Il voto alla ruspa e al vaffa spiegato dal carattere degli italiani
Perché è capitato proprio a noi e non a francesi, tedeschi e inglesi? La risposta l’ha data Montaigne 500 anni fa
Perché è capitato proprio a noi? I francesi hanno la nazione nel cuore, fatto in sé pericoloso, tutti ce l’hanno, destra e sinistra e centro liberale, ma all’atto pratico, dovendo scegliere poco più di un anno fa, hanno dato la vittoria, sul Salvini in gonnella che era la Le Pen, a una versione aperta, europeista e perfino liberale della République, loro che il liberalismo lo considerano un basso strumento dell’argent roi, e hanno consegnato la presidenza a un banchiere Rothschild che è una spremuta delle élite e del cosmopolitismo modernizzante, sia pure con la riserva di uno stato efficiente e che protegge. I tedeschi hanno dato 100 deputati al Bundestag alla AfD, altro tipo ideale delle organizzazioni della destra nazionalista e populista di Coblenza, ma lì si sono fermati, per nostra fortuna. I britannici, nella loro bizzarria tradizionalista e isolana, hanno preso due direzioni protestatarie in apparenza contrarie, la Brexit e la grande avanzata del laburista vecchissimo stile Corbyn, hanno subito eliminato dal campo Farage e altri estremismi, il che appare stravagante ma non lo è, e ora vedremo. Gli spagnoli si comportano benone in economia, benino in politica, e fronteggiano come possono i pericoli dell’unità castigliana della penisola iberica. Gli olandesi hanno accarezzato il loro Matteo van Salvini, Wilders, ma al momento opportuno lo hanno consegnato a posizione di forte minoranza, niente di più.
Potrei dunque dire che da noi hanno vinto, in una strana e fragile coalizione, i lepenisti e putiniani di secondo rango perché siamo un popolo di cretini politici. Oddio, la vicenda storica del fascismo dice che da un lato abbiamo grandeggiato in invenzione paratotalitaria, dall’altro dice che per vent’anni siamo stati piccoli piccoli, molto propensi al grottesco e al violento, e alla fine tutti a casa nella vergogna appena riscattata da minoranze combattenti per la Liberazione e da idealisti eroici e nichilisti dell’altra parte. Eppure non voglio cedere allo sconforto antinazionale, un sentimento che ha fatto danni seri negli anni Venti e Trenta. E leggendo un bel libro di Luca Romano, “Il segretario di Montaigne” (Neri Pozza editore), ho forse trovato una chiave. Romano ricostruisce, con l’aiuto dei dialoghi e dei monologhi del grande moralista scettico del Cinquecento, una bella storia, quella del suo famiglio che dopo tre anni di collaborazione lo convince a intraprendere un viaggio in Italia e lo segue nel suo lungo soggiorno romano.
A pagina 183 si legge una dichiarazione di Montaigne, messa in bocca a un suo interlocutore, sul carattere degli italiani. Dice il seigneur de Montaigne: “Giorni fa un signore italiano teneva in mia presenza questo ragionamento, a svantaggio del suo popolo. Diceva che la sottigliezza e la vivacità della loro immaginazione è talmente grande che gli italiani prevedono i pericoli e gli accidenti che possono accadere loro così per tempo, che non bisogna trovar strano di vederli provvedere alla propria sicurezza prima ancora di avere individuato il rischio”. Ecco, mi sono detto. Il voto alla ruspa e al vaffanculo ha una spiegazione, anche troppo coltivata ma non banale. Tra sottigliezza e grande vivacità della nostra immaginazione, prima ancora di aver individuato il rischio in modo ragionevole e politicamente realista, ci siamo disordinatamente mossi per metterci in sicurezza davanti a “pericoli e accidenti” come l’immigrazione incontrollata o rimpiazzo etnico, una cosa che costituisce problema ma non come pensano quelli che chiudono i porti, guardano a Mosca e vaneggiano di pacchia e nazione, “prima gli italiani”, oppure come le conseguenze dell’apertura mondiale dei mercati, “padroni a casa nostra”, la cui chiusura autarchica dà un senso di protezione ma comporterebbe conseguenze bestiali, altro che i porti, che già è molto grave e anche osceno.
Osservo che il geniale e ironico Montaigne riferisce il giudizio del suo interlocutore italiano precisando che parlava “a svantaggio” del carattere del suo popolo, sebbene Montaigne sia convinto che gli italiani fanno l’amore molto meglio dei francesi (si troverà un editore francese per l’opera?).