Il complottismo permanente
La via italiana: dalla campagna elettorale al governo, senza alcuna abiura. Anzi, sembra contagiare anche chi, come la Lega, non ne avrebbe bisogno. Metodi, strategie e tutto sommato scarse azioni
Il complottismo che va al governo normalmente smette di parlare di complotti. L’esempio più ravvicinato, e ovviamente bestia nera dei complottisti nostrani, è quello di Alexis Tsipras e del suo decorso, del tutto classico se letto in comparazione con precedenti esperienze storiche. Prima accuse e minacce contro chi veniva additato come organizzatore delle trame antigreche e delle manovra occulte per imporre le regole europee e più specificamente quelle della Troika, e con un tale programma politico si vincono le elezioni in un paese già provato e scosso e allo stesso tempo desideroso di mantenere alcuni vantaggi economici e normativi acquisiti da poco. Poi il cambio di linea, l’irruzione del realismo, il dialogo con le forze che possono davvero collaborare con il governo greco. In mezzo l’abiura delle strategie anticomplottistiche, alla quale è stato costretto in modo plateale proprio dalla vittoria delle tesi estreme nel referendum da lui stesso voluto, e le esclusioni dei dirigenti politici contrari al nuovo corso dialogante con l’Europa.
L’esempio di Tsipras: l’irruzione del realismo dopo le accuse contro chi era additato come organizzatore delle trame antigreche
L’Italia sta invece offrendo una specie di prima mondiale, quella del complottismo che conduce, come è tipico, una campagna elettorale con i suoi argomenti di facile presa, e poi, però, non fa abiure, né rinnova i suoi dirigenti politici, ma porta nel cuore del potere una stramba e incongrua visione antipolitica. E non succede solo con i titolari più diretti del marchio, cioè con i grillini che possono abbeverarsi quasi quotidianamente a una fonte primaria di complottismi, i più fantasiosi, in quel blog delle stelle o nelle altre pagine legate a Beppe Grillo. Ma stranamente, sembrerebbe quasi per contagio, il complottismo si diffonde anche tra i leghisti, con un processo a rovescio, anche questo apparentemente qualcosa di inedito nella storia, per un partito che aveva avuto lunghe e complesse esperienze di governo nazionale e che esprime la classe dirigente regionale più radicata e salda nelle zone di riferimento con irruzioni ora, notoriamente, anche nel centro-sud.
La questione del consigliere anziano nel consiglio di amministrazione della Rai, Marcello Foa, e della sua indicazione per la presidenza della Tv pubblica da parte della Lega ci dice molto di più di un semplice incidente spartitorio. E’ stato notato con spirito che una Lega matura e seria poteva pescare tra almeno una decina di personalità in grado di rappresentare, nella loro visione del mondo e nella loro cultura applicata, come si chiede a un presidente della Rai, le istanze leghiste e forme di sovranismo e perfino, se ben portate, posizioni di destra fortemente rivendicata e un po’ follemente interpretata. Invece si è scelto di puntare su una persona la cui cultura, in quel caso sì davvero molto montanellianamente, è costruita tra sentiti dire e posizioni chiaramente opportunistiche (fino al culto della personalità salviniana), ma che in più, a caratterizzare davvero, è complottista. Grazie a Foa e alla inevitabile dissezione del suo pensiero, come succede in caso di indicazioni per nomine pubbliche, abbiamo ricordato tutti le voci diffuse per accreditare l’idea che Hillary Clinton organizzasse messe nere con apparecchiature magiche e ingredienti tra i più classici della letteratura horror di terza categoria. E grazie a Foa abbiamo visto come si diffondono tesi e testimonianze (ovviamente precostruite e tendenziose) per sostenere i grandi obiettivi espansionistici, militari ed economici di un paese influente come la Russia di Vladimir Putin. Non è solo supporto, il suo. Come si diceva prima, il punto non sarebbe semplicemente nel riconoscimento delle istanze russe e nell’attenzione, anche partecipe, per le strategie di Putin, che, dichiarati, diventano una proposta di lettura politica dei rapporti tra Italia, Europa e Russia (e a ben vedere una linea di ex premier che comprende Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, non si è allontanata molto da quella scelta dell’attenzione per le richieste russe e per il ruolo geopolitico di Putin). La questione, ancora una volta, è nel complottismo. Foa sostiene tesi non espressamente filorusse ma palesemente (come quelle che gli sono costate forti scontri all’interno del giornale svizzero in cui scrive) atte a orientare, attribuendo ad altri intenzioni poco corrette, scelte di campo favorevoli al putinismo.
