SoundCheck
Il welfare per gli immigrati, sì e no
Il problema del reddito di cittadinanza: il ministro Tria non esclude a priori i residenti non italiani tra gli eventuali beneficiari. La Lega giudica inaccettabile questa possibilità. Una narrazione che non regge
La narrazione degli immigrati stranieri come spesa ingiustificata per il sistema di welfare italiano ha colpito ancora. Questa volta a subirne le conseguenze è il ministro Tria, ultimamente sempre più capro espiatorio nel governo. L’ennesima occasione è stata una interrogazione parlamentare in cui gli è stato chiesto se la misura del reddito di cittadinanza (in realtà un reddito minimo, a dispetto del nome) prevista dal contratto di governo sarà destinata anche a stranieri oppure a soli cittadini italiani. Una domanda forse in linea con il sentire di oggi, o forse strategica a sollevare una nuova polemica.
Tria, conoscendo la giurisprudenza sul tema, ha risposto che non è possibile escludere a priori i residenti che non abbiano la cittadinanza italiana. Apriti cielo: l’intera maggioranza è insorta contro una possibilità giudicata inaccettabile in particolare dalla Lega, seguita a ruota dal Movimento 5 stelle. Una polemica creata ad arte – tanto che già nel contratto di governo era prevista l’esclusione dei non-italiani – ma che riflette una forte confusione nel governo su come si possa calibrare una misura anti-povertà, un pizzico di ipocrisia e una narrazione anti-immigrati che ancora una volta mostra tutte le proprie debolezze quando è confrontata con il fact-checking.
Matteo Salvini si è detto “sicuro che gli amici Cinque stelle stiano studiando una formula del reddito di cittadinanza intelligente che lo limiti ai cittadini italiani”. E Di Maio lo ha rassicurato, arrivando a rinnegare una proposta dello stesso Movimento 5 stelle, che aveva presentato un disegno di legge nella scorsa legislatura
Matteo Salvini si è detto “sicuro che gli amici Cinque stelle stiano studiando una formula del reddito di cittadinanza intelligente che lo limiti ai cittadini italiani”. E Di Maio subito lo ha rassicurato, arrivando a rinnegare una proposta dello stesso Movimento 5 stelle. Nella scorsa legislatura infatti il movimento aveva presentato un disegno di legge (n. 1148 del 2013) per introdurre il sussidio anti-povertà. L’articolato prevedeva che i beneficiari potessero essere persone in possesso della cittadinanza italiana o di un paese europeo, oppure (e questo è il passaggio incriminato) provenienti da paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale. Queste convenzioni, secondo l’Inps, sono stipulate per assicurare al lavoratore che si reca in uno stato estero extra-europeo per svolgere gli stessi benefici previsti dalla legislazione del paese estero nei confronti dei propri cittadini. L’Italia ne ha in vigore 22, in particolare con paesi del Sud e Nord America, piccoli stati (San Marino, Principato di Monaco, Vaticano), Israele, Turchia e alcuni stati balcanici. Mentre tra i paesi da cui negli ultimi anni provengono i flussi migratori compare solo la Tunisia: un motivo in più per non ritenere credibile il rischio di un’eccessiva assistenza dedicata agli stranieri.
Ma restringere i beneficiari di una misura anti-povertà come il reddito di cittadinanza ai soli italiani non sembra possibile: il reddito di cittadinanza a 5 stelle, oltre ai numerosi problemi spesso sollevati sul Foglio,rischierebbe anche di essere bocciato per incostituzionalità. La Corte costituzionale ha più volte ribadito l’incostituzionalità dell’esclusione da sgravi, benefici e trasferimenti dei cittadini di paesi stranieri. La Lega, e non solo, ha infatti tentato più volte negli anni la via della discriminazione per nazionalità. Permessi sulla circolazione gratuita sul trasporto pubblico, assegnazione degli alloggi popolari, indennità di accompagnamento, pensione di inabilità, assegni al nucleo familiare, bonus bebè. Tutti casi di benefici di welfare regionale accessibili secondo alcuni criteri legati alla provenienza dei residenti e tutti di conseguenza dichiarati incostituzionali dalla Corte, che si è opposta a quelli che definisce “elementi di distinzione del tutto arbitrari”.
Le sentenze si basano sull’articolo 3 della Costituzione, che tutela la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge dei cittadini, a cui sono stati equiparati i residenti stranieri fino dal 1967. Una tutela che è stata prevista anche nella letteratura economica, in particolare nelle diverse proposte di reddito minimo. Lo stesso basic income, il reddito incondizionato rivolto a tutti, ricchi e poveri, non viene più chiamato “reddito di cittadinanza” bensì “reddito di base” proprio per evitare l’esclusione di quella fetta di popolazione che è residente ma non ha ancora ricevuto la cittadinanza. Anche la legislazione europea prevede la tutela dei residenti stranieri, in particolare nel Trattato di funzionamento dell’Unione Europea e nella direttiva 38 del 2004. Non a caso buona parte dei paesi europei non pone vincoli di nazionalità per l’accesso al reddito minimo, come indica Lavoce.info. Ecco perché la restrizione del welfare ai soli cittadini italiani non è possibile, e la narrazione leghista si scolla ancora una volta dalla realtà.
