Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Molti nemici, molti oneri. Guida al magnifico assedio al governo

Claudio Cerasa

Imprese, presidi, agricoltori, pediatri, manager, vescovi, mercati. L’opposizione esiste, tocca solo darle una voce

Il punto da chiarire in fondo è semplice: sono le élite a essere contro il popolo o sono invece i populisti a essere i nemici del popolo? I sondaggi che periodicamente vengono pubblicati per fotografare il bacino di consenso dei due azionisti di governo mostrano da settimane una luna di miele che avrebbe portato la Lega e il Movimento 5 stelle ad aver guadagnato circa il 10 per cento in più di consensi rispetto a quelli incassati il 4 marzo. Un sondaggio pubblicato lo scorso 3 agosto da La7, raccolto da Swg, ha proiettato la Lega al 30,3 per cento e il Movimento 5 stelle al 29,7 per cento e la differenza rispetto alle elezioni è consistente soprattutto per la Lega, che dal 4 marzo a oggi avrebbe guadagnato tredici punti percentuali mentre il Movimento 5 stelle ne avrebbe persi appena tre. La luna di miele che un esecutivo appena formato costruisce con i suoi elettori è una caratteristica che di solito accompagna i governi nei primi tre o quattro mesi di vita, ma accanto alle verità descritte dai sondaggi esistono altre verità importanti da raccontare, e riguardano un dato che con il passare dei giorni potrebbe diventare la vera spina nel fianco del governo gialloverde: il clima di risentimento generato dal governo del cambiamento. Il risentimento non ha ancora lasciato tracce sui diagrammi dei sondaggi, ma i nemici del governo Salvini e Di Maio stanno raggiungendo una dimensione che nella storia recente della nostra Repubblica nessuno, neppure il primo governo Berlusconi, era riuscito a guadagnarsi con tale velocità.

 

Il presidente del Consiglio, insieme con i suoi vicepremier, non sembra preoccuparsi della bomba di malcontento destinata a detonare in più forme il prossimo autunno. Ma per capire l’estensione del problema è sufficiente mettere uno a fianco all’altro tutti i soggetti che ad appena settanta giorni dal giuramento dei ministri hanno scelto di osservare il governo Conte non come il simbolo di un’opportunità ma come il simbolo di un rischio per l’Italia. C’è il caso di Confindustria che sia a livello nazionale sia a livello federale, da settimane, contestando le scelte e le incertezze mostrate da Salvini e Di Maio sul “decreto dignità”, sulla Tav, sul Tap, sull’Ilva, combatte contro il profilo pauperista, protezionista e anti industriale del governo. Ieri il presidente di Confindustria ha invitato gli industriali a valutare se sia il caso o no, come aveva suggerito anche il Foglio un mese fa, di organizzare contro il governo una marcia dei 40 mila. C’è il caso di Confcommercio che dopo un’apertura di credito importante al governo gialloverde ha criticato duramente Salvini e Di Maio per le loro scelte sui contratti a termine che hanno introdotto “forme di inutile e dannosa rigidità” e che portano il paese a vivere “nell’incertezza” e ad andare “nella direzione opposta a una politica volta a creare nuova occupazione”. C’è il caso di Confartigianato che ha promesso uno sciopero degli autotrasportatori durante l’ultima settimana di settembre, denunciando un’ostilità pregiudiziale del governo contro la categoria degli artigiani. C’è il caso dell’Associazione dei bancari italiani (Abi) che ha accusato il governo di aver creato le premesse giuste per far vivere al nostro paese condizioni non troppo diverse rispetto a quelle vissute dall’Argentina negli anni a cavallo con il default. C’è il caso della Ragioneria dello stato trasformata da Luigi Di Maio in un pericolo per il paese a causa della stima persino ottimistica di 80 mila posti di lavoro che verranno persi in Italia da qui a dieci anni grazie al “decreto dignità”. C’è il caso delle agenzie di rating che sono state accusate dal governo di tramare contro il popolo solo per aver registrato una crescente diffidenza degli investitori verso un paese dominato dall’incertezza e finito in ostaggio di un governo estremista (ieri lo spread è arrivato a quota 276, quasi duecento punti in più rispetto alla fase preelettorale).

 

C’è il caso di Bankitalia che da settimane mostra preoccupazione rispetto al progressivo aumento del differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi e che neppure un mese fa aveva avvertito il governo rispetto al rischio che sta contribuendo ad alimentare: “Aumenti repentini della volatilità sui mercati finanziari, in connessione con un riaccendersi dell’incertezza sulle politiche economiche, potrebbero ripercuotersi sul costo del finanziamento di famiglie e imprese”. C’è il caso della Lega del Veneto che, usando le stesse parole adottate dall’attuale governatore del Veneto Luca Zaia e dall’ex governatore lombardo Roberto Maroni, ha accusato il governo, e anche la Lega, di aver costruito un decreto sul lavoro che, parole del segretario regionale della stessa Lega, “taglia le gambe alle imprese”. C’è il caso del mondo dell’agricoltura che, Coldiretti a parte, ha accusato il governo di essersi mosso contro l’interesse nazionale non ratificando il trattato di libera circolazione delle merci con il Canada (Ceta) e contro la linea di Salvini e Di Maio si sono schierate Cia, Confagricoltura, Copagri, Confcooperative, FedAgriPesca, Legacoop Agroalimentare e Agci Agrital, che sotto l’ombrello del coordinamento “Agrinsieme” rappresentano i due terzi delle aziende agricole italiane, il 60 per cento del valore della produzione agricola italiana e circa 800 mila lavoratori.

