I cento giorni del ministro dei Trasporti gaffeur che era nato “istituzionale”
Dagli inciampi estivi sugli sbarchi alle foto con testi di humour non sempre britannico su Genova fino ai casi Tav e Tap. Un ritratto
Roma. Era concentrato (e se lo diceva da solo in un post con foto che lo ritraeva più basìto che assorto), l’allora capogruppo al Senato Danilo Toninelli, poi ministro delle Infrastrutture del primo governo gialloverde, oggi alle prese con il caso Genova – con tensione intragovernativa sulla nomina del commissario – ma a quei tempi orgoglioso di mostrare al mondo la faccia impegnata sulle carte preliminari alla firma del cosiddetto “contratto” M5s-Lega. Era concentrato, in quel giorno del maggio 2018, il futuro ministro, e coloro che allora ridevano di fronte a quella strana auto-certificazione di corrucciato impegno oggi quasi quasi piangono, da quanto Toninelli pare essersi trasformato nel suo gemello un po’ gaffeur un po’ marziano un po’ chissà. Fatto sta che Toninelli, un tempo considerato (nel M5s) uomo per così dire di pancia e d’istituzione, inviato dei massimi vertici a Cinque stelle, nella passata legislatura, sul fronte della trattativa con il Pd sulla legge elettorale, sul fronte del “no” al referendum renziano, e, ultimo ma non ultimo, sul fronte del controllo a distanza dell’azione della giunta Raggi (ufficialmente negato a inizio 2017), da quando è ministro dei Trasporti non ha smesso di stupire, ma sul piano del surreale più che del reale (Toninelli dice: meglio i miei errori che le loro ruberie). Fatto sta che il Toninelli liberato (si sospetta infatti non fosse la sua vera indole quella mostrata nel precedente ruolo di esperto compassato di riforme del M5s) dà prova di spericolatezza comunicativa un giorno sì e l’altro pure.
Partendo dalla fine, c’è la foto del ministro dal barbiere (antefatto: c’era chi non si spiegava il perché della persistenza, in capo al ministro, della rigogliosa pettinatura spettinata). E il ministro dal barbiere, che pochi giorni prima era stato immortalato a “Porta a Porta” con viso incongruamente sorridente accanto al plastico del ponte Morandi crollato a Genova, si mette e scrivere la frase, poi cambiata ma rimasta incriminata: “Ho revocato la revoca della concessione al mio barbiere”, con riferimento alla querelle con Autostrade, e proprio nei giorni in cui la città di Genova ripensava al mese trascorso da quel 14 agosto in cui il viadotto è crollato (è seguita polemica a distanza con Matteo Renzi, che ha definito il ministro “bugiardo” e “inadeguato”). E non basta, ché, due giorni fa, il ministro, via Twitter, ha accusato Autostrade di “scaricare” sui dipendenti “i costi del disastro”, chiedendo loro di “devolvere parte dello stipendio”. Risposta dell’azienda: “La raccolta di fondi è un’iniziativa spontanea di alcuni dipendenti, nata dalla loro sensibilità”. Sempre andando a ritroso, e sempre a proposito di Genova, indigeribile è risultato, presso le platee internettiane non necessariamente nemiche preventive del ministro, il boomerang targato Toninelli sulle presunte “pressioni” ricevute per non pubblicare gli atti relativi alla concessione ad Autostrade: a inizio settembre, infatti, Toninelli pubblicava le lettere presunte incriminate, risalenti però a un periodo precedente la sua nomina.
Ma se l’autunno ha rivelato ai più il Toninelli incurante dell’effetto che fa, l’estate metteva a dura prova chi in Toninelli aveva riposto speranze riguardanti il mantenimento dell’aplomb nel consesso gialloverde. A partire dal lessico, infatti, la speranza è stata delusa: il ministro passa dall’invettiva in pochi caratteri contro “i padroni del casello” al perentorio “nessuno dia lezioni all’Italia” (pronunciato durante l’emergenza-sbarchi) al testo che accompagnava la sua foto in veste di bagnante, in spiaggia a fine agosto, con cappello della Guardia Costiera, in concomitanza con la crisi della nave Diciotti: “Qualche giorno di mare con la famiglia con l’occhio sempre vigile su ciò che accade in Italia. Ma tutti gli eroi della #guardiacostiera, dai vertici fino all’ultimo dei suoi uomini, come vedete, sono sempre con me. Anzi, li tengo sempre in… testa”. E a quel punto era sorto il dubbio che, per il ministro Toninelli, la battuta fosse come il braccio del dottor Stranamore, che si leva nell’aria anche contro la volontà del soggetto (ma c’è la svista pura, come quando al ministro sono toccati giorni di sfottò sul web per aver chiamato “incrociatore” il rimorchiatore italiano Vos Thalassa). Poi c’è la parte seria, come la questione del commissario per Genova, con il premier Conte che sbatte la metaforica scarpa sul tavolo ( “decido io”), per non dire della prematura (nel senso della data di nascita del governo) tensione sotterranea con Matteo Salvini, sempre sugli sbarchi, fino al punto ambiguamente dolente che va sotto il titolo “ridiscussione della Tav” (“non vogliamo fare nessun tipo di danno economico all’Italia ma vogliamo migliorare un’opera che è nata molto male”, dice il ministro, a tratti evocando futuri referendum sulle grandi opere). E quando dal Nord si scende a Sud, Toninelli si imbatte in Alitalia, e poi ancora nei No-Tap, ora inferociti contro i ministri a Cinque stelle, considerati “traditori”.