I complotti rivelati non vengono mai combattuti come meriterebbero se fossero veri. Il complottismo chiama solo alla diffusione e condivisione
Con questo inatteso arruolamento, e nella posizione non influente ma molto visibile della presidenza Rai immaginata dai leghisti, c’è stato il primo passo chiaro nella direzione di una linea influenzata dal complottismo. E non era ancora successo in casa leghista, perché dobbiamo escludere le adesioni estemporanee e di stampo palesemente elettoralistico di Matteo Salvini (ad esempio le esternazioni dubbiose sull’efficacia e sulla sicurezza dei vaccini), alle quali, essendo appunto elettoralistiche, anche se successive al 4 marzo, applichiamo lo schema visto prima con Tsipras. Mentre la strategia leghista per il consenso non ha, o non avrebbe almeno apparentemente, bisogno di andare a pescare negli ambiti complottisti perché è già dotata di due offerte politiche fortissime, quella anti immigrati e quella anti tasse, entrambe molto adatte per il grande pubblico italiano. Sì, c’è la storia di George Soros che finanzierebbe l’arrivo in massa dall’Africa all’Europa, ma è roba che non ha mai ben attecchito tra l’elettorato italiano e leghista nello specifico, già sufficientemente conquistato con le prove di forza nel Mediterraneo e con la faccia feroce contro i migranti. Anzi, andare a parlare troppo di mandanti occulti e di trame segrete, susciterebbe dubbi a elettori cui ci si è proposti come realizzatori e non come i soliti politici che parlano di chissà cosa.
L’immagine, forse stereotipata, dell’elettore leghista tutto concretezza e duro e puro nemico dell’immigrazione, e quindi con cuore e mente forse non conquistabili con il complottismo basico (buono invece per il mondo socialmente più confuso che fa riferimento ai Cinque stelle) ci porta ad analizzarne il linguaggio e i metodi. Il complottista si presenta con due modalità, sempre ripetute. O quella di chi sa poco ma ha un sospetto terribile (e se non fosse come vi dicono?) o nella modalità di chi sa talmente tanto da non poter, magari semplicemente per ragioni di spazio e di leggibilità, spiegare in un testo adatto alla diffusione online tutte le sue terribili agnizioni, ma riempie comunque i suoi interventi, anche brevi, di riferimenti a eventi, a una specie di storia parallela, a personaggi, a confidenze ricevute e anche a carte leggibili (basta andare a vedere le fonti vere, ma non ve lo dice nessuno!) e accessibili. Tra queste due modalità si sviluppa il motore strategico del metodo complottista, quello che porta alla diffusione e condivisione. Fateci caso: tutto il complottismo recente non ha prodotto altrettanta, come dire, iniziativa privata. Non è nata una generazione di giornalisti pistaroli, non sono nate vere discussioni o veri movimenti di opinione (a oggi il grillismo ha prodotto un po’ di movimentismo con la mobilitazione per l’acqua pubblica, mentre si è solo appoggiato a esperienze altrui già esistenti come i No-Tav e i No-Vax), non c’è stata alcuna rilevanza parlamentare, a parte i tentativi, sinceri ma inevitabilmente goffi, di portare all’attenzione del Parlamento temi come le scie chimiche o le ancora più goffe sortite della sindaca di Roma sul “complotto dei frighi”. I complotti rivelati non vengono mai combattuti come meriterebbero se fossero veri. Se credi nelle scie chimiche dovresti andare a manifestare davanti agli aeroporti, contestare equipaggi e perfino passeggeri oltre a fare picchettaggi sotto le sedi delle compagnie aeree o dei ministeri competenti. Allo stesso modo se pensi che il Bilderberg e la Trilateral influenzino i governi, anzi comandino direttamente, dovresti organizzare mobilitazioni, almeno qualche cartello mostrarlo, e non invece fare nulla come nella recente riunione Bilderberg nella Torino per di più a guida cinque stelle. Il complottismo non chiama all’azione e neppure all’elaborazione di altri contenuti, alla scoperta di nuovi complotti, o almeno alla minima vigilanza. Ma solo alla diffusione e condivisione. E’ come se Karl Marx (ma non vogliamo dargli del complottista) avesse detto: leggete e fate leggere, il “Manifesto del Partito comunista” o “Il Capitale”, e poi restatevene tutti tranquilli a casa come prima. Che è proprio quello che succede, come anche le patetiche mobilitazioni no-vitalizio dei Cinque stelle hanno mostrato, nelle immagini di piazza Montecitorio mezza vuota, o andando più indietro, nel tragicomico Alessandro Di Battista arringare, beccandosi un po’ di vaffa, la manifestazione sbagliata, quella di altri, perché i loro non si erano dati una mossa. Il commentino, tipico da social network, è ammesso per i post del primo tipo, quello di chi afferma di non sapere abbastanza ma di avere qualche tremendo sospetto. In quel caso valgono non certo da elaborazioni aggiuntive, ma da rafforzativi. Andateli a leggere, sono più esortazioni e constatazioni (e sì hai proprio ragione) che commenti. Mentre per il complottismo del secondo tipo, quello iperinformato, ci si limita, sopraffatti da tanta conoscenza, alla condivisione così pari pari.
