Di Maio è ancora nella fase: sparare promesse
Paragoni con Trump e reddito di cittadinanza: credere alle interviste del vicepremier è una professione di fede
Roma. Ieri il vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio è stato intervistato dal Fatto quotidiano e le sue risposte sono molto impegnative, che è un eufemismo per dire che hanno un tono messianico: puoi prenderle come buone soltanto per una questione di fede. Il giornalista del Fatto, Luca De Carolis, fa notare che è in corso una fuga di capitali dall’Italia molto preoccupante e che lo spread è molto alto (perché continua a salire da quando il programma di governo Lega e Cinque stelle è stato reso pubblico), ma il ministro non si scompone: “E’ frutto di una narrazione che ci dipinge come barbari. E’ la stessa descrizione che davano dell’Amministrazione Trump, che però poi negli Stati Uniti ha fatto crescere il pil del 4 per cento”.
Si tratta di un paragone falso, perché il programma economico dell’Amministrazione Trump è molto diverso da quello del governo gialloverde: i repubblicani americani non pensano di votare una misura di welfare ambiziosa e universale come il reddito di cittadinanza, che è il pilastro centrale del programma di Di Maio. Inoltre Trump gode dell’effetto traino di otto anni di Amministrazione Obama dedicati in gran parte a recuperare le conseguenze della crisi del 2008 e quindi questa crescita al 4,1 per cento del pil non è tutto merito suo, per giudizio unanime di tutti gli economisti. Da qualsiasi parte la si guardi questa risposta – “se criticano Trump e il pil americano cresce vuol dire che se criticano noi anche il pil italiano crescerà” – non regge.
Il ministro ribadisce che lui vuole “realizzare subito” tutti e tre i punti-chiave del programma: reddito di cittadinanza, superamento della legge Fornero (sulle pensioni) e flat tax. La distribuzione del reddito di cittadinanza secondo Di Maio comincerà senza aspettare la riforma per i centri dell’impiego, che era una condizione che qualche tempo fa era stata discussa come misura necessaria e introduttiva. Adesso la promessa è fare entrambe le cose allo stesso tempo. Il reddito di cittadinanza non sarà distribuito “in forma ridotta”, che era una delle tante proposte per rendere praticabile l’idea, anzi: “Io voglio una forma di reddito più ampia possibile, non procedo in modo timido”, dice il ministro.
Di Maio avverte che “se per raggiungere i nostri obiettivi servirà, accederemo agli investimenti in deficit”. Il governo intende quindi sforare il tetto del tre per cento del rapporto fissato dall’Europa per il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo. Dall’ambasciata italiana a Pechino – dove si trova in visita – il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, dice che un conto è criticare la regola del tre per cento come fa Di Maio, un conto è violarla davvero. Nel governo gialloverde, come si sa, Tria ha il ruolo di garante dei conti pubblici e di tranquillizzatore dei mercati e infatti dopo le sue correzioni morbidissime all’intervista di Di Maio lo spread è sceso di qualche punto – il che significa che le sue parole vengono ancora valutate come più credibili di quelle del collega.
Il ministro del Lavoro annuncia infine che la revoca della concessione alla società Autostrade “procede ottimamente, ci sta lavorando il presidente del Consiglio che è un eccellente avvocato. Ci sono tutti i presupposti per la revoca, poi realizzeremo la nazionalizzazione”, anche se due giorni fa il collega dei Trasporti, Danilo Toninelli, non ha saputo indicare nessuna tabella dei tempi. Ieri Di Maio ha annunciato anche, fuori dall’intervista, che il governo si prepara a fare un esposto per danno erariale a carico dei ministri che hanno firmato gli accordi con Autostrade. In pratica, chiederà risarcimenti ai politici. Entrambe le iniziative, la revoca della concessione e l’esposto in procura, sono disegnate per incontrare il favore dell’opinione pubblica e infatti i sondaggi premiano il governo, ma sul piano pratico promettono di trasformarsi in due processi giudiziari molto complessi e dai tempi imprevedibili.