Il decreto Salvini non entusiasma i comuni di centrodestra. Le voci dei sindaci
Genova, Alessandria, Vicenza, Savona. Il provvedimento non piace, soprattutto per il depotenziamento degli Sprar
Roma. Se la speranza era quella di suscitare l’entusiasmo dei suoi sindaci, allora va detto che l’obiettivo di Matteo Salvini non è pienamente centrato. Per carità, che sia sbagliato nessuno osa pensarlo, o quantomeno dirlo; e però i primi cittadini del centrodestra, perfino quelli leghisti, perfino quelli del profondo nord, per ora restano perplessi sui reali effetti che produrrà, nei prossimi mesi, il cosiddetto decreto sicurezza. Specie su un punto: il depotenziamento degli Sprar, i centri di protezione per richiedenti asilo e rifugiati gestiti dagli enti locali. “Quel sistema è in effetti l’unica strada percorribile – dice Ilaria Caprioglio, sindaco del centrodestra di Savona – da un’amministrazione comunale per gestire e non subire il tema immigrati”. Il ministro dell’Interno ha deciso però di ridimensionare il circuito degli Sprar, limitandolo ai soli immigrati che già hanno ricevuto la protezione umanitaria, oltreché ai minori non accompagnati: “Una modifica – spiega la Caprioglio, che dalla Lega è sostenuta in Consiglio comunale – che può essere apprezzabile. Ne consegue, però, che per attuare le modifiche di accesso agli Sprar dovranno essere dilatati i tempi di accoglienza nei Cas. E questo può comportare qualche rischio”. Strutture più grandi, individuate in via straordinaria dalle prefetture, gestite perlopiù da privati, “i Cas – prosegue la Caprioglio – non hanno mai coinvolto direttamente le amministrazioni comunali: perciò questo sistema è sempre apparso ai sindaci come una scelta calata dall’alto, non gestita”. E insomma è anche per questo se pure il sindaco leghista di Treviso, Mario Conte, pur parlando del decreto come di “un ottimo segnale”, di “un passo avanti innegabile”, spera tuttavia che “verrà migliorato in Parlamento”.
Auspicio subito raccolto dai vertici nazionali della Lega, che in Transatlantico liquidano con un certo sbrigativo, padano pragmatismo, le lamentele: “I sindaci, anche i nostri, si lamentano per un motivo essenziale: dagli Sprar loro prendevano dei contributi, e dunque ora avranno meno risorse”. E dunque? Un sottosegretario leghista garantisce: “Sapremo rimediare a questo problema, durante l’approvazione del decreto in Aula. Proveremo pure a sbloccare gli avanzi non spendibili, così da dare poi anche maggiore autonomia agli enti locali nell’affrontare il fenomeno dell’accoglienza”.
Però Francesca Fassio, assessore alle Politiche sociali a Genova, precisa che “non è nemmeno una questione di risorse”. Quelle, dice lei, “ci sono”. E allora? “Allora bisogna controllare sull’operato delle cooperative che gestiscono i centri di accoglienza. Qui a Genova abbiamo appena 215 persone negli Sprar, e vorremmo ampliare questa platea per sottrarla ad altri circuiti meno virtuosi: è inaccettabile pensare di non riuscire ad accogliere in maniera civile un numero così esiguo di persone”. Eppure il decreto Salvini riduce le risorse destinate all’integrazione. “Dalla propaganda – dice la Fassio – bisogna passare alla concretezza, alla gestione dell’ordinario: e allora dobbiamo dirci che fare impartire un paio d’ore di italiano a settimana, a persone che della nostra lingua non conoscono una parola, non serve a nulla. Bisogna pretendere che i mediatori culturali e gli operatori vari lavorino seriamente: serve più personale, più giovane e più motivato. E per farlo, basta utilizzare meglio le risorse, ma bisogna dare maggiore fiducia agli enti locali”.
E se il problema è sentito negli Sprar, dove la partecipazione dei privati è parziale, lo è ancora di più per i Cas, gestiti nella stragrande maggioranza da privati o da cooperative. “Ed è per questo – sentenzia Francesco Rucco, sindaco di Vicenza sostenuto dal centrodestra – che serve un controllo vero sull’attività dei privati. Un controllo che difficilmente i comuni, gravati spesso da situazioni di bilancio complicate, possono svolgere. Di tutto abbiamo bisogno tranne che di mercanti d’uomini”.
Concorda, sostanzialmente, anche Gianfranco Cuttica di Revigliasco, leghista, primo cittadino di Alessandria. Mette le mani avanti: “Non ho ancora studiato il decreto”, dice. Ma aggiunge: “Nell’anno di amministrazione abbiamo convenuto di bloccare nuovi arrivi ma abbiamo mantenuto e rinnovato lo Sprar”. Funziona? “Abbastanza. Quello che non funziona è la miriade di cooperative che ospitano i migranti e non sempre lo fa nel rispetto dei patti”. Pareva condividere questa analisi, in fondo, perfino Salvini. I centri Sprar “si pongono come ponte necessario all’inclusione e come punto di riferimento per le reti territoriali di sostegno, avviandosi, in tal modo, processi più solidi e più facili di integrazione”, scrivevano i tecnici del Viminale a metà agosto scorso, nella loro relazione al Parlamento. E dire che metà agosto sembra ieri.