Perché la legge di bilancio è una trappola per Di Maio l'estremista
Le minacce ai tecnici sul Def, il ricatto all’Ue sui migranti, l’impeachment di Mattarella. Moderato a chi? Crisi di nervi col placido Tria
Roma. L’avvertimento era partito il giorno precedente: “Senza reddito di cittadinanza, ‘quota 100’ sulle pensioni e risarcimento delle vittime bancarie il M5s non voterà la nota di aggiornamento al Def”. Fa sempre così Luigi Di Maio, quando si trova in difficoltà parte con minacce sproporzionate. In qualsiasi altra epoca della storia repubblicana, se il vicepremier e leader del principale partito di governo avesse detto una cosa del genere, tutti sarebbero entrati nel panico, si sarebbe aperta una crisi di governo, i mercati sarebbero stati attraversati da un intenso tramestio… e invece niente. Sono molto più forti le poche ed evocative parole del cauto Tria: “Ho giurato nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri”. Allo stesso modo i mercati e le istituzioni europee prestano molta più attenzione alle possibili dimissioni del ministro dell’Economia, più volte paventate in questi mesi, e anche ieri evocate nel tira e molla sull’aumento del deficit oltre il 2 per cento.
Le minacce di Di Maio invece nessuno sembra temerle, perché forse nessuno le ritiene credibili. Era già accaduto con la richiesta di impeachment del presidente Mattarella, dopo il veto su Savona all’Economia. E con la minaccia di non versare più “20 miliardi” di contributi se l’Ue non si fosse presa carico della redistribuzione dei migranti della Diciotti. E con l’accusa agli autori del Jobs Act di essere “assassini politici”. Da un lato per Di Maio l’estremismo verbale è un’infantile reazione d’impotenza, ma dall’altro è la vera fonte di legittimazione in un partito fondato sull’invettiva. Al di là della fragilità psicologica del suo capo politico, chi ancora ritiene il M5s l’elemento “moderato” della coalizione non dovrebbe dimenticare la sua natura estremista.