L'isola che non Lega
Il caso della nave Diciotti e poi l’inchiesta di Agrigento, le proteste dei vescovi, gli attacchi di Forza Italia: Sicilia amara per Salvini
E’ stata lunga e tormentata l’estate siciliana di Matteo Salvini. L’ultimo dispiacere glielo ha dato Agrigento, dove dieci mesi fa il leader leghista in campagna elettorale aveva promesso solennemente di fermare gli sbarchi in Sicilia. A complicare la vita al ministro è stata in particolare la procura agrigentina. Che lo ha indagato per sequestro di persona, abuso d’ufficio e arresto illegale, passando poi il fascicolo al Tribunale dei ministri a Palermo. Ma l’iniziativa del procuratore capo Luigi Patronaggio è solo l’ultimo dolore che la Sicilia sta riservando al leghista descamisado, a tratti anche desnudo in questa lunga estate di selfie e polemiche. Tra una foto a torso nudo e una battuta social su immigrati e affini, il vicepremier ha collezionato nell’Isola, settimana dopo settimana, una lunga sfilza di grane che hanno in parte guastato la sua estate. Fino al climax raggiunto con il pasticciaccio brutto della nave carica di migranti eritrei bloccata nel porto di Catania. E così, rogna dopo rogna, tra un inciampo e una reprimenda episcopale, la Sicilia – estremo confine di quel sud che in anni dimenticati fu bersaglio costante degli strali della propaganda lumbard – è diventata una sorta di nemesi per il leader populista.
L’ultimo dispiacere dalla procura di Agrigento, dove dieci mesi fa aveva solennemente promesso di fermare gli sbarchi
Con la vicenda della nave Diciotti si è avuto certo il climax di questa nemesi siciliana che si è abbattuta sul ministro dell’Interno quest’estate. L’inchiesta della procura di Agrigento, comunque vada a finire, è una grana che se da una parte offre a Salvini e compagni frecce all’arco della retorica della persecuzione politica, dall’altra apre una serie di incognite nel futuro e pone gli alleati grillini in una scomoda posizione. I ragazzi di Giggino Di Maio ancora una volta sono stati bersagliati di accuse di incoerenza e doppia morale, quando sono stati rinfacciati loro i tweet d’epoca con tempestiva richiesta di dimissioni “in cinque minuti” ad Angelino Alfano, allora ministro dell’Interno e indagato per abuso d’ufficio. Sostenevano allora Di Maio e compagni che quello status non poteva essere compatibile con quello di vertice politico delle forze di polizia. Con il sodale Salvini, i grillini hanno optato per un’altra musica (le dimissioni non servono perché non c’è scritto nel codice etico del contratto di governo), senza però seguire il socio sulla strada dell’attacco frontale alla magistratura. “Non dobbiamo attaccare i pm”, ha subito messo le mani avanti Di Maio, ben conscio di come siano sensibili al tema i suoi.
Insomma, l’iniziativa della procura di Agrigento, dovesse anche rivelarsi “un boomerang” come ha previsto Salvini, ha dato la stura alle contraddizioni interne alla maggioranza gialloverde, togliendo il silenziatore al malessere di un’anima del Movimento lontana dall’impostazione salviniana. E’ accaduto proprio in Sicilia, dove dopo un lungo e imbarazzato silenzio, gli esponenti “movimentisti” dei Cinque stelle hanno fatto outing per manifestare insofferenza verso la linea lepenista di Salvini. Come ha fatto Ugo Forello, già candidato sindaco a Palermo per i pentastellati, che ha rimarcato pubblicamente le distanze tra grillini e Lega: “Spero che non avvenga più quello che è successo con il caso Diciotti, ha detto. Critiche che pubblicamente non ha lesinato, seppur con juicio, anche Gampiero Trizzino, votatissimo deputato regionale dei Cinque stelle. Il tutto mentre anche altrove esponenti grillini più in sintonia con le posizioni del presidente della Camera Roberto Fico maturavano un certo malessere, raccontato dai quotidiani.
