“I migranti? Trattenerli sulla Diciotti è nel loro interesse”. Parla Giarrusso (M5s)
Il senatore grillino spiega che “non c’è alcuna emergenza umanitaria a Catania. Anzi, se noi li facessimo sbarcare, li condanneremmo a essere schiavi. L’Ue capisca che noi italiani non siamo più i camerieri d’Europa”
Roma. Alla fine, per uno di quei paradossi tutti italiani, è proprio la sconfitta politica, la conclamata incapacità del sedicente governo del cambiamento di ottenere non già l’ascolto, ma quantomeno il riconoscimento della credibilità, a ricompattare la pattuglia gialloverde. Lo fa, il premier e avvocato del popolo, rinnovando, una volta di più, il coro che ogni dissidio sembra in grado di placare, quello contro l’Europa ipocrita e insensibile. Quella, cioè, che nella fattispecie, al netto del galateo diplomatico d’ordinanza, ha di fatto appena liquidato con un incontro inconcludente le pretese scomposte grilloleghiste sui migranti. E anzi “le minacce non portano da nessuna parte”, precisano dalla Commissione, al termine di un vertice che, puntualizzano i portavoce di Bruxelles con finto candore, non è neppure stato convocato, come pure pretendeva la propaganda gialloverde, “per risolvere il caso Diciotti, ma per trovare soluzioni europee sugli sbarchi, sulla base della cooperazione”.
E, forse a ribadire l’incoerenza ontologica di una solidarietà tra sovranisti, ecco che è proprio il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, giovane pupillo dell’entieuropeismo e dunque supposto alleato di Matteo Salvini – supposto, almeno, da Matteo Salvini – che si prende la briga di dire che “non è il caso di sopravvalutare minacce del genere”. Ce l’ha, ovviamente, con quelle formulate da Luigi Di Maio, convinto che si possa sospendere, per ripicca, i finanziamenti all’Ue. E invece no che non si può, e di ricordarlo al capo grillino tocca al ministro degli Esteri, Enzo Moavero, che in una dichiarazione che appare un po’ riparatoria, e un po’ imbarazzata, precisa che “pagare i contributi all’Ue è un dovere legale degli stati membri”. E insomma eccolo, il paradosso: perché la disfatta appare totale, a Bruxelles, per l’Italia, perché la tanto esaltata “cabina di regia” ottenuta da Conte si rivela per quel che è, e cioè un inutile orpello, e però come d’incanto, nell’urlo contro l’Europa matrigna annega il dissenso interno che da almeno tre giorni, e ancora ieri per tutta la mattinata, ha agitato il gruppo parlamentare del M5s. “Grande Giuseppe”, era infatti il grido condiviso – anche, ed è una novità, da qualche sottosegretario per nulla lontano dalla cerchia ristretta del Gigio magico – all’alba di ieri. E Giuseppe non era, però, Conte. Era Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari costituzionali alla Camera, che in una intervista all’Avvenire esternava tutto il malcontento contro la sudditanza del governo ai capricci di Salvini. E però a sera, dopo il rinnovato assalto contro Bruxelles, tutto – o quasi – si ricomponeva. Al punto che perfino Michele Giarrusso alzava le spalle: “Emergenza umanitaria? Ma quando mai”.
Lui che è, come ama ripetere, “catanese orgoglioso”, verrebbe da immaginarselo lì, sul molo di Levante: da una parte o dall’altra della barricata, ma comunque in prima linea, davanti alla nave Diciotti e al suo carico di 148 disgraziati costretti ancora, ed è ormai il quinto giorno, a restare a bordo. Invece Mario Michele Giarrusso non c’è. “Sono in ferie: fuori dalla Sicilia fino al 31 agosto”, dice al telefono il senatore del Movimento 5 stelle, da sempre appassionato ai temi della giustizia, avvocato cinquantatreenne alla seconda legislatura e in predicato di diventare – la sfida è tutta interna, l’altro concorrente essendo Nicola Morra – il nuovo presidente della commissione Antimafia.
Che idea si è fatto, Giarrusso, della vicenda Diciotti?
“Mi sembra che come al solito i media stiano gonfiando tutto. Non c’è alcuna emergenza umanitaria, su quella nave, siamo seri”.
Ad essere seri, ci sarebbe comunque da interrogarsi sulle condizioni di salute di 148 persone. Che, a giudicare dalle parole del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, non sembrano affatto rassicuranti.
“Suvvia, non sono in pericolo. Sono sotto controllo medico, accuditi, sfamati. D’accordo, non sono in una situazione comoda, ma tutto questo dramma che descrivono le opposizioni non esiste. A me preoccupano molto di più i morti di Genova. Molto di più”.