 

C’è il caso piccolo ma significativo di Manageritalia, che è un’associazione che mette insieme 35 mila manager in tutto il paese, che poche settimane fa ha diffuso un sondaggio relativo al gradimento dei manager per le scelte compiute dal governo sul tema dei nuovi contratti di lavoro facendo registrare un consenso negativo quasi unanime (la maggioranza dei manager intervistati dice che nella propria azienda le assunzioni con contratto a termine saranno disincentivate – il 27,9 per cento dice molto e il 34,4 per cento abbastanza – per il 33,9 per cento resteranno invariate e solo per il 3,8 per cento saranno incentivate. Accanto alle brusche manifestazioni di dissenso registrate sul fronte economico (che peseranno almeno quattro miliardi di euro nella prossima legge di Stabilità, e i quattro miliardi sono quelli che il ministro Tria dovrà trovare per far fronte all’aumento di spread generato dall’incertezza provocata dallo stesso governo) vi sono poi altri territori sui quali sta maturando un clima di assedio nei confronti degli amatissimi Di Maio e Salvini.

 

C’è il caso della Cei, che da settimane accusa il governo di disumanità sul fronte della gestione delle politiche migratorie. C’è il caso della quasi totalità dei sindaci delle grandi città italiane (c’è anche il sindaco grillino di Livorno Filippo Nogarin, c’è anche il sindaco di Verona Federico Sboarina sostenuto dalla stessa Lega) che accusano il governo di aver reso impossibile qualsiasi politica a favore delle periferie a causa del congelamento dei fondi previsto nel Milleproroghe appena approvato alla Camera. C’è il caso dell’associazione italiana dei presidi che ha accusato il governo di aver reso la scuola ancora più precaria attraverso un “decreto dignità” che per una questione tecnica porterà circa settemila insegnanti a veder trasformato il proprio contratto da tempo indeterminato a tempo determinato. C’è il caso del Collegio dei professori universitari di Pediatria che la scorsa settimana ha pubblicato una nota per attaccare la circolare del governo sui vaccini e che ha promesso che farà di tutto per non accettare figli che si presenteranno a scuola solo con un’autocertificazione relativa ai vaccini. C’è il caso delle oltre 133 mila firme raccolte da una petizione lanciata da un gruppo di mamme di bambini immunodepressi che chiede di rivedere le norme in materie di vaccini per aver salvaguardata la vita dei propri figli. E a tutto questo andrebbe sommato anche il fronte del dissenso che sta maturando tra i più importanti gruppi editoriali italiani: da Repubblica fino al Corriere passando per il mondo Mediaset – e sarà interessante capire se con la nuova stagione la televisione di Urbano Cairo sarà severa con il Movimento 5 stelle e la Lega o continuerà a scegliere ancora una linea non conflittuale. Probabilmente, di fronte all’elenco dei conflitti Matteo Salvini e Luigi Di Maio potrebbero non scomporsi più di tanto e potrebbero ricordare che “chi si ferma è perduto”, che “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”, che “è un boia chi molla”, che “chi non sta con noi sta contro di noi” e che “avere molti nemici significa avere molto onore”.

 

Eppure, mettere insieme i puntini che compongono il mosaico del dissenso è un’operazione utile per capire quanto sarà difficile per il governo del cambiamento portare avanti ancora per molto tempo la tesi del complotto (a fine agosto arrivano anche le valutazioni delle agenzie di rating). Se vogliamo, le posizioni di medici, pediatri, imprenditori, artigiani e mercati ci dicono che da una parte c’è chi dà numeri utili per capire cosa succede in Italia, mentre dall’altra c’è semplicemente chi dà i numeri. La voce dell’opposizione ancora non si sente ma un’opposizione al governo gialloverde esiste già e prima o poi arriverà qualcuno con la forza di mettere insieme le energie generate da una sana e robusta e apolitica reazione contro le pazzie populiste. Molti nemici, molto onore, direbbe Salvini. Ma a voler osservare con disincanto l’elenco degli avversari del governo gialloverde – e a voler osservare in modo non superficiale l’impatto che ha avuto l’esecutivo Conte sulla stabilità economica dell’Italia e sulla sua credibilità – si potrebbe suggerire una formula diversa: molti nemici, molti oneri. Oneri per lo stato e oneri prima di tutto per i cittadini. Contro il popolo non sono le élite, ma sono i populisti irresponsabili, che usando la demagogia per governare rischiano di truffare non i propri elettori ma un intero paese. L’assedio è appena cominciato.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.