Ma al di là delle questioni di metodo, i dubbi sulla scelta di Dal Fabbro, che arrivano anche da una parte del fronte leghista, sono essenzialmente di due tipi. Da un lato c’è chi ha ricordato come il candidato grillino alla successione di Francesco Sperandini, ai vertici di Enel nel recente passato, nella sua innegabilmente luminosa carriera non abbia sempre collezionato successi. Il riferimento, nella fattispecie, è al turbolento addio di Dal Fabbro con E.On Italia, nell’autunno del 2011, quando la società propose all’allora ad la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, innescando una controversia che si risolse con una buonuscita di 435 mila euro “al fine di incentivare l’esodo del dirigente”. Dall’altro lato, c’è poi una questione che, se non sconfina nel conflitto d’interessi, chiama però in causa il concetto di opportunità. Dal Fabbro è infatti tuttora ad di Grt Group, società svizzera che opera nel settore dell’economia circolare e impegnata nella produzione di carburante dalla plastica non riciclabile; e siede nel cda di Terna e di Buzzi Unicem, il colosso italiano del cemento con sede a Casale Monferrato. Incompatibilità? “E’ ovvio che, se venisse eletto lui alla guida di Gse, si dimetterebbe il giorno stesso da tutti gli altri incarichi”, garantiscono dall’entourage di Di Maio, dove comunque mantengono grande riserbo. Sia su Dal Fabbro, sia sui suoi attuali sfidanti. E cioè il commercialista romano Maurizio Di Marcotullio, digiuno di grandi incarichi ma – pare – anche lui stimato dal giovane Casaleggio; e Carlo Maria Medaglia, già capo della segreteria tecnica del ministero dell’Ambiente, ai tempi di Gian Luca Galletti e contemporaneamente ad di Roma Servizi per la Mobilità, controllata del Campidoglio guidato da Virginia Raggi, che nel suo curriculum vanta però anche collaborazioni con numerosi centri di ricerca, italiani e non solo. Alla fine è arrivato alla carica di pro rettore alla Link Campus, l’università fondata da Vincenzo Scotti che tanti uomini e tante donne ha già fornito al governo e al sottogoverno del cambiamento. E anche questo, nello stallo che si prolunga, qualche peso potrebbe averlo.