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A che punto è la revoca della concessione di Autostrade? Il trilemma di Toninelli

Luciano Capone

Decadenza per via amministrativa, revoca per decreto o nazionalizzazione della A10? Tre soluzioni e nessuna buona per il Mit

Roma. Che fine ha fatto la “caducazione” della concessione di Autostrade per l’Italia? Recentemente il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha pubblicato su Instagram una foto dal salone del suo hair stylist commentando, con la sua proverbiale ironia: “Ho revocato la revoca della concessione al mio barbiere”. La foto, di poco successiva a quella che lo ritraeva mentre reggeva sorridente il modellino del ponte Morandi, ha suscitato molte polemiche ed è stata rimossa. Il riferimento goffo alla concessione del barbiere indica che il ministro è ancora concentrato sul tema della revoca ad Aspi, promessa solennemente da lui, dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal vicepremier Luigi Di Maio il giorno dopo la tragedia di Genova.

 


  

Ma a distanza di un mese, a che punto è il procedimento? Quale strada ha intrapreso il governo per far decadere la concessione in mano al gruppo controllato dai Benetton?

  

Non è molto chiaro, il ministro sembra di fronte a un trilemma irrisolvibile. Toninelli ha prospettato tre diverse soluzioni, ognuna delle quali ha degli ostacoli, apparentemente insormontabili, che separano i desideri del ministro dalla loro realizzazione.

  

Il governo ha già avviato una procedura di estinzione del rapporto concessorio di tipo amministrativo che prevede, secondo i termini della convenzione con Aspi, la decadenza per inadempimento grave del concessionario. Questa strada però è particolarmente lunga, almeno per i tempi istantanei del governo, perché dura 150 giorni e prevede una contestazione basata sull’accertamento delle cause del crollo (che ancora non c’è), le controdeduzioni di Aspi. Oltre a essere lungo è anche un iter dall’esito incerto, perché prevede la possibilità di ricorsi al Tar e al Consiglio di stato e infine, indipendentemente dall’esito, un indennizzo a favore di Autostrade che si aggira tra i 15 e i 20 miliardi. Inoltre la via amministrativa implica che, fin quando Autostrade resta titolare della concessione, non è possibile escluderla dalla ricostruzione del ponte, che è l’altra promessa di Toninelli (“Autostrade metterà i soldi e il ponte lo costruirà Fincantieri”).

  

Ma le lungaggini amministrative possono essere superate con la seconda soluzione, proposta sempre da Toninelli: una legge-provvedimento. Anche la seconda via però ha i suoi inconvenienti: la prima, logica, è che se la concessione viene revocata per decreto il governo può sì affidare la ricostruzione del ponte a Fincantieri (sempre che l’Europa approvi una deroga alle norme sulle gare), ma non può pretendere che a pagarlo sia Autostrade che è obbligata a farlo fin tanto che esiste la convenzione. Ma oltre a questo dettaglio, ci sono altri problemi. La revoca per decreto, che ha più o meno la stessa logica dell’esproprio, deve prevedere, secondo quanto previsto dalla Costituzione, un indennizzo a favore di Autostrade. Inoltre, una legge che non prevedesse un indennizzo e fatta senza contraddittorio contro un solo concessionario (anziché un riordino di tutto il sistema) potrebbe essere bocciato dalla Corte costituzionale e, prima ancora, incontrare le perplessità del Presidente della Repubblica. Le difficoltà della via legislativa non sono poche, anzi forse sono maggiori rispetto alla procedura amministrativa. E infatti, anche se Toninelli sul punto aveva solennemente dichiarato “Noi quel contratto lo facciamo decadere per legge, faranno dei ricorsi ma la Corte costituzionale deciderà tra uno o due anni”, la revoca non è stata inserita nel decretino per Genova e pare ormai accantonata.

  

C’è anche una terza opzione che Toninelli, tra un tweet e una foto su Instagram, ha lanciato da un salotto televisivo. Ed è la “nazionalizzazione” della A10, ovvero del solo tronco Genova-Ventimiglia. Qui i problemi sono due: il primo è che la concessione di Autostrade è unica per tutti i 3 mila chilometri, non può essere spezzettata a piacimento. In teoria Toninelli potrebbe obbligare Aspi a cambiare la propria concessione, cedendo un pezzo di autostrada, ma violerebbe comunque la normativa europea sulla stabilità dei contratti. Il secondo problema è che la A10 è di due concessionari: per circa 45 chilometri (Genova-Savona) è di Autostrade e per 113 chilometri fino a Ventimiglia è di Autostrada dei Fiori (Gavio). Quindi per conquistare la “sovranità” su un ponte crollato, Toninelli dovrebbe togliere la concessione ad Aspi e anche al gruppo Gavio (Sias).

  

Siccome la nazionalizzazione delle autostrade riguarda la ricostruzione di Genova e la costruzione della Gronda ed è un tema rilevante per le casse dello stato, per le tasche dei cittadini e per i bilanci di due società quotate, forse il ministro Toninelli dovrebbe chiarire cosa gli passa per la mente.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali