Per Salvini l'Abruzzo val bene il Piemonte. Bellachioma: “Obbedisco”
Prima il sud. Un passo indietro in terra sabauda per blindare la candidatura del pioniere teramano. Riccardo Molinari: "Vicende slegate"
Roma. Ciò di cui nessuno dubita, e ci mancherebbe, è che alla fine deciderà Matteo Salvini. “Lui è il capo, lui comanda: nella Lega funziona così”, dice Giuseppe Bellachioma. E si capisce subito che più che un atto d’umiltà è un atto d’obbedienza quasi obbligato, quello del segretario abruzzese del Carroccio. Lo stesso che fa pure Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera e luogotenente in Piemonte, che ci tiene subito a ridimensionare il clamore strisciante delle indiscrezioni che circolano in questa rentrée settembrina a Montecitorio: “Ma quale scambio, non scherziamo. Per la Lega il Piemonte è una regione strategica”. E insomma “le due vicende sono slegate”, garantisce al Foglio Molinari.
Ma la voce corre lo stesso, tra i parlamentari abruzzesi del centrodestra. Ed è una voce che, in buona sostanza, dice questo: che Salvini sarebbe disposto a cedere a Forza Italia la candidatura unitaria in Piemonte, nel 2019, pur di blindare un suo fedelissimo alle imminenti regionali abruzzesi. Pettegolezzi? Bellachioma la racconta così: “E’ chiaro che, nell’ottica di una trasformazione della Lega in un partito nazionale, quella abruzzese è una battaglia campale. La nostra regione può essere l’ago della bilancia degli equilibri del centrodestra e non solo, e può decretare il successo del progetto di Matteo”. E dunque c’è poco da discutere: “In Abruzzo, che si voti a novembre o a marzo, il candidato del centrodestra sarà espressione della Lega”, insiste Bellachioma, capogruppo in commissione Bilancio a Montecitorio. E poi, quasi a prevenire l’obiezione: “E sia chiaro – aggiunge – che la priorità va data a chi ci ha sempre messo la faccia”. Come a dire che insomma sono tanti, forse perfino troppi, gli aspiranti leghisti dell’ultim’ora. “Deve essere chiaro che il nostro è un carro che si tira, non un carro su cui si sale. Se si decidesse per il partito unico del centrodestra, qui da noi ci metteremmo quindici giorni a crearlo. Adesso la Lega ha sex appeal, in Abruzzo, e sono parecchi i sindaci e i consiglieri regionali di Forza Italia e Fratelli d’Italia che mi cercano. Ma io gliel’ho detto: prima fatevi tre mesi di gruppo misto, e poi sbattetevi sul territorio. Si entra in Lega da militanti, e non da dirigenti”, sentenzia, e lo fa con una certa dose di autocritica, lui che nel minacciare i pm che indagano su Salvini (“Se toccate il Capitano vi veniamo a prendere sotto casa.. Occhio!!!”, ha scritto su Facebook nei giorni caldi della Diciotti) riconosce di aver agito, appunto, “più da militante che da dirigente”. Grado che comunque, ci tiene a rivendicarlo, lui si è “guadagnato sul campo”, visto che “la Lega qui l’ho costruita davvero dal nulla, sin da quando, nel novembre del 2014, mi consideravano un visionario”.
E insomma, quasi non volendo, Bellachioma risolve l’enigma: chi, se non lui, potrebbe guidare il Carroccio in questa campagna d’Abruzzo divenuta inaspettatamente fondamentale? Sorride: “Il mio nome non è stato fatto per ora”. E però? “E però decide Matteo: se lui comanda, io sono pronto a obbedire”, dice, in una versione celodurista dell’antico “sono a disposizione”, confermando con un nuovo sorriso che sì, l’idea di essere lui il primo governatore terrone della Lega gli piace da matti. E certo anche Molinari è un soldato che rispetta gli ordini, ma pure – lui che, dicono a Torino, sarebbe il solo leghista a potersi candidare in Piemonte, per ragioni di prestigio e di gerarchie interne – precisa: “Faccio il capogruppo alla Camera di un partito di governo. Sono più utile lì ora”.