Nel paese dei balocchi
L’Italia del cambiamento: non lavori ma hai lo stipendio, non versi i contributi ma hai la pensione, e non paghi neppure le tasse. Appunti semiseri per un film ispirato alla cuccagna di Pinocchio e all’Omino di burro
Scorrere le pagine di un quotidiano, saltellare sulle interviste dei ministri che annunciano l’imminente manovra economica e le grandi riforme del cambiamento, crediamo possa ispirare i nostri migliori sceneggiatori e produttori cinematografici, invitandoli a un parallelo con un libro che andrebbe preso drammaticamente sul serio, fatto leggere obbligatoriamente nelle scuole, consegnato a ciascuno non appena venga eletto in Parlamento, recuperato in chiave moderna. Le avventure di Pinocchio sono infatti un romanzo di suggestivo richiamo e straordinario estro umoristico, ma soprattutto sono un’opera di eccellente pedagogia e attualissima satira politica, quasi l’autobiografia della nazione. Nelle sue peripezie, il burattino dovrà infatti capire quale sia il bene vero, quello che non sempre coincide con i suoi bisogni individuali e con i suoi desideri; e dovrà conquistare un senso di responsabilità, fare il sacrificio del lavoro e andare a scuola. Viene in mente qualcosa, o qualcuno?
[Lucignolo rispose che andava ad abitare nel più bel paese del mondo che si chiama il Paese dei balocchi, aggiungendo che è “...una vera cuccagna!”
– Perché non vieni anche tu?
– Io? no davvero!
– Hai torto, Pinocchio! Credilo a me che, se non vieni, te ne pentirai. Dove vuoi trovare un paese più sano per noialtri ragazzi? Lì non vi sono scuole: lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica. Figurati che le vacanze dell’autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono coll’ultimo di dicembre. Ecco un paese, come piace veramente a me! Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili!…
– Ma come si passano le giornate nel “Paese dei balocchi”?
– Si passano baloccandosi e divertendosi dalla mattina alla sera. La sera poi si va a letto, e la mattina dopo si ricomincia daccapo. Che te ne pare?]
Come si passano le giornate? Baloccandosi e divertendosi dalla mattina alla sera. Poi si va a letto, e la mattina dopo si ricomincia daccapo
Al diavolo il lavoro, dicono le febbrili moltitudini. All’inferno l’Ocse, l’Ue e la Bce. Andremo in rovina, ma ne valeva la pena!
Raffaele La Capria dice che dentro ogni italiano c’è “un Pinocchietto irresponsabile che non sa maturare e non sa giudicarsi, e che dà sempre la colpa agli altri delle sue malefatte”. E come ben sapevano Piero Gobetti e Benedetto Croce, il legno in cui è intagliato Pinocchio è l’umanità italiana, la nazione ingenua che cresce, l’Italia umbertina che si forma. Ma rileggendolo oggi, Pinocchio, insofferente alle regole, alle procedure e ai doveri anche più banali, lascia pensare che questa evoluzione ingenua sia eterna. D’altra parte, diceva nel 1921 Pietro Pancrazi: “Non ridete; ma dietro Pinocchio io rivedo la piccola Italia onesta di Re Umberto” (onesta, ecco una parola che ritorna a noi da un fondo remoto). E l’Italia è forse ancora quel paese in cui la politica vivacchia di piccole furbizie senza tormento, nella concessione ai desideri più immediati e pigri di un popolo in difficoltà cui non si indica mai un orizzonte e una prospettiva di crescita faticosi eppure remunerativi, ma piuttosto la strada più comoda, lasca, e in definitiva miserabile. Quel paese in cui i borghesoni sono ricchi, ma deboli, perché intimamente incapaci di ricchezza; potenti tremano per una tassa, sussultano per un decreto, palpitano per un articolo di giornale, temono le riforme. Indifferenti e chiassosi, come parte del popolo.
E infatti Collodi, che non perdeva occasione per criticare le situazioni e le forze che frenavano il cammino del paese verso lo sviluppo, inserì in Pinocchio riferimenti a tematiche politiche e critiche sociali: sognava un paese maturo, dove una classe dirigente capace potesse coincidere con la costruzione di una civiltà italiana consapevole, emendata dall’ignoranza, dalla creduloneria facilona, dall’arbitrio dei furbi.
Ora, immaginate, come nella canzone di John Lennon. Immaginate il mondo per come viene disegnato oggi dal governo del cambiamento: non paghi le tasse ma non succede nulla, non lavori ma ti danno lo stipendio, non paghi i contributi ma ti danno la pensione, basta uscire dall’euro e stampare moneta ché gli zecchini d’oro crescono sugli alberi, non si va nemmeno in ospedale perché dici alla Fata Turchina che i vaccini sono amari…
Diciamoci la verità: una cuccagna così forse non se la immaginava neanche il genio satirico di Collodi, e forse non se la immaginano nemmeno i musulmani nel loro paradiso inzeppato di vergini, con i fiumi di latte e miele.
