"Serve una leadership prima delle europee”, dice il capogruppo del Pd al Senato
Per Andrea Marcucci “il Pd è ancora valido, ma non ci sono più le condizioni per la vocazione maggioritaria”
Roma. Dice Andrea Marcucci, presidente dei senatori del Pd, che “i tempi sono maturi” e il congresso va fatto velocemente, “non più tardi di febbraio o marzo”. Un cambio di rotta rispetto a qualche settimana fa, quando – era luglio – Marcucci ipotizzava, insieme ad altri, vedi Luca Lotti, le primarie dopo le europee, per avere più tempo per ricostruire il Pd, pesantemente sconfitto a marzo. “No, non c’è più tempo”, dice al Foglio. “Ci siamo resi conto della gravità della situazione, della totale incapacità di chi è al governo – un governo non gialloverde ma giallo, verde e nero, perché sono di destra – del loro approccio propagandistico e speculativo. Guardi, io sono rimasto sconcertato dall’audizione in commissione del ministro Toninelli sul crollo del ponte di Genova. Prima ha fatto un’introduzione bieca, di pura propaganda, senza costrutto, poi ha stilato un elenco senza tener conto di alcuna situazione specifica. Insomma, dopo aver fatto le vacanze si è presentato in Parlamento senza idee e senza proposte, per lucrare su 43 morti”. Per questo, dice Marcucci, bisogna fare in fretta. “Con il congresso a inizio dell’anno prossimo ci sono i tempi per far emergere le candidature. Intanto, infatti, le varie anime si stanno confrontando. Domani (oggi, ndr) inizia la convention di Franceschini, nei prossimi giorni ci sarà quella di Orfini a Roma, poi ci sarà la Leopolda. Sono occasioni per un confronto sui programmi, sulla proposta da fare al paese”.
Una volta esaurita la fase del confronto ci sarà poi il voto e sarà eletto il nuovo segretario. A quel punto, avverte Marcucci, non potrà accadere di nuovo quello che è successo negli anni scorsi, quando il Pd ha iniziato a sfasciarsi il giorno dopo il congresso. “Il Pd va tenuto unito senza fare gli errori del passato, quando si è preferito logorare le leadership fregandosene dei risultati congressuali”. Certo, molte cose sono da cambiare e alcune sono definitivamente cambiate, come l’autosufficienza del Pd. “Dobbiamo guardare al di là del Pd, alla sinistra e al centro. Serve una coalizione la più unita ma anche la più ampia possibile. Chi ha in mente di consumare vendette o attaccarsi a situazioni del passato per creare ulteriori fratture”, dice Marcucci riferendosi ai fuoriusciti del Pd, “secondo me semplicemente non pensa all’interesse del nostro paese. Dobbiamo renderci conto dei tempi in cui viviamo. I partiti che sono al governo provano avversione per le istituzioni democratiche, i Cinque stelle irridono il Parlamento, auspicano che non esista o che i senatori vengano sorteggiati. Salvini è bravo nel gestire la comunicazione, ma rilancia sempre sul bluff. Eppoi, non è che si potrà parlare di immigrazione per due anni”. Ma il Pd ha ancora senso, così com’è? “Io sono ancora convinto del progetto iniziale del Pd: mettere insieme i migliori riformismi del nostro paese. Abbiamo cercato di risolvere i problemi ma abbiamo perso i contatti con il territorio e sottovalutato la crisi, che è stata pesantissima e ha avuto effetti notevoli sulla disoccupazione giovanile. C’è da dire che gli avversari hanno vinto promettendo qualunque cosa e prendendo in giro gli italiani. Ma l’identità del Pd resta la stessa: riformista e progressista. Una cosa è però certamente cambiata rispetto al progetto iniziale. Non ci sono più le condizioni per la vocazione maggioritaria. Ora serve un fronte ampio di centrosinistra. E il congresso è l’occasione per dare un indirizzo preciso”. Ma i renziani chi candideranno? “Ancora non abbiamo deciso. Non credo che servano candidature affrettate purché siano. Intanto lavoriamo sulle idee, alla Leopolda di ottobre potremo produrre un programma convincente per il governo e sicuramente esprimere una candidatura convincente”. Non è che si candiderà di nuovo Renzi? “Secondo me no. Renzi è una risorsa importante per il Pd, credo che stia facendo bene il senatore e sta dando contributi in termini di proposta politica estremamente importanti”. E Marco Minniti a lei piace? “Non mi risulta candidato”. Ma se si candidasse? “Per le informazioni che ho, non mi risulta che abbia la minima intenzione di candidarsi”. Ma l’azione di Minniti sull’immigrazione va rivendicata? “Penso che il Pd debba rivendicare collegialmente l’azione del governo”. Nel Pd c’è chi contesta la linea dei governi di centrosinistra sull’immigrazione. Matteo Orfini dice che con Minniti il Pd ha fatto il gioco della destra. Concorda? “Penso che l’Europa e l’Italia siano state impreparate ad affrontare le dimensioni del fenomeno migratorio. Le azioni dei governi Renzi e Gentiloni hanno dato una giusta impostazione, che va perseguita con grande determinazione. I flussi vanno gestiti, serve un’apertura del nostro paese che sia compatibile con la nostra capacità di integrazione, uno sforzo importante nelle aree di provenienza. Ci sono però delle situazioni, penso alla Libia, dove il rispetto dei diritti umani è stato spesso calpestato e noi non possiamo essere disponibili ad accettarlo. I flussi vanno controllati ma con la certezza di alcune stelle polari a guidarci: gli esseri umani vanno salvati, il traffico di esseri umani va bloccato. Penso che la critica di Orfini sia indirizzata soprattutto a situazioni specifiche che si sono create in Libia, inaccettabili per il senso comune più che per uno strettamente dovere di solidarietà. E quando il Pd ha deciso di non votare il provvedimento sulle motovedette alla Libia non l’ha fatto perché era contrario, l’ha fatto perché questo governo non si è voluto impegnare sulla questione dei diritti”.