Cosa c'è dietro alla crescita di pagine Facebook non ufficiali e pro governo?
C'è stato un incremento del cento per cento nel numero di pagine “non ufficiali” dall’ottobre 2017 a oggi. Raddoppiate le interazioni: da 19 milioni a 32,7 milioni in dieci mesi
Roma. Nella guerra del web compare una nuova arma non convenzionale: la pagina unofficial su Facebook, entità senza nome e cognome utile a diffondere messaggi virali, nove volte su dieci a favore del governo. Per Alessio De Giorgi, social media strategist di area reanziana, oggi consulente del Pd, i conti non tornano. E’ sua la ricerca che, indagando su profili e flussi social, ha rilevato un incremento del cento per cento nel numero di pagine “non ufficiali” dall’ottobre 2017 a oggi. “La nostra analisi si concentra su Facebook, la vera piazza della gente comune – dice al Foglio De Giorgi – Le pagine ‘terra di nessuno’ trainano quasi sempre le voci a favore delle forze di governo. Nel periodo considerato, le pagine con il maggior tasso di crescita sono quelle legate alla Lega: da 5 a 19 milioni d’interazioni. L’area pentastellata, dopo un’impennata tra febbraio e maggio, è tornata ai valori di un anno fa, intorno ai 18 milioni. L’area del centrosinistra è rimasta sostanzialmente inalterata, intorno ai 5 milioni”.
Nel complesso, il variegato mondo unofficial è quasi raddoppiato: da 19 milioni di interazioni a 32,7 milioni in dieci mesi. “Si fa un gran parlare di fake news e attacchi russi via Twitter, un social elitario. La gente sta su Facebook, 31 milioni di utenti in Italia vi dedicano, in media, poco meno di due ore al giorno. Facebook si presta a un livello di manipolazione maggiore: mentre i retweet sono visibili e consentono di ricostruire reti di profili che si alimentano reciprocamente, Facebook utilizza un algoritmo ben più serrato, non svela i trending topic e, se hai soltanto intellettuali e giornalisti tra gli amici, nella tua bolla non comparirà mai la pagina del tale di Taurianova”. Ecco, veniamo a lui.
Sul Corriere della sera Francesco Gangemi, ex muratore 52enne, racconta di guadagnare 600 euro al mese grazie alle sponsorizzazioni fornite da AdSense, il servizio pubblicitario di Google. “La versione del signore calabrese mi convince poco. Io vengo dal settore della pubblicità, so come funziona: per raggiungere simili guadagni servono traffici più elevati di quelli registrati sui canali riconducibili a Gangemi che per giunta appaiono scadenti sul piano qualitativo, poco targetizzati e, di conseguenza, scarsamente attrattivi nelle aste pubblicitarie. Le pagine unofficial pro-governo hanno sempre un taglio artigianale, sembrano confezionate da persone comuni, senza una regia politica. Tuttavia molte di esse non rimandano a un sitoweb, quindi non raccolgono pubblicità. Viene allora da chiedersi quale sia la fonte delle loro entrate: c’è qualcuno che finanzia questi signori? Esiste un burattinaio che agisce dietro l’apparente apoliticità?”. I contenuti, del resto, sono politici al cento per cento. Basta dare uno sguardo a Roby, la pagina Facebook che, tra un’immagine di Padre Pio e un messaggio della Madonna, inserisce una card contro Matteo Renzi o un altro esponente Pd. “Gli attacchi – prosegue De Giorgi – sconfinano spesso nell’aggressione politica, nella diffamazione, nell’istigazione all’odio: Renzi che toglie il pane ai bambini africani, Delrio assassino sul ponte di Genova… Noi denunciamo puntualmente a Facebook la cui risposta è tardiva e non sempre efficace. Ci rifiutiamo però di ricorrere a questi metodi da Far West: la legge della giungla è estranea alla nostra cultura”. Non è mistero che Lega e M5s puntino molto sulla propaganda digitale. Luca Morisi, il genietto web artefice del successo social del “Capitano” Salvini, resta muto con la stampa. “La squadra leghista al Viminale conta circa dieci persone mentre aleggia ancora il mistero sul team del premier Conte a Palazzo Chigi. Se gli italiani percepiscono una presenza di migranti quattro volte superiore a quella effettiva, ciò è dovuto principalmente ai messaggi da cui sono quotidianamente inondati”. Non mi dirà che la sconfitta del Pd si spiega con i social. “Non lo penso: una tale giustificazione sarebbe autoconsolatoria. Dico però che esiste un problema per la qualità della nostra democrazia. Negli anni ’80 e ’90 le tv si contendevano a suon di battaglie legali i primi nove tasti del telecomando: oggi un pezzo d’Italia tiene in mano un telecomando diverso, ma la posta in gioco è identica. Le pagine unofficial parlano ogni giorno a milioni di persone con contenuti in cui non c’è ragionamento politico, non c’è inchiesta giornalistica, non c’è un giornalista che si assume la responsabilità. I messaggi sono apodittici, fuori da ogni regola e senza alcuna trasparenza sull’identità dell’editore e sulle modalità di finanziamento. Con una complicità di fatto da parte di Facebook. Può la democrazia sopravvivere a tutto questo?”.