Ci fu un tempo in cui episodi simili, nella politica, ispiravano ai nostri registi film in tutto degni della grande tradizione goldoniana, rossiniana e collodiana, appunto. Sarebbe magnifico allora che fosse Paolo Sorrentino a raccontare questa comica, o drammatica, appendice a Pinocchio e al suo Paese dei balocchi; e vorremmo che la girasse con quei colori accesi, quelle deformità fumettistiche che ha scelto per la trasposizione cinematografica della vita di Giulio Andreotti o nella descrizione grottesca della vita romana della “Grande Bellezza”.
Nel film, in principio in bianco e nero, si vedrebbe anzitutto Alessandro Di Battista che in un suo collegamento televisivo dal Guatemala, dove ebbe modo di andare per supportare popolazioni autoctone millenarie, si rivolge a Lilli Gruber, a quel tempo famosa anchor woman, e dice: “Aboliremo la schiavitù del lavoro”. L’immagine sfuma.
“Trent’anni dopo”, direbbe la didascalia.
Tornano i colori.
Ed ecco una città dell’Eden in terra italiana, Citrullia-Toninella, con la sua piazza, gli alberi un po’ scricchiolanti, le aiuole verdi ma un po’ selvatiche, e una stampante 3d che però si è inceppata (serviva bibite gassate). Sulle panchine cui mancano le assi di legno, numerose persone sono sedute in bilico a non fare niente. Qualcuno porta a passeggio un cane. Le lotte anticasta di Lucignolo Di Battista, l’abbattimento del drago europeo di Geppetto Conte, l’abolizione del lavoro e lo stipendio di cittadinanza dell’Omino di burro Di Maio, con la trovata della pensione per tutti, hanno condotto l’Italia, un tempo afflitta da concetti patologici noti come “crescita” e “sviluppo economico”, verso nuovi e un tempo inimmaginabili traguardi sociali. Giardinetti di semi nativi, boschetti spontanei, impianti siderurgici trasformati in parchi acquatici per bambini (purtroppo spesso chiusi per assenza di manutenzione), casette pericolanti ma con pannelli solari. In questa società ideale, il baratto introdotto dal Grillo-Mangiafuoco ha reso gli scambi più semplici e onesti. Le neo lire volute dalla Volpe Savona e dal Gatto Bagnai, un tempo spacciate al chilo nei chioschi, hanno ormai da tempo sostituito i combustibili fossili nei caminetti. Con grande giovamento dell’ambiente. Ed ecco gli italiani, finalmente liberi da sfruttamenti, fatiche, superstizioni monetarie, mercimoni. Sono dediti alla cottura di fragranti pagnotte eco sostenibili, tutti vestiti di comode tunichette di canapa tessute a mano e disegnate dalla Fata Taverna. Su un vialetto, un genitore, accompagnando il figlio che ovviamente non è andato a scuola perché non ci sono più gli insegnanti – non sono necessari, l’ultimo è andato in pensione a 52 anni – indica con fare ammonitorio due tizi che circospetti stanno armeggiando intorno a una buca stradale. “Che vergogna, guarda. Quelli lavorano!”.
[Qua bisogna immaginarsi una voce fuori campo che legge Pinocchio: “Erano giunti più che a mezza strada quando la Volpe, fermandosi di punto in bianco, disse al burattino:
– Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?
– Cioè?
– Vuoi tu, di cinque miserabili zecchini, farne cento, mille, duemila?
– Magari! e la maniera?
– La maniera è facilissima. Invece di tornartene a casa tua, dovresti venir con noi.
– E dove mi volete condurre?
– Nel paese dei Barbagianni!]
E perché mai, si chiederanno i nostri piccoli lettori, perché mai non si può dare una pensione di 780 euro al mese a tutti anche se non hanno pagato i contributi?
“Non si possono dare 780 euro a chi non ha dato i contributi perché il sistema pensionistico è finanziato da quei contributi”, risponde quel guastafeste di Francesco Daveri, ordinario di Economia alla Bocconi. “E se quei contributi non ci sono salta tutto”, aggiunge. “Sempre che non si voglia ricorrere alla tassazione generale per finanziare il sistema pensionistico”, precisa con l’aria di chi non sa che i prof. sono stati aboliti per legge. “Ma allora bisognerebbe spiegare che bisogna trovare le risorse da qualche parte. E infatti Luigi Di Maio ha usato la magnifica espressione ‘attingere’ dal deficit. Solo che tu puoi ‘attingere’ da un fondo, ma non puoi ‘attingere’ da un deficit, che è lo sforare sulle risorse disponibili. Certo è che se uno non finanzia le voci di spesa trovando qualche forma di entrata, allora sì che deve ‘attingere’ al deficit. Ma fare più deficit vuol dire che quella parte di spesa non è coperta da entrate, e dunque a quel punto lo stato deve andare sul mercato ed emettere delle cambiali, cioè dei titoli pubblici. E per convincere qualcuno a comprare queste cambiali deve offrire un tasso di rendimento che sia sufficientemente elevato da indurre gli investitori a preferirli ai titoli tedeschi o di altri paesi. Nello stesso tempo, però, deve anche stare attento a non emetterne troppe di queste cambiali, per non correre il rischio di diventare insolvente”. Che noia.
