“Romanizziamo i barbari”, dice Orsina su Lega e M5s
“Conviene ripulire i populisti, anziché auspicare la nascita di una opposizione civile”
Roma. Alla fine, la frase che valga come sintesi del suo ragionamento, seppure un poco controvoglia, è lui stesso a darla. Lo fa quasi lasciandosela sfuggire di bocca, Giovanni Orsina, quando dice che “Roma è caduta, e rimpiangerla non servirà a granché. Cerchiamo almeno, allora, di romanizzare i barbari”. E lo fa quasi a replicare alla tesi fogliante secondo cui, stringi stringi, Lega e M5s sono due facce della stessa medaglia sovranista ed estremista, e quindi anziché rassegnarsi a scegliere gli uni o gli altri, i gialli o i verdi, assai meglio sia riconoscere questa loro unità d’intenti e di follia e costruire, in contrapposizione, qualcosa che sia alternativo, e che proprio dall’inevitabile fallimento dello sgangherato governo grilloleghista tragga nuovo impulso, nuova ragion d’essere. “Ma questa è solo l’occasione”, precisa Orsina. “L’articolo di Claudio Cerasa di ieri, con la sua perentorietà un poco urticante, mi ha fatto capire che avevo voglia di chiarirmi le idee”.
E insomma eccoci qua. Cos’è che non va, in chi dice che Di Maio e Salvini pari sono e che bisogna costruire un’alternativa?
“C’è innanzitutto – esordisce Orsina, ordinario di Storia contemporanea alla Luiss – un difetto di analisi genetica di questi cosiddetti ‘populismi’. Che non nascono dal nulla a innescare la degenerazione, ma che semmai, di questa degenerazione profonda e per certi versi irreversibile, sono il sintomo. Le radici del M5s e di questa Lega salviniana stanno nello svilimento continuo del dibattito pubblico, nello scadimento della classe dirigente italiana, nella crescente inciviltà dell’elettorato. Di questa corruzione della politica sono una conseguenza, non una causa”.
E quand’è che nasce tutto? Quand’è che il germe della malapianta viene seminato?
“Dovessi indicare un momento esatto – risponde Orsina, seppure con l’imbarazzo dello storico che sa che nulla nasce un certo giorno, a una cert’ora – direi senz’altro Mani Pulite. La cesura è il biennio ’92-’93, quel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica in cui un intero sistema di valori è stato messo in crisi, e l’atteggiamento della società nei confronti degli amministratori della cosa pubblica si è incarognito. Se penso al desiderio spasmodico di sacrificare un capro espiatorio nelle ore che sono seguite al crollo del viadotto Polcevera, a Genova, penso all’ultimo portato di un venticinquennio che ha cavalcato l’onda dell’indignazione. E quel che più mi fa rabbia, ora, è constatare come gli stessi giornali che pure formalmente si propongono di combattere il governo grilloleghista, in realtà fomentano costantemente la caccia al colpevole, la delegittimazione del politico di turno, quell'‘impiccalo più alto’ di cui tanto bene ha scritto Salvatore Merlo: e insomma fanno grandi editoriali contro la rozzezza di Salvini, contro l’impreparazione di Di Maio, ma poi finiscono con l’alimentare quello stesso brodo di cultura del populismo grillino e leghista. E dunque da un lato il giustizialismo, coltivato come arma di lotta elettorale da tanta sinistra di questi ultimi due decenni; e dall’altro la battaglia contro il professionismo della politica descritta come un teatrino romano, condotta da Silvio Berlusconi. Anche lui è un padre putativo, in questo senso, del grilloleghismo: lui che pure a quell’istanza di semplificazione a tutti i costi dava un tentativo di risposta attraverso l’esaltazione della società civile, e da qui il paese-azienda, e da qui il premier-manager. Solo che poi la pars construens è naufragata, e quello che è rimasto è stata il vaffa, l’uno vale uno”.
