Toninelli, un concentrato di populismo
Nomi e storie. A chi è stato affidato il compito difficile di trasformare Toninelli in un ministro presentabile
Roma. Forse sarà stato un po’ per celia, forse invece per esorcizzare una paura che è reale (“E’ partita la caccia a Danilo, su ordine di Autostrade”, lamentano infatti), se i parlamentari più vicini a Toninelli domenica hanno sondato gli umori e le intenzioni di quelli del Pd, per capire se davvero, come pure si è vociferato, si prospettava una richiesta di dimissioni al ministro dei Trasporti da parte delle opposizioni. “Ci hanno rassicurato, hanno detto che non lo faranno”, hanno poi esultato. “Anche perché altrimenti – aggiungevano però, con sardonica, falsa noncuranza – magari poi ne arriva uno bravo che non gli dà più questi assist”. Una battuta che la dice lunga sulla considerazione di cui Toninelli gode ormai anche nel Movimento. Sono circolati anche dei nomi per possibili sostituti, poi il ripensamento: “Danilo va difeso”. Innanzitutto da sé stesso, e cioè da chi gli sta più intorno.
E siccome gli “assist” incriminati provengono perlopiù dai suoi profili social, inevitabilmente nella schiatta dei colpevoli è finito, per primo, Ulisse Spinnato Vega, responsabile unico e indiscutibile della comunicazione del Mit e del suo titolare. Palermitano di nascita, classe ‘75, Spinnato Vega la passione per le “strategie comunicative nell’informazione di massa” la matura fin da giovane, se ne fa anche l’argomento della sua tesi di laurea in Filosofia all’Università di Palermo. E’ il 2000, e il giovane Ulisse inizia la sua gavetta in vari giornali siciliani: tenta pure, due anni dopo, l’esordio letterario con la non imprescindibile raccolta di poesie Sotto il lucernaio. Intanto si trasferisce a Roma, dove si avvicina agli uffici stampa del Campidoglio nell’èra di Walter Veltroni. Ma il vero debutto in politica è nella campagna per le amministrative del 2008, quando è addetto stampa per la lista dei “Moderati per Roma” che sostiene il gran ritorno di Francesco Rutelli. Poi collaborazioni saltuarie con Lettera 43 e L’Espresso, fino al 2013, quando risponde a una chiamata del M5s che cerca gente per lo staff della comunicazione, che comincia subito a lievitare. Lui si occupa dell’area economica, e si fa notare dai vertici. Partecipa alla delegazione ristretta – ne fa parte anche Pietro Dettori, fedelissimo di Davide Casaleggio – che accompagna Beppe Grillo ad Atene, nel luglio del 2015, per il referendum anti-troika indetto da Tsipras. Vince il no, e lui festeggia con una bottiglia di birra sull’acropoli, vagheggiando la fine del potere delle banche insieme ai suoi amici grillini. Quando si è trattato di scegliere un plenipotenziario per i rapporti coi follower e la stampa, Toninelli non ha avuto dubbi.
E con altrettanta convinzione l’ex carabiniere lombardo ha optato per Dimitri Dello Buono come capo della sua segreteria tecnica. Cinquantunenne irpino di Montella, Dello Buono si è fatto apprezzare da Toninelli come zelante ricercatore al Cnr, specie per il suo impegno nel progetto “geoSDI”, finalizzato alla realizzazione di software per la mappatura accurata del territorio. “E’ un professionista inappuntabile”, dicono di lui i parlamentari grillini, ignorando forse che si tratta dello stesso Dello Buono che ha collaborato, tra il 2016 e il 2017, con la giunta campana, e che da capo di segreteria del vice di Vincenzo De Luca, Fulvio Bonavitacola, ha curato la realizzazione del Piano regionale per il contrasto agli abbandoni e ai roghi di rifiuti che i grillini locali, e tra questi la fedelissima di Luigi Di Maio, Valeria Ciarambino, definivano, all’epoca, “ambiguo” se non “fallimentare”.