Ma scusi, eh. Scusi: e che c’è di male a dare uno stipendio a tutti, anche se non lavorano? “E’ bellissimo”, risponde Mario Seminerio, un altro di quei commentatori economici che si ostinano con l’aritmetica. “In pratica non conviene più lavorare. La gente lavorerà a nero prendendosi anche il reddito di cittadinanza. E tutto senza la seccatura delle tasse”. Di Maio però dice che a chi imbroglia gli daranno sei anni di carcere. “Figurati. E chi controlla? Vogliono pure smantellare Equitalia”.
Va bene, sapientoni. Ma perché non si può andare in pensione tutti a sessantadue anni, o anche prima? “L’Ocse ha espresso il timore che salti il rapporto tra età pensionabile ed età anagrafica”, risponde Daveri. “Se salta l’equilibrio, salta l’equazione di cui parlavamo prima: pochi lavoratori e troppi pensionati. In pratica salta l’equilibrio tra contributi versati e pensioni da restituire. Abbassando l’età pensionistica diminuiscono quelli che contribuiscono ad alimentare il sistema e aumentano quelli che devono ricevere”.
Perché dobbiamo pagare le tasse? Perché non possiamo dare a tutti 780 euro di stipendio mensile e una pensione senza contributi?
Collodi sognava una civiltà emendata dall’ignoranza e dalla creduloneria. E con Pinocchio scrisse l’autobiografia d’Italia
Va bene, va bene. Ma se tagliamo le pensioni d’oro poi si possono finanziare gli stipendi per tutti. Lo ha detto anche Di Maio! “Se è per questo diceva pure che con il taglio delle auto blu praticamente si ripagava il debito pubblico”, risponde Seminerio. “C’è un problema di grandezze numeriche incomparabili. Dicono di risparmiare 15 milioni di euro sui vitalizi, o 13 sul cosiddetto aereo di Renzi, cioè un totale di circa 25 milioni. Poi però tirano fuori una lista della spesa da 100 miliardi. E sostengono di averla coperta. E’ un po’ quello che sta facendo il primo ministro pachistano. Il paese sta nelle pesti, e lui ha messo all’asta tutte le auto blu”.
E il condono? Ma che sarà mai, si chiederanno i nostri piccoli lettori, se non si pagano le tasse fino a un milione di euro? “Il cittadino che, arrovellandosi per mesi su disposizioni burocratiche degne di un racconto di Kafka, è riuscito infine a rispettare date e scadenze e a pagare il suo ‘obolo’, si sente come al solito preso per quella parte del corpo che non viene mai menzionata sulle pagine dei quotidiani seri”.
[Voce fuori campo che legge Pinocchio: “Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. Chi giocava alle noci, chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede, chi sopra un cavallino di legno: questi facevano a mosca-cieca, quegli altri si rincorrevano: altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria: chi mandava il cerchio, chi passeggiava vestito da generale coll’elmo di foglio e lo squadrone di cartapesta: chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi batteva le mani, chi fischiava, chi rifaceva il verso alla gallina quando ha fatto l’ovo”]
Un intero popolo, noto nei secoli per una certa innata fantasia e insofferenza nei confronti degli impicci, si abbandona infine totalmente alla sua passione. Le scuole si chiudono, gli uffici si svuotano, la circolazione si arresta, le fabbriche vengono invase da ortiche e piccioni, mentre le casse comunali, regionali e statali danno fondo alle riserve per organizzare le ultime spaghettate pubbliche, le braciole e le polente finali. Al diavolo il lavoro, dicono le febbrili moltitudini. All’inferno la Banca d’Italia, l’Ocse, l’Unione Europea, la Bce e il Fondo monetario internazionale. Andremo in rovina, ci ridurremo a pezzenti, saremo cancellati dalla squallida lista dei paesi cosiddetti progrediti, ma ne valeva la pena. Avremo dato al gretto mondo moderno e materialista una lezione memorabile!
La nostra classe politica non ha niente di marziano, niente di diverso da noi. Essa ci rassomiglia, ci esprime, ci rappresenta perfettamente, inesorabilmente. Rappresenta il sentimento che così siamo, che quello è il nostro vero volto, quello di Pinocchio. E insomma il finale del film già lo conosciamo, e qui ne diamo solo un abbozzo (poi ci penserà Sorrentino). Nel paese di Citrullia-Toninella prende piede a poco a poco una sorta di allucinazione collettiva, imparentata con i misteriosi meccanismi un tempo attivati dalla magia, dalla religione, nonché dall’Omino di burro che conduce il burattino nel Paese dei balocchi: “Alla fine, non trovando altro nella greppia, si rassegnò a masticare un po’ di fieno, e dopo averlo masticato ben bene, disse: ‘Questo fieno non è cattivo’”. Naturalmente, quando il suo palato cominciò a funzionare così, Pinocchio si era già trasformato in un ciuchino.