L’unico spiraglio è una regolamentazione a seconda della durata della permanenza sul territorio italiano. Resta ferma infatti la possibilità di individuare altri indici di radicamento territoriale e sociale nei limiti imposti dai principi di ragionevolezza e non discriminazione. Ad esempio il reddito di inclusione, varato dal precedente governo come strumento contro la povertà (che il reddito di cittadinanza andrebbe a sostituire), prevede per gli stranieri il requisito del permesso di soggiorno oppure la residenza da almeno due anni per chi ha ricevuto l’asilo politico o la protezione sussidiaria.
Gli immigrati sono una fonte di sostenimento finanziario per il bilancio pubblico italiano secondo i dati dell’Inps e del fisco. Limitare la nuova misura ai soli italiani significherebbe togliere ogni sostentamento alle famiglie straniere coperte oggi dal reddito di inclusione, che sarà progressivamente sostituito
Appare bizzarra anche la motivazione che ha fornito il leader del Movimento 5 stelle per il dietrofront: “è impossibile” – ha detto – ”con i flussi immigratori irregolari, non restringere la platea e assegnare il reddito di cittadinanza ai cittadini italiani”. La ragione? Evitare che con l’arrivo di una nuova ondata di migranti dalla Libia la spesa assistenziale decolli e sia incontrollabile. Oltre al fatto che tale requisito sarebbe incostituzionale, il ministro del Lavoro sembra ignorare la materia su cui il suo ministero è competente. I migranti che sbarcano sulle coste italiane infatti possono richiedere lo status di rifugiato (con annessa verifica della domanda, della durata di alcuni mesi se non anni) e quindi nel caso in cui venga riconosciuta dovrebbero attendere gli anni di residenza richiesti dalla legislazione (per il Rei due). Oppure scompaiono rientrando nell’insieme degli irregolari, che per il welfare italiano semplicemente non esistono e dunque non possono ricevere il beneficio economico previsto dal reddito di cittadinanza. Il problema degli stranieri per l’accesso al sussidio è un falso problema: anche mantenendo i requisiti del reddito di inclusione i nuovi arrivati potrebbero ricevere il sostegno solo dopo diversi anni dal loro arrivo in Italia.
L’esclusione degli stranieri immigrati dai regimi di welfare è comune in Europa per limitare la possibile immigrazione mirata a sfruttare i benefici offerti da uno stato. Le due forze di governo potrebbero ritenere necessario limitare l’accesso a un sussidio così generoso per non incentivare gli arrivi dall’Africa? Possibile, ma è probabile che l’effetto deterrente sia molto scarso: il reddito medio italiano è decisamente più elevato di quello percepito in Africa, fino a 4 volte in Sudan, 7 volte in Senegal e fino a 12 in Etiopia. L’effetto d’attrazione appare già abbastanza forte senza contare quello del welfare, che comunque verrebbe ricevuto solo a diversi anni dall’arrivo.
La narrazione proprio non regge. Come già osservato nella prima puntata di SoundCheck, gli immigrati stranieri sono in realtà una fonte di sostenimento finanziario per il bilancio pubblico italiano secondo i dati dell’Inps e del fisco. D’altronde limitare il nuovo reddito di cittadinanza ai soli italiani significherebbe togliere ogni sostentamento alle famiglie straniere coperte oggi dal reddito di inclusione, che sarà progressivamente sostituito. Una decisione fortemente iniqua, quando secondo l’Istat la probabilità per una famiglia composta da immigrati di essere povera rispetto a una italiana è sei volte più alta. E ancor più iniqua ad ascoltare le parole del vicepremier Di Maio, che prospetta dalla Cina l’ipotesi che i beneficiari stranieri coperti oggi dal Rei vengano scavalcati da cittadini italiani più abbienti, per il solo criterio della nazionalità.
La decisione stride ancor di più se rileggiamo le parole di Matteo Salvini quando un anno fa definiva “fratelli” gli immigrati regolari che pagano le tasse. Una differenza non da poco, per schermirsi dalle accuse di razzismo e concentrare le proprie attenzioni solo sugli irregolari. Una narrazione che però si svela ora: anche gli stranieri regolari saranno esclusi dalla garanzia contro la povertà. Fratelli sì, ma degni di un sostentamento minimo garantito a tutti gli italiani a pari condizioni no.