Calenda annulla la cena, ma Gentiloni ha già pronto il piano B
Cosa ha in mente l'ex ministro dello Sviluppo economico per avvicinare i due ex presidenti del Consiglio
[Articolo aggiornato alle 9:10 del 18 settembre 2018] L'invito a cena da parte di Carlo Calenda, che avrebbe dovuto mettere attorno a un tavolo Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Marco Minniti, ha provocato polemiche, ironie e reazioni più o meno scomposte, con il governatore del Lazio Zingaretti, escluso, che ne ha subito proposta un'altra con "esponenti della società civile" in trattoria. Ma il raduno chez Carlo è finito, prima ancora di iniziare, con un tweet: Calenda ha deciso di annullarla perché "Renzi si era sfilato ieri pomeriggio via agenzie e retroscena e a quel punto non aveva più molto senso", scrive l'ex ministro dello Sviluppo economico su Twitter. "Andiamo avanti con l'opposizione. Ognuno facendo il suo. Di più in questo momento non si può fare. Troppi ego e troppi conti da regolare". Ma poi si sfoga su Radio Capital: ai dirigenti del Pd "non importerà" di perdere le prossime elezioni europee e regionali: "Quello che importa a loro è il congresso. Sta diventando un posto in cui l'unico segretario che si dovrebbe candidare è il presidente dell'associazione di psichiatria", ha detto Calenda a Circo Massimo di Giannini. Sintesi? Il Pd "merita l'estinzione".
Paolo Gentiloni non può dire no all’invito a cena di Carlo Calenda che intende metterlo a tavola con Marco Minniti e Matteo Renzi, nella speranza che ex premier ed ex segretario sigillino un armistizio e che l’ex ministro dell’Interno lo aiuti in questa operazione. Siccome Renzi aveva già dato la sua disponibilità e Minniti aveva già detto di sì, Gentiloni non si è potuto sottrarre perché tutto vorrebbe fare tranne che apparire come colui che divide il Pd. Perciò ha accondisceso (sebbene non di buon grado) all’incontro. Ma Gentiloni ha già fatto sapere che non appoggerà mai un candidato sostenuto da Renzi. Insomma, non ha affatto voglia di fare pace perché durante tutto il periodo del suo governo si è sentito “tradito” dall’ex segretario. Di più: si è sentito scaricato quando era stato proprio Renzi a far il suo nome e a sceglierlo come successore.
Per questa ragione il piatto forte della cena di Carlo Calenda sarà il tentativo di far tornare entrambi a parlarsi. Non solo: sul l’incontro conviviale aleggia una proposta. Non è dato sapere se l’ex ministro dello Sviluppo economico la farà proprio in questi termini, ma la sostanza è questa : perché non dare la guida del Pd a Paolo Gentiloni? Perché non far scendere in campo proprio lui, ben sapendo che in questo caso Nicola Zingaretti si ritirerebbe in buon ordine, cosa che il governatore del Lazio non intende fare se invece si dovesse presentare alle primarie Graziano Delrio? Ed era questa la condizione avanzata dal capogruppo alla Camera per dire sì alla proposta di Renzi di candidarsi alla segreteria del Pd.
Per come si sono messe le cose, però, non è facile che Renzi accetti di sostenere Gentiloni. I rapporti tra i due si sono deteriorati e per quanti sforzi facciano i rispettivi ufficiali di collegamento è difficile che di qui alla data del Congresso (previsto) per febbraio i due tornino ad avere non i rapporti che avevano un tempo ma nemmeno delle normali relazioni. Senza contare il fatto che Gentiloni stesso ha veramente assai poca voglia di assumere la guida di un partito litigioso e in declino: è convinto di essere più utile al Pd se resta fuori dalle contese immediate.
E’ a questo punto che subentra l’opzione B. Calenda, che non aspira a fare il segretario del Partito democratico e che continua a negarlo in pubblico (ed è sincero quando lo fa), pensa che la carta da giocare per mettere sia Renzi che Gentiloni sia quella di Minniti. E’ vero che l’ex ministro dell’Interno ha detto in più di un’intervista che non intende candidarsi alla segreteria del Pd, ma è anche vero che Minniti è uomo di partito e che quindi, alla fine, se vedesse che non c’è altro modo per ricompattare i democratici si sacrificherebbe.
Chissà se il piano andrà a buon fine oppure no. Con l’aria che si respira nel Pd è difficile fare previsioni. Ma il rischio (per i renziani) è che alla fine si vada a un congresso che incoroni Zingaretti (cioè quanto più lontano da loro) segretario. Perché l’opzione indicata da Matteo Orfini (e caldeggiata da più di un renziano), cioè quella di posticipare il Congresso e di tenerlo solo dopo le elezioni europee appare ormai come una strada sempre meno praticabile.