Il capo di gabinetto è Gino Sciacca, giurista di Frosinone, docente all’Università di Teramo e alla Luiss, già consulente di Palazzo Chigi; Alfredo Storto, magistrato al Tar del Lazio, è invece il nuovo capo dell’ufficio legislativo del Mit toninellesco, dopo aver ricoperto lo stesso incarico per Gianpiero D’Alia e Gian Luca Galletti, alla Pubblica Amministrazione e all’Ambiente, tra il 2013 e il 2015.
Due tecnici, due esperti delle beghe ministeriali. E nessuno dei due, si vocifera nei corridoi di Porta Pia, va troppo d’accordo col capo della segreteria di Toninelli, Gaetano Marzulli, avvocato pugliese classe ’82, già segretario particolare dell’allora senatore grillino nella scorsa legislatura. Nello staff dei consulenti legislativi dei grillini di Palazzo Madama ci arriva nel maggio del 2014, quando lavorava nello studio di un noto amministrativista barese, oltreché all’ateneo cittadino.
Lo stesso in cui ha studiato anche Stefania Colonna, brindisina di Fasano, di due anni più giovane. Pure lei avvocato in cerca del grande salto, pure lei arriva a Roma nella pattuglia degli assistenti parlamentari del M5s. Viene smistata alla Camera, dove lavora come consulente legislativa di Roberta Lombardi, che poi la vorrà vicina anche durante la sfortunata campagna per le regionali in cui correrà come candidata governatrice del Lazio. Poi, anziché accasarsi alla Pisana, ottiene asilo a Porta Pia. Dove trova, nella segreteria del ministro, Ilaria Ricci Picciloni, quarantaduenne storica attivista ravennate. Nativa di Lugo, nel 2014 ha corso come sindaco di Cotignola, dove ora è consigliera comunale. E’ anche, da qualche mese, vicepresidente del Consiglio dell’unione dei comuni della Bassa Romagna, ma ha trovato comunque le energie e il tempo per accettare il suo nuovo incarico romano. Incarico a tempo determinato, per ora, ma non per questo svolto senza sgomitare. Del resto la Ricci Picciloni, collaboratrice in uno studio legale di Faenza, appassionata dei Queen e di Enrico Mentana (di cui colleziona foto che li ritraggono insieme), ha grande familiarità col cerchio magico dei grillini emiliani, da Max Bugani a Gabriele Betti, da Gian Paolo Poli a Umberto Cottafavi, amici storici del Beppe.
E’ invece conterraneo del ministro Massimo Casiraghi, trentaquattrenne lodigiano che Toninelli deve aver avvistato, in passato, nella sua nativa Soresina, dove il giovane Casiraghi lavorava coma portalettere. Cresciuto poi come fotografo e social media manager, in tempi più recenti ha collaborato col M5s sia al Senato sia al consiglio regionale Lombardo. Pure lui, se il Movimento fosse quello bellicoso e purista delle origini, dovrebbe rispondere del suo doppio ruolo, dacché è anche consigliere comunale a Lodi, dove nel 2017 ha tentato l’avventura da sindaco. Non ha raggiunto neppure il 10 per cento, però, e ora si ritrova nell’imbarazzante condizione di dover fare opposizione dura alla sindaca Sara Casanova, esponente di quella Lega che a Roma governa col M5s. Quando è arrivato a Porta Pia, c’è stato chi, tra i funzionari più esperti, ha trattenuto a stento un sorriso, quando ha visto il suo curriculum, l’ansia da horro vacui con cui, forse sull’esempio dei più illustri neo governanti grilloleghisto, è stato compilato. E siccome non tutti possono vantare il “perfezionamento” degli studi da giurista alla New York University, Casiraghi s’è comunque prodigato nell’indicare, a corroboramento del suo pedigree da consulente ministeriale, il suo incarico da “capo barista di un team di lavoro composto da almeno tre persone per turno” al Caffè Nero di Londra. Nel dubbio, meglio abbondare: magari un giorno si finisce perfino ministri.