“Le radici del M5s e della Lega salviniana stanno nello svilimento continuo del dibattito pubblico, nello scadimento della classe dirigente”
E così, prosegue Orsina, “oggi constatiamo il cedimento culturale generalizzato a quello che chiamiamo il populismo. Lo vediamo, soprattutto, nei metodi utilizzati da chi pure a Lega e M5s vorrebbe opporsi: ci siamo rassegnati ad attaccarli solo utilizzando i loro stessi modi. E allora eccoti Matteo Renzi che passa al maiuscolo su Twitter, eccoti i berlusconiani paludati che si esibiscono in discutibili video sui social. E siccome il mezzo scelto deforma inevitabilmente anche il messaggio, siccome in 280 caratteri devi inevitabilmente puntare a spararla grossa, rinunciando ad ammettere persino che una certa complessità esista, arriviamo alla politica dei fregnacciari”, dice Orsina, lasciando finalmente erompere quell’inflessione romanesca tenuta sempre a bada, e che però, alla bisogna, torna utile a corroborare il concetto con laconica ruvidezza.
La politica dei fregnacciari? “Fregnacciari sì: viviamo nell’èra della fregnaccia totale. Anche se, poiché aspiriamo a essere anglosassoni e non romaneschi, le chiamiamo fake news. Da Torino arriva la notizia che tre balordi hanno lanciato delle uova contro un’atleta nera; s’ignora che ci sono stati altri episodi analoghi in cui il bersaglio era stato scelto in modo del tutto casuale, s’ignorano i dati ufficiali sulle aggressioni xenofobe e si allestisce sui giornali una campagna sull’emergenza razzismo. E tutto ciò cos’è?”. Una fregnaccia? “Già. Speculare a quella usata da Salvini per affermare l’esistenza di un’emergenza migranti. Ma una fregnaccia più stupida di quella propagandata dalla Lega, perché non tiene conto che, siccome lo Zeitgesist del 2018 è quel che è, appena si scopre la falla nella narrazione cosiddetta ‘di sinistra’ scatta il rinculo, e Salvini guadagna nei sondaggi. Oppure – prosegue Orsina, tornando all’italiano – c’è la mezza verità. E’ quella di Tito Boeri sui migranti che ci pagano le pensioni: può pure essere vero, ma non puoi dirlo senza precisare di quali migranti si parla, qual è la loro percentuale sul totale dei richiedenti asilo, quanto tempo dovrà passare prima che davvero contribuiscano in maniera determinante al nostro welfare, eccetera. E non è l’equivalente rovesciato della vulgata leghista per cui i migranti favoriscono la criminalità? Lo spazio per opporsi al populismo non c’è, insomma, perché i modi populisti si sono dilatati e hanno occupato per intero l’arena pubblica”.
“Calenda dice cose di buon senso, ma piace troppo alla gente che piace. Se ti proponi come l’anti Salvini, devi essere sanguigno come lui”
I modi, dunque. E i contenuti? “Ecco, nell’analisi delle tesi utilizzate dagli antipopulisti o sedicenti tali, io prima di tutto mi chiedo: abbiamo bene in mente cos’è che stiamo difendendo? A me sembra che ci abbarbichiamo a tutela di totem che in realtà sono già a terra da un sacco di tempo, ci ergiamo a difesa di sancta sanctorum della democrazia che in verità sono già stati violati da un pezzo. Il governo viene attaccato perché, si dice, non riconosce le regole del diritto, del mercato, dell’Europa. Ma la Lega e il Movimento 5 stelle hanno vinto le elezioni precisamente perché, dentro quelle regole, una parte maggioritaria dell’elettorato si sente soffocare. Meglio: ritiene che quelle regole abbiano generato un mondo nel quale la sua qualità della vita, la sua capacità di tenere sotto controllo la propria esistenza stanno deperendo giorno dopo giorno. E ha chiesto un soprassalto di politica proprio perché quelle regole fossero quanto meno allentate, se non rotte”.
E ha ragione, quella parte maggioritaria dell’elettorato? “Quanto meno, occorre riconoscere che ha delle ragioni. Prendiamo l’europeismo. Uno dei valori che tanto amiamo professare, noi. L’Europa è un sogno bellissimo, ma nessuno dei governi che a noi pure piacevano, negli ultimi venticinque anni, c’è riuscito davvero ad adeguare l’Italia ai vincoli europei. E un po’, certo, è successo perché non siamo stati in grado di farlo fino in fondo, ma un po’ è successo anche perché quegli stessi esecutivi ‘europeisti’ erano consapevoli che, più di tanto, il paese non le reggeva certe ricette. E poi oggi nel concreto, riconosciamolo, l’Europa non funziona granché. E’ profondamente in crisi, e non solo in Italia. Ha perso forza attrattiva, e un po’ dovunque si guarda alle prossime elezioni del 2019 come a uno spauracchio per la famiglia del Pse e del Ppe. In queste condizioni, come dar torto a un elettore che, a chi si opponga all’attuale governo riproponendo il sogno europeo, risponda: no, grazie?”. E insomma a seguire il ragionamento di Orsina, che su questo punto non è poi molto cambiato, nel corso degli anni, ci si accorge che l’Italia, anziché arretrato, sarebbe “un paese più avanti degli altri nell’evoluzione della crisi”. Dice Orsina: “Un processo di rinazionalizzazione è in corso un po’ dovunque, in Europa e non solo. Noi, a nostro modo, e cioè in modo cialtronesco, sbracato, disordinato, stiamo andando più veloci degli altri: ma lo facciamo all’italiana, e cioè senza una vera strategia, a causa della nostra estrema fragilità”.