Alle europee possibile l’accordo con Diventerà bellissima, il movimento del presidente della regione Musumeci
E non ci sono solo Patronaggio e i grillini insofferenti. Il caso della Diciotti ha aperto una grande danza di protesta contro Salvini, a cui si sono iscritti, oltre i soliti noti del centrosinistra, anche nuovi severissimi critici. Come i vescovi siciliani, schierati in primissima fila contro la linea del governo. Il vescovo di Noto, monsignor Antonio Staglianò, delegato della Conferenza episcopale siciliana per le migrazioni, è intervenuto sulla vicenda Diciotti con parole di straordinaria durezza, evocando addirittura la possibilità di uno sciopero della fame episcopale. E la sortita del vescovo di Noto è stata in realtà l’ultima di una lunga serie, che nelle settimane che hanno preceduto il caso della nave bloccata a Catania ha visto i vescovi di Sicilia bacchettare a più riprese la linea salviniana sull’immigrazione. Già a giugno il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, aveva stigmatizzato la deriva xenofoba ricordando “la storia di accoglienza” dell’Italia. Di analogo tenore le prese di posizione pubbliche del cardinale Franco Montenegro, vescovo di Agrigento: “I migranti, i poveri sono un termometro per la nostra fede – ha detto tra le altre cose il porporato –. Non accoglierli, soprattutto chiudendo loro il cuore, è non credere in Dio”. Anche l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice si è fatto sentire, per il Festino di Santa Rosalia, a metà luglio: “Se chiudiamo i porti siamo dei disperati”, ha detto in cattedrale il prelato, ammonendo che “tutti gli uomini e le donne sono di colore”. Salvini in quella circostanza gli ha risposto a modo suo su Twitter: “Con tutto il rispetto possibile per il pastore di anime, anziché favorire l’arrivo in Europa dei poveri di tutta l’Africa, il mio dovere al governo è pensare prima ai milioni di poveri italiani. Sbaglio?”. La puntuale claque social si materializzò a suo sostegno anche in quel caso.
Ai vescovi, nella trincea della critica a testa bassa verso il salvinismo di governo, si sono aggiunti i forzisti siciliani. I massimi vertici del partito del Cavaliere nell’Isola si sono fatti sentire nei giorni caldissimi della Diciotti. Gianfranco Micciché, storico leader di Forza Italia, commissario del partito e presidente dell’Assemblea regionale siciliana, ha persino dato a Salvini dello “stronzo” su Facebook, prima di recarsi al porto di Catania a visitare la nave. Le parole riservate da Miccichè all’ex alleato sono state tra le più dure nella tempesta mediatica della Diciotti: “Non c’entra la difesa dei confini, Salvini sei disumano – ha scritto tra l’altro l’ex ministro berlusconiano –. Dici di non temere l’intervento del presidente della Repubblica, quello del primo ministro, o quello di un procuratore. Non so come tu riesca a dormire al pensiero di quanta sofferenza si stia procurando nel tuo nome. Salvini, non agisci così perché intollerante o razzista. Perché nel lasciare 150 persone per tre giorni in balìa di malattie e stenti su una nave non c’entra niente la razza o la diversità, c’entra l’essere disumani, sadici. E per cosa poi, per prendere 100 voti in più?”.
Gli esponenti “movimentisti” dei Cinque stelle hanno fatto outing per manifestare insofferenza verso la linea lepenista del ministro
E anche un altro forzista siculo di peso, l’ex presidente del Senato Renato Schifani, con un lessico meno colorito, ha incalzato Forza Italia a “battere un colpo” per prendere le distanze dalle mosse leghiste sulla discussa vicenda. Segnali evidenti della crescente divaricazione interna a quel che fu il centrodestra, dove la vecchia guardia berlusconiana del sud guarda ormai in modo sempre più guardingo all’avanzata leghista e al crescente consenso di Salvini. La vicenda della Diciotti ha fatto emergere con chiarezza questo sentimento, che già in precedenti occasioni si era intravisto nel dibattito politico regionale. Uno schema che non si replica ad altre latitudini. Al nord i forzisti restano incollati al Carroccio, e a Roma ancora questa settimana la capogruppo alla Camera Maria Stella Gelmini invitava la Lega a rompere con i Cinque stelle e tornare al vecchio centrodestra: “A Salvini dico: esci da questa alleanza innaturale con i Cinque stelle e torna con il centrodestra, che vinciamo insieme. Il paese non può più aspettare”. Una prospettiva della quale qui in Sicilia pare, almeno a leggere il Micciché-pensiero, che si cominci a dubitare negli ambienti forzisti.
