Governo ignorante
L’esecutivo non ha conoscenza dell’arte del governare e dell’amministrazione pubblica
Al direttore - Quando all’inesperienza politica e di governo si aggiungono l’assenza di ideali e di cultura politica la miscela che ne viene fuori è il governo autoritario degli ignoranti. Il nostro non è un insulto personale, prassi che ci è sconosciuta, ma un giudizio politico sostenuto dai fatti e non da opinioni o pregiudizi. I due dioscuri del governo, Salvini e di Maio, ognuno per proprio conto ma insieme governando, sono l’espressione palpitante di questo giudizio tranchant che non ha precedenti nella storia unitaria del paese. Abbiamo avuto governi politicamente deboli come il famoso governo Facta, che apri con la complicità di Vittorio Emanuele III le porte al fascismo, ma mai abbiamo avuto un governo degli ignoranti come questo – chiedendo scusa a personalità tecniche che pure tentano invano di correggere strada facendo le goffaggini dei capi politici.
Quando parliamo del governo degli ignoranti non ci riferiamo al livello culturale delle singole persone, che pure è importante, ma alla non conoscenza dell’arte del governare ed a quella dell’amministrazione pubblica. L’esercizio del potere di un governo, come di quelli di tutti gli altri poteri, non può che collocarsi all’interno delle leggi vigenti, per cui se una decisione politica giusta si trasforma in un provvedimento che vìola leggi nazionali o trattati e convenzioni internazionali, come nel caso dei migranti bloccati sulla nave italiana Diciotti, quella decisione diventa un errore politico grave nonostante che le premesse avessero una base di opportunità. Salvini ha fatto bene a dare sin dall’inizio uno scossone all’Europa perché rispettasse le proprie regole e direttive. Quando però questo scossone si trasforma in provvedimenti fuorilegge e in minacce da periferie metropolitane all’Unione europea e ai suoi singoli stati membri tutto si trasforma in un attacco stupido e a testa bassa contro quella Ue che resta pur sempre un’àncora per un paese come il nostro.
Tutto questo modo rozzo che non conosce l’arte della persuasione diplomatica a cosa può approdare se non a un isolamento dell’Italia sul piano internazionale? Le disponibilità pelose a esserci vicini sul terreno del debito pubblico da parte dei tre imperialismi mondiali – americano, russo e cinese – nascondono purtroppo una visione comune, quella della distruzione dell’Unione europea per spartirla meglio come aree di influenza economica, finanziaria ed energetica dei tre singoli imperialismi. Purtroppo non crediamo che questo rischio venga appena appena avvertito da Salvini o da Di Maio che si muovono come un elefante in una cristalleria. Se Moavero Milanese ha coscienza di questo rischio altri ministri tecnici non possono far finta di niente: il loro silenzio finirebbe per diventare complicità dello sfascio bruciando la credibilità di una intera vita culturale e professionale. La stessa situazione si verifica sul terreno dello sviluppo economico e del lavoro, area di competenza del giovane Di Maio, che minaccia le democrazie europee come nel suo industrioso paesino si può minacciare una pro loco impertinente. La gestione del destino dell’Ilva, la più grande acciaieria d’Europa, è da manicomio. Prima si dubita della correttezza della gara e del governo precedente, poi ci si fa dare dall’Avvocatura dello stato un parere di illegittimità ma di non annullabilità (salvo che il giorno dopo quella annullabilità diventa possibile se apparisse all’orizzonte una nuova proposta migliorativa). Nessun ministro può permettersi di giocare come fa il giovane Di Maio con il destino di una grande realtà produttiva e con la vita di migliaia e migliaia di lavoratori e di cittadini avvelenati da un lavoro precario e da un inquinamento che va fermato quanto prima. Per non parlare che entrambi i dioscuri hanno scoperto, novelli rabdomanti, chi sono i nuovi ricchi di questo paese così pieno di povertà e di disuguaglianza. I pensionati con 4.000 euro mensili sono i nuovi profittatori che vanno costretti a essere solidali con un pezzettino di povertà vista la sproporzione quantitativa tra i milioni di pensioni basse e le decine di migliaia di pensioni superiori ai 4.000 mila euro e degne delle funzioni che hanno svolto.
Il nuovo sol dell’avvenire
Il nuovo sol dell’avvenire, insomma, è quello di essere tutti più eguali nella povertà, tranne i veri ricchi ai quali forse si potrebbe chiede un contributo di solidarietà utile più per la coesione sociale che non per gli effetti economici. Per non parlare infine dell’annuncio di provvedimenti punitivi dinanzi a grandi tragedie senza conoscere nulla sulle cause e le concause di quella tragedia ma solo per dare una risposta alla comprensibile rabbia di una città. Un governo che decide senza conoscere e con criteri di marketing politici lascia davvero impressionati perché l’ignoranza, come diceva il grande Eduardo in una sua splendida poesia, è la cosa che più fa paura in una democrazia che voglia mantenere lo stato di diritto. Si avvicina a grandi passi il tempo per molti di agire, a cominciare dai ministri tecnici, dopo aver dato ancora qualche mese di credibilità perché il futuro dell’Italia è cosa troppo importante per lasciarlo nelle mani di chi ignora di tutto e di più. Anche cento anni fa i sondaggi avrebbero detto che il consenso cresceva intorno a movimenti forti e decisi, e i nostri nonni e i nostri padri soffrirono le pene dell’inferno. L’autoritarismo, naturalmente, cambia forma e vestito a seconda delle stagioni, così come la storia che si ripete sempre due volte, ci ammoniva Karl Marx: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. E noi il comico lo abbiamo già da tempo tra noi.