E insomma è per questo che non ci si può accontentare di aspettare il fallimento del governo grilloleghista, per pensare a un’alternativa. “Mettiamoci nei panni di un elettore del Carroccio o del M5s. Un elettore, cioè, che con maggiore o minor consapevolezza ha votato il 4 marzo affinché la politica democratica riprendesse il proprio primato sui vincoli esterni, sovranazionali, tecnocratici. Se il governo cadrà a causa dello spread, della minaccia dei mercati o di Bruxelles, quell’elettore non penserà di avere sbagliato, nel mettere la sua ‘x’ sulla scheda, ma anzi verrà confermato nelle sue convinzioni sull’inaccettabile ingerenza esterna di poteri antidemocratici. E se ci va bene, al prossimo turno, deciderà di astenersi, ché tanto nulla può cambiare; se bene non ci va, voterà Forza Nuova”. E che fare, allora? Se la speranza della crisi dei sovranisti non è saggia, se attendere il crollo della torre gialloverde fermi col naso all’insù e il ghigno di chi ci aveva visto lungo è destinato a rivelarsi inutile, come si può reagire? “Semplicemente, sforzandoci di normalizzare i nuovi vincitori; costringerli o aiutarli, a seconda dei casi, a trovare un compromesso tra il desiderio della palingenesi e gli obblighi della realtà”.
Romanizzare i barbari, insomma. “Appunto. Lo so bene che è una via strettissima, e la propongo con enormi perplessità. Ma l’altra – quella del Foglio, per capirci – in definitiva mi pare più stretta ancora”. Per farlo, però, “bisogna smetterla di alimentare la contrapposizione tra intelligencija e popolo, tra cui c’è del resto una frattura che forse è già irrecuperabile. Il sopracciglio alzato di Massimo Cacciari che dà del pezzo di merda a chi non condivide l’indignazione contro Salvini non porta a nulla: chiamare a raccolta chiunque non si riconosca nella Lega e nel M5s non serve, il ‘noi contro loro’, che pure scatta immediato nella testa di molti, non mi convince”. Un messaggio a Carlo Calenda, e al suo sognato fronte repubblicano? “Calenda dice anche cose di buon senso, ma piace troppo alla gente che piace. Mentre, se ti proponi come l’anti Salvini, devi essere sanguigno come Salvini”. Ce n’era, uno, con quelle caratteristiche. “Renzi? Sì, Renzi è stato l’ultimo tentativo dell’establishment di fare fuori i sovranisti utilizzandone i metodi. E’ finita com’è finita, e tant’è”. Meglio, quindi, “aprire un dialogo, provarci almeno. Sia da destra sia da sinistra, con quelle componenti più ragionevoli della Lega da un lato, e dal M5s dall’altro”.
Al che uno s’immagina Dario Franceschini seduto al tavolo con Roberto Fico, e Renato Brunetta che parla con Luca Zaia: e non è proprio il massimo, diciamo. “A me preme più il ragionamento culturale di quello politico. Io sono preoccupato, anzi: atterrito, dalla divisione fra intelligencija e popolo di cui dicevamo sopra. E credo che sia meno pericoloso, a questo punto, immaginare un bipolarismo destra/sinistra imperniato su una Lega e un Movimento 5 stelle ‘ripuliti’ che spingerli l’una e l’altro nella terra dei barbari, e vagheggiare la nascita e lo sviluppo di un’opposizione ‘civile’ della quale oggi non si vedono nemmeno i primi segni, e che per le ragioni specificate prima – degenerazione complessiva della vita pubblica, debolezza storica dei contenuti che questa opposizione potrebbe avere, rancore profondo dell’elettorato – mi pare molto difficile possa nascere altro che in tempi assai lunghi”.