La strategia leghista per il consenso è già dotata di due offerte politiche fortissime, quella anti immigrati e quella anti tasse
Allora tutto questo come arriva al governo ormai lo sappiamo: vincendo le elezioni più pazze del mondo, o almeno vincendole in comproprietà con un centrodestra tendente a spacchettarsi. La questione, l’inedito storico cui accennavamo prima, è come ci resta al governo questa accozzaglia di complotti e vittimismi. Detto che non si usa il metodo classico, cioè quello di Tsipras, c’è una sola possibilità, quella di portarsi dietro tutta l’accozzaglia sopra detta e aprire ad essa le stanze del potere. Ovvero ciò che sta succedendo in questi giorni, e non si dica che è ancora campagna elettorale, perché come spiegazione sarebbe tanto estemporanea quanto la pratica che ci vorrebbe descrivere e in parte giustificare. La smentita poi arriva da Roma, dal metodo Raggi di cui pure si è parlato in questi giorni. Dalla visione complottista, e quindi sterile, immobilizzante e non invece capace di determinare lotte politiche. La Virginia Raggi del “no” alle olimpiadi del mattone e del sì, talmente tanto dato per traverso da inguaiarla, al nuovo stadio, e della difesa dello stato attuale (con quel che ne consegue) sia per la raccolta dei rifiuti sia per i trasporti pubblici. Quel metodo è figlio del complottismo, anzi è l’unico figlio che può avere, e lì finisce la linea generazionale. Tra le due opzioni del complottismo, tra il “non so abbastanza ma ho un sospetto terribile” e il “so tantissime cose, da fonti misteriose, che le élite tengono nascoste perché sono contro il popolo”, resta poi niente da fare, dopo essersi indignati nella propria cameretta. Ministri che ragionano così, che possono di fronte a vicende complesse come quella dell’Ilva? Il complottismo ha confuso loro le idee e non resta che l’Anac e poi la procura, cui portare le mitiche carte, e le organizzazioni da ascoltare, e il nulla decisionale. E lo stesso succede con l’Alitalia, e poi il complottismo mina le valutazioni sulla Tav, e in quel caso c’è pure un movimento antagonista (anche se resta non chiara la virulenza della protesta in Italia, e priva di argomenti ambientali difendibili davvero, e il disinteresse totale in Francia) e sul gas da far arrivare in Italia attraverso l’approdo pugliese di un tubo che ha già attraversato paesi e paesi per migliaia di chilometri. Il ministro dove pesca le sue possibili scelte? Ma nel poverissimo armamentario del complottismo, fatto solo di commentini di approvazione e di condivisioni acritiche. E con strumenti simili che vuoi fare? Niente, la butti sulla revisione di costi e benefici (tutta roba già strafatta) e conquisti qualche altra settimana. E’ un inedito mondiale, come si diceva (in Venezuela e in precedenti esperienze latino-americane hanno usato il complottismo come strumento, non ci sono cresciuti politicamente dentro). Mentre lo stesso Donald Trump non è tecnicamente un complottista, ma un anti-establishment esagerato e larger-than-life. Anzi, tra ricchezze, misteri, fallimenti, rapporti con banche, frequentazioni di potere, exploit politici, sarebbe un perfetto bersaglio del complottismo più che esserne, come dire, un utente. Non è da lui, semmai qualcuno volesse usarlo a modello, che i complottisti nostrani (malgrado gli ammiccamenti del professore avvocato che sta a Palazzo Chigi) possono trarre ispirazioni e mutuare metodi di governo. Il complottismo è sterile quanto il suo simile, il populismo.
L’idea populista ci dice che tutto andrebbe bene se non ci fossero i pochi membri delle élite (anche temporanee e mobili, come quelle moderne) a rovinare le cose, ed è la stessa idea che sta dietro a certe spiegazioni complottiste: se vi dicessero, anziché tenerle colpevolmente nascoste, la verità sull’euro e sull’Europa allora sì che potreste capire quanto vi stanno truffando. Serve a dare una parvenza, o meglio una parodia, di mobilitazione, di azione politica. Come parodistico, perfino quando va a compiere i passi più routinari e scontati, sembra il nostro presidente del Consiglio. Da un mondo di fantasia, sia pure distorta e distorcente, derivano politici di fantasia che si occupano di dossier altrettanto fantastici. Il Parlamento si svuota, di senso prima che di persone, anche così.