L'ex vicepresidente della Camera Roberto Giachetti ha detto che il rinvio del congresso è stato uno sbaglio (Foto LaPresse)

"Dateci il congresso!", ci dice Giachetti

David Allegranti

“Il rinvio è stata una scemenza, ora è inutile riempirsi la bocca con er popolo”. Parla il deputato Pd

Roma. “Più che di identità, nel Pd c’è un problema di lucidità”. Il deputato Roberto Giachetti da marzo a oggi ha girato un centinaio tra feste e iniziative. Ovunque, dice al Foglio, trova gente che vorrebbe un dibattito congressuale, anche acceso. Il problema è che il congresso non c’è, si terrà “prima delle europee”, qualunque cosa voglia dire. “Hanno deciso di sterilizzare la discussione”, dice Giachetti al Foglio. E in quel “hanno” ci sono proprio tutti, da Matteo Renzi ad Andrea Orlando, da Dario Franceschini a, naturalmente, Maurizio Martina.

 

“Rinviare il congresso è stata una cazzata sesquipedale. L’avevo detto a luglio, alla nostra assemblea, lo ripeto oggi perché sento compagni di partito – come Ettore Rosato, ma pure Nicola Zingaretti – che chiedono il congresso subito. Fa ridere. A luglio tutti, e dico tutti, hanno preso questa decisione. Ed è surreale che dopo essersi divisi per anni su tutto, poi si mettano d’accordo su una cosa sbagliata. Renzi è stato criticato aspramente per cinque anni dai suoi avversari interni – ma per giudicare l’azione riformista del suo governo servirà la storia, visto che la politica non è in grado di farlo – poi improvvisamente e casualmente si sono trovati tutti d’accordo nel prendere la decisione più devastante di tutte: il rinvio del congresso, che invece andava tenuto subito. A ottobre. Che dire, complimenti per la trasmissione”.

 

Insomma, dice Giachetti, “anziché sterilizzare il dibattito per interessi personalistici, il Pd avrebbe dovuto reagire subito. Così non è stato, perché c’è confusione, c’è miopia, c’è una classe dirigente fragile. Il congresso è stato rimandato per aspettare di vedere chi vince; ma non è questa l’identità democratica di un partito. Il congresso lo fai e poi vedi chi vince. Questa scelta è frutto di una debolezza, di una fragilità, che stiamo pagando. Anche perché, come è chiaro a tutti, il congresso in realtà lo stiamo già facendo: non nel partito, non nella convenzione, non consultando il famoso popolo con cui ci riempiamo la bocca ogni giorno, ma sui giornali”.

 

Dove, appunto, da settimane si discute dell’eventuale rapporto con i Cinque stelle, delle alleanze, della forma partito, dell’eventuale superamento del Pd. “C’è chi dice che bisogna ‘riprendere’ i Cinque stelle per portarli via dalla Lega. Gianni Cuperlo mi fa tenerezza: ma di cos’altro abbiamo bisogno per capire che i Cinque stelle sono più a destra di Salvini? C’è poi chi vuole sciogliere il Pd, come Carlo Calenda, per costruire un Fronte Repubblicano. Ora, posto che dobbiamo baciare la terra su cui passa Calenda, io non sono d’accordo su tutto con lui. Però ci pone un problema che nella nostra base viene discusso. Il famoso ‘nostro popolo’ ne parla, lo sento girando l’Italia da mesi. Il tema non è cambiare nome – mica siamo una marca di saponette – ma proprio decidere se il Pd oggi ha ancora senso o no. Poi c’è Nicola Zingaretti che dice che c’è da superare una classe dirigente e cambiare linea politica. Bene: tutte queste sono discussioni che non trovano uno sfogo nel partito. Eppure proprio oggi che non si vedono all’orizzonte grandi Adenauer ci sarebbe l’occasione per un dibattito politico serio su dove portare il Pd, senza preoccuparsi dei nomi”.

 

Insomma, dice Giachetti, “a me piacerebbe una discussione aperta. C’è chi dice che dobbiamo superare il Jobs Act? Che la politica dei bonus è sbagliata? Che il Pd va sciolto? Benissimo, si faccia un congresso, nel quale chi dice queste cose va e ci mette la faccia. E sa perché? Perché ci siamo abbastanza stancati di chi filosofeggia sui giornali e poi quando c’è da candidarsi, scappa. Invece è il nostro popolo che deve stabilire cosa fare, non venti o trenta persone chiuse in una stanza: se sciogliere il Pd, se fare un’alleanza con i Cinque stelle”.

La parte silente del paese

Ma se il “popolo” lo coinvolgi solo quando c’è bisogno di fare volantinaggi o campagne elettorali, è evidente che poi nel suo piccolo a un certo punto perde la pazienza. “In giro la famosa base è disorientata da una parte e dall’altra è incazzata. Ci sono persone che, spaventate, si sono iscritte al Pd dopo il 4 marzo, come riflesso dopo la sconfitta. E che gli diciamo? Aspettate? Poi c’è chi s’è fatto referendum, primarie, elezioni politiche, il prossimo anno ci sono non solo le europee ma anche le amministrative. E magari gli spariamo pure di nuovo le primarie. Alla fine la gente dice: ma che siete matti?”.

 

Quanto all’opposizione in Parlamento, Giachetti dice di non sentirsi critico. “Non è successo niente, al di là delle chiacchiere. E fare opposizione a una maggioranza che ha fatto della propaganda il suo tratto principale è difficile. Puoi farla quando ci sono provvedimenti come il decreto Di Maio. L’esempio plastico è l’intervento di ieri (lunedì, ndr) di Toninelli in commissione. Ha parlato per un’ora e mezza e ai deputati sono stati dati 5 minuti per intervenire. L’unica possibile risposta da dare è che l’intervento di Toninelli è stata la rappresentazione politica dello sciacallaggio, utile solo a oscurare il fatto che Lega e 5 stelle non sono d’accordo su niente. Quanto a noi, non possiamo solo inseguirli. In giro c’è un’Italia bella, non in senso aristocratico, che non si sente rappresentata da questo modo di fare politica e governare. Una parte del paese è silente, ma non vuol dire che sia d’accordo con Salvini. È solo gente che non è portata a urlare. E noi non dobbiamo scegliere la menzogna e la propaganda, dobbiamo trovare una nostra politica che ci riaggreghi dal punto di vista identitario. E’ una sfida enorme”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.