Non vorremmo mica metterci qui a fare una classifica delle sciagure?
“No, certo. Ma ricordiamoci che questi 148 migranti non sono mica a largo in balìa delle onde: sono su una nave italiana, ormeggiata in un porto italiano, assistiti da medici italiani. Non siamo noi il loro nemico. Anzi, noi tenendoli su quella nave, in un certo senso stiamo agendo in loro favore”.
In che senso, scusi?
“Ma sì, ammettiamolo: il fastidio che provano questi poveri eritrei va anche nel loro interesse, perché se li facessimo sbarcare e ce li tenessimo noi in Italia, finirebbero molto probabilmente a fare gli schiavi sui marciapiedi o nei campi di pomodoro, mentre se riuscissimo a redistribuirli in tutti gli stati membri garantiremmo anche a loro un futuro migliore”.
E ci riuscirete? L’Europa ieri ha detto che con le minacce non si va lontano.
“L’Europa, sorda e inconcludente, è il vero nemico di quei migranti. Se l’Ue prima approva la cabina di regia, e poi non si impegna per le redistribuzioni, allora di cosa stiamo parlando?”
Forse, per l’appunto, stiamo parlando di uno strumento del tutto inefficace, che Giuseppe Conte e il governo grillo leghista si è venduto come un grande successo diplomatico. In tanti lo avevano fatto notare, che questa cabina regia, che funziona sul principio della volontarietà, era inefficace.
“Ma non è mai partita: questo è il problema. Se Juncker si decidesse ad attivarla, anziché prenderci in giro, sarebbe molto meglio”.
E quindi voi continuate col ricatto di questi migranti?
“E’ inevitabile, bisogna far capire all’Ue che la musica è cambiata. Gli italiani non sono più, come in passato, i camerieri di Bruxelles, quelli che dicono solo ‘signorsì’ e abbassano la testa. D’altronde, queste persone non sono né trattenuti con la forza, né legati, né in una situazione di grande disagio. Ripeto: il tenerli sulla Diciotti va nel loro interesse, e spero che i mediatori culturali glielo facciano capire”.
“La politica – argomenta Gianluigi Paragone – ti obbliga spesso a essere duro, apparentemente cinico. Ma il menefreghismo dell’Europa è peggio del nostro cinismo”. Gli fa eco Luigi Gaetti, sottosegretario grillino al ministero dell’Interno. “E’ una via irta di rischi, che non percorriamo in maniera indolore. Ma è doverosa”. E insomma le proteste non solo di Brescia, evaporano. Si sgretolano quelle della deputata Doriana Sarli, veterinaria napoletana, che parla di una “Lega che fomenta odio e paura” e di una emergenza migranti inventata ad arte, e pure quelle del senatore Gregorio De Falco, l’eroe della Concordia imbarcato alle elezioni da Di Maio, che da giorni covava malumore e che alla fine sbotta, parlando di “situazione indegna per un paese civile”, liquida le suggestioni salviniane di blocchi navali come “proposte illusorie sul piano giuridico e fattuale”.
E poi i campani Paola Nugnes e Luigi Gallo, vicini al presidente della Camera Roberto Fico, umiliato da Salvini in diretta Facebook; e poi la ministra del Sud Barbara Lezzi e il deputato abruzzese Andrea Colletti, e poi perfino la senatrice pro vax Elena Fattori, che pure per prima, e proprio sul Foglio, si era presa la briga di aprire il fronte interno, quel fronte a cui pure Beppe Grillo, nella sua lettera al Fatto quotidiano, era sembrato benedire. “Beppe scrive che, in mancanza di una opposizione reale, l’unica possibile è quella di chi resta fedele al vecchio Movimento: insomma, ci dà una sponda”, riflette la Fattori, ora. Ma sa anche lei che il gioco di Di Maio, adesso, è sin troppo semplice: gli basta rinfocolare l’odio a cinque stelle contro una Europa che, per dirla come la dice Ugo Grassi – neo senatore M5s, quello che s’incaricò di scrivere la mozione d’impeachment contro Sergio Mattarella – “sa essere unita solo quando parla di finanza”. Slogan, si dirà, certo. Ma chi ascolta i ragionamenti riservati dello stato maggiore grillino, in questi giorni, non può non accorgersi di come la strategia in vista delle europee del 2019, per quanto scriteriata, sia tutto sommato già ben definita: esasperare le pretese, trasformare le richieste di concessioni in diritti negati, fomentare le aspettative, insomma cercare l’incidente e poi scaricare su Bruxelles la responsabilità dei fallimenti. Servirà a settembre, quando si discuterà il Def, e servirà a nascondere incapacità e dissidi interni. D’altronde, chi è che oserebbe difendere l’Europa?