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Il Pd è pronto per il dibattito lessicale sul centro-sinistra con il trattino

David Allegranti

Dalla periferia al dibattito sulla forma partito. Non c’è solo la neolingua dei felpa-stellati

Roma. Della neolingua felpa-stellata s’è già scritto – un tripudio complottista di “sorosiani”, “neuroinomani”, quotidianamente arricchito da ossimori come “l’obbligo flessibile” o la flat tax a due o tre aliquote e obbrobri qualunquisti come la “mangiatoia” – ma c’è anche tutto un lessico della sconfitta e dell’opposizione prodotto dai maledetti tempi che fuggono, sui quali, ancora una volta, aveva già detto tutto Nanni Moretti in Palombella Rossa (1989): “Matrimonio a pezzi? Ma come parla? Kitsch? Dove è andata a prenderla questa espressione? Alle prime armi? Ma come parla? Come parlaaaa? Le parole sono importanti!”.

  

Il Pd vuole “ripartire dalle periferie”, un luogo dell’anima più che una sfida geopolitica, dove ci si va quando non si sa più che cosa dire; ci sono quelli che – invecchiati male, come certi quarantenni tardoni – vanno in Thailandia a cercare se stessi, altri scappano a Tor Bella Monaca o Scampia. Poi però il governo decide di bloccare per due anni più di un miliardo e mezzo di euro destinati a progetti di riqualificazione delle periferie – un fondo che era stato approvato dai governi Renzi e Gentiloni – riuscendo a fare arrabbiare sindaci di varia estrazione politica e si scopre che pure il Pd e LeU, avamposto periferico, hanno votato a favore dell’emendamento. “Involuto” e “truffaldino”, lo hanno definito alcuni senatori del Pd per giustificarsi, ma il dubbio rimane: non è che semplicemente non hanno capito che cosa caspita stessero votando? Ai post (su Facebook) l’ardua sentenza.

 

C’è poi tutto un dibattito sulla forma partito; c’è chi vuole andare “oltre il Pd”, che è un modo vagamente carino per dire che il Pd non funziona più e che bisognerebbe inventarsi altro, solo che se vuoi sciogliere un partito devi avere chiaro che cosa fare, insomma devi avere un’identità politica forte, ma per quello gli hashtag non bastano, serve un congresso, magari con qualche seggiola che vola anziché il finto unanimismo di chi prima sorride e poi il giorno dopo qualsiasi voto è pronto ad assaltare il vincitore, considerandolo un usurpatore.

 

C’è poi l’involuzione linguistica e politica di Matteo Renzi, il cui processo di dalemizzazione è in fase avanzata, che dopo l’indigestione di “popcorn” dice che “a settembre, ottobre vedrete che ci sarà da divertirsi”. Ci mancava solo il Renzi manettaro, che agita le inchieste contro il governo, a partire da quella sui 49 milioni della Lega: “Non si possono minacciare i magistrati di Genova quando hai fato un’operazione che ha ricevuto una condanna”, ha detto in diretta Facebook. Un tempo quantomeno aveva spirito, cosa che invece è sempre mancata ai turborenziani, poi s’è perso fra i “gufi”, anticipando di qualche anno i troll a Cinque stelle e leghisti che oggi imperversano su Twitter a colpi di “rosicone”. E quasi viene da rimpiangere i tempi in cui nel Pd si davano di “blairiano” come insulto, perché il duello sulla Terza Via era più divertente di quello sull’alleanza con i Cinque stelle, con derive situazioniste notevoli. A sinistra, anche fra gli intellettuali, c’è chi dice che c’è M5s e M5s. “Al loro interno si sta delineando in maniera molto chiara una divaricazione tra i descamisados anti-sistema alla Di Battista che odiano Berlusconi ma abbracciano Salvini (chissà con quale razionalità?) e i rappresentanti della originaria tradizione ambientalista e progressista alla Fico”, ha scritto Piero Ignazi su Repubblica. “Le prese di posizione del presidente della Camera... sono distanti mille miglia da quelle non solo di Salvini ma anche Di Dimaio, per non dire di Di Battista”. La famosa “tradizione progressista” di Fico – famosa si fa per dire – offre spunti per un nuovo dibattito, politico e lessicale: quello dei compagni che sbagliano. Accompagnerà le coscienze della sinistra italiana verso il congresso, insieme a un altro scontro, non nuovo a dire il vero: quello sul centro-sinistra, con o senza trattino.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.