Così Di Maio, sul "decreto dignità", abolisce di fatto il bicameralismo
Sospesa l'analisi degli emendamenti in commissione: al Senato il M5s forza i tempi e le procedure. Eppure un tempo Giggino lodava "il bicameralismo perfetto" come un "virtuoso meccanismo"
C'era un tempo l'inviolabile sacralità del bicameralismo. Quello che andava preservato dall'"attentato alla democrazia" ideato da Matteo Renzi e dalla perfida Jp Morgan, quello che, benedetto, consentiva a deputati e senatori di lavorare con calma e serenità ed evitare gli errori dettati dall'eccessiva fretta. Questo, almeno, fintantoché il M5s era all'opposizione. Ora che invece il grillismo s'è fatto forza di governo, le intoccabili procedure parlamentari, con le loro inevitabili lungaggini, diventano un ingombro fastidioso. Ed è così che Luigi Di Maio, ansioso di vedere approvato il suo decreto di sedicente dignità, ha imposto l'accelerazione al Senato.
Scandalo? Macchè. Per i pentastellati si tratta semplicemente di "una necessaria forzatura". Approvato alla Camera giovedì scorso, il testo del provvedimento è arrivato a Palazzo Madama proprio a ridosso della pausa estiva. E dunque, preoccupato dal possibile prolungarsi dei lavori, il capo del M5s, d'accordo con l'alleato leghista, ha pensato bene di forzare i tempi di discussione. Nelle commissioni Finanze e Lavoro si è deciso così di sospendere l'analisi degli oltre 7000 emendamenti presentati, e di fare arrivare in Aula il decreto, questo pomeriggio, senza assegnare il mandato al relatore. Pratica quantomeno irrituale. "E' stato inevitabile farlo", spiegano ora dalla maggioranza grilloleghista, "a causa dell'ostruzionismo messo in atto dalle opposizioni, e in particolare dal Pd", che ha presentato circa 400 proposte di correzione.
Tra i più insofferenti, c'è sicuramente Alberto Bagnai, economista del Carroccio e presidente della Commissione Finanze. "21 ore sveglio di cui 19 in Commissione. Se me l’avessero detto, non ci avrei creduto", ha scritto su Twitter, lamentando l'estensione in notturna dei lavori. E certo fa una certa impressione sentire esponenti della Lega – lo stesso partito, per dire, di quello "stregone degli emendamenti" che è Roberto Calderoli – lamentarsi dell'ostruzionismo delle opposizioni. "Ma in fondo – concordano i senatori del M5s – molti di quegli emendamenti erano stati presentati già alla Camera. Che senso avrebbe, ora, tornare ad analizzarli di nuovo?". Insomma, a sentire i grillini, il doppio passaggio altro non è, ora, che un impaccio. E appaiono così tremendamente lontane, sbiaditi nel clamore della cagnara politica permanente, le accigliate riflessione di Di Maio in versione difensore della costituzione più bella del mondo, quello che, per opporsi alla riforma della Carta proposta dal Pd, elogiava "il bicameralismo perfetto" come un "virtuoso meccanismo". Era l'aprile del 2014, e l'allora vicepresidente della Camera scriveva un appassionata lettera al Corriere della Sera, a difesa delle prerogative del Senato. Vale la pena riportarne il passaggio più significativo:
"Con superficialità, da anni viene dato per scontato che il problema dei problemi che affligge il nostro sistema istituzionale è il bicameralismo perfetto, ovvero la assoluta parità tra Camera e Senato nel procedimento legislativo, sancita dall’'articolo 72 della Costituzione. Questa argomentazione scarica ingiustamente sul sistema istituzionale le inefficienze di una classe politica frammentata. Il bicameralismo perfetto rappresenta invece un virtuoso meccanismo tramite il quale il Parlamento è in grado di ponderare adeguatamente le scelte complesse e delicate che si trova ogni giorno ad affrontare. Sono piene le cronache politiche di proposte di legge approvate da una Camera e per le quali la stessa maggioranza riconosce la necessità di un perfezionamento in seconda lettura".
Le cronache di prima della Terza Repubblica, evidentemente.