Il tour messinese di Ferragosto e il tentativo di strutturare il consenso. La torta con scritto “Vince la squadra” e le new entry
Insomma, è stata una Sicilia amara, o per lo meno complicata per Matteo Salvini in quest’estate sovranista. E non solo per la Diciotti. I dispiaceri non sono mancati anche quando, la sera del tragico crollo del ponte Morandi a Genova, il ministro dell’Interno non ha rinunciato al suo programmato tour isolano con tanto di cena a base di buon pesce e vino bianco, le cui foto finite su Facebook hanno scatenato un calderone di polemiche, bollate dal leader del Carroccio come sciacallaggio. La cena al ristorante “Sapori di mare” di Furci Siculo per la vigilia di Ferragosto, tra linguine ai ricci, crudi di pesce e torta con su scritto “Vince la squadra”, è stata una tappa del percorso che la Lega sta cercando di costruire in Sicilia per cementare nel deserto una classe dirigente, in grado di strutturare quel consenso che anche nell’Isola si va spostando in direzione di Salvini. Alla cena messinese c’era tra gli altri Carmelo Lo Monte, parlamentare siculo-leghista di lunghissimo corso, già democristiano, già democratico-europeo con Sergio D’Antoni, già autonomista con Raffaele Lombardo, già centrista democratico con Bruno Tabacci. E nel tour messinese di Salvini c’era anche la presenza di una new entry del partito, Dino Bramanti, professore universitario, a capo del Centro neurolesi Bonino Pulejo, una delle roccaforti del potere messinese, candidato allo scorso giro a sindaco della città dello Stretto per il centrodestra, e fatto a pezzi al ballottaggio dal fenomeno populista Cateno De Luca. E’ approdato al Carroccio in questa campagna acquisti di fine estate, che ha portato alla Lega tra gli altri anche Igor Gelarda, consigliere comunale palermitano, già ala destra del Movimento 5 stelle. Un processo, quello della costruzione della Lega siciliana, che il Carroccio gestisce con cautela, anche perché non finisca per apparire come una raccolta di pezzi di risulta. Il punto di partenza sono le amministrative di giugno, dove i salviniani in Sicilia – tranne piccole eccezioni – praticamente non toccarono palla, lasciando a Forza Italia il tradizionale ruolo di motore della coalizione. E sì, perché anche alle urne la Sicilia fin qui è stata avara di gioie per Matteo il sovranista. Ci si potrà ricontare alle europee del prossimo anno, quando la musica dovrebbe cambiare per la Lega che vola nei sondaggi. E alle europee il partito di Salvini potrebbe chiudere nell’Isola un accordo con Diventerà bellissima, il movimento del presidente della regione Nello Musumeci, rimasto silente e coperto nei giorni difficili della Diciotti. Di un suo percorso si avvicinamento alla Lega si è parlato, ha fatto discutere ad esempio la sua partecipazione alla kermesse di Pontida. Lui fin qui ha sempre ridimensionato il tutto, spiegando i suoi rapporti con Salvini nell’ottica di un normale confronto politico e istituzionale. Inclusa la presenza a Pontida: “Ho risposto a un gentile invito – ha detto Musumeci –. Non è che se mi invita l’arcivescovo e ci vado significa che mi sto facendo prete”. Ma non è un caso che i rapporti del governatore con Forza Italia siano da un pezzo assai tormentati, nell’ambito di quel progressivo allontanamento tra i berluscones siculi e la destra sovranista a cui si accennava.
Resta da capire se la lunga e calda estate siciliana di Salvini lascerà o meno uno strascico. Sia nei rapporti tra Lega e Movimento 5 stelle sia in quelli tra il Carroccio e Forza Italia. Tenere d’occhio la Sicilia eterno laboratorio politico potrà essere utile per cogliere i movimenti interni ai pentastellati e le possibili, embrionali manovre al di fuori dello schieramento gialloverde per provare a saldare un fronte antipopulista. Ma prima toccherà aspettare la fine dell’estate siciliana di Matteo Salvini, che passerà dalle scrivanie dei tre magistrati del Tribunale dei ministri di Palermo.