“La festa grillina davanti a Palazzo Chigi è degna del Venezuela di Maduro"
Luigi Marattin, capogruppo Pd in commissione Bilancio alla Camera: “Vedremo se il governo riuscirà a mettere insieme reddito di cittadinanza, flat tax e abolizione della Fornero. Per ora l'unico numero certo è il deficit al 2,4 per cento. E fa paura”
La “manovra del popolo” innalza il rapporto deficit/Pil al 2,4 per cento, e Luigi Marattin (foto a destra), con mestizia, sorseggia un succo d'ananas in un bar a pochi passi dalla Camera. “La scelta politica è chiara: inversione di tendenza rispetto a un cammino decennale di risanamento finanziario. Nel 2009 il rapporto deficit/Pil toccava il 5 percento, con i governi di centrosinistra è sceso a due punti percentuali nell'anno in corso. Adesso Di Maio e Salvini hanno deciso che gli italiani devono indebitarsi per distribuire sussidi qua e là”, dichiara il capogruppo Pd in commissione Bilancio alla Camera.
Con il disavanzo sopra il 2 per cento, il peso del debito sulla ricchezza nazionale è destinato a lievitare. “Questi irresponsabili programmano di sforare per i prossimi tre anni, con il risultato che nel 2021 il debito sfonderà il tetto del 140 per cento, un record finora esclusivamente greco. Tali previsioni sono frutto di calcoli matematici, numeri alla mano. Quando il 20 ottobre il governo trasmetterà la legge di Bilancio alla Camera vedremo se davvero riusciranno a mettere insieme reddito di cittadinanza, flat tax e abolizione della Fornero. Ad oggi, l'unico numero in nostro possesso è il 2,4 che fa paura”.
Ecco, la paura. L'aspettativa che nella nuova fase di instabilità finanziaria i soldi prestati al nostro paese non vengano restituiti rischia di infiammare i mercati: la prima reazione registra l'aumento dello spread e il calo della Borsa. Il prossimo anno ci sono 400 miliardi da rinnovare come quote del debito pubblico in scadenza. “La domanda da porsi è la seguente: quale investitore è disposto a fidarsi di un paese che annuncia di voler aumentare i propri debiti anziché ridurli? Ormai ci sembra tutto normale, tutto ammissibile, ma vi rendete conto della messinscena grillina davanti a Palazzo Chigi? Toni venezuelani, immagini da democratura sudamericana, la 'manovra del popolo' di cui vanno fieri aumenta il costo del denaro per famiglie e imprese, manda in sofferenza le banche che tengono in pancia i titoli del nostro debito pubblico”.
Il vicepremier Di Maio ha annunciato che grazie alla manovra la povertà verrà abolita. “Ormai siamo alle barzellette. Non sappiamo ancora quali somme verranno stanziate nel dettaglio, Di Maio parla di dieci miliardi per il reddito di cittadinanza, aspettiamo di vedere i numeri. Il reddito d'inclusione è una misura del governo Gentiloni, e anche i piani su tasse e pensioni restano assai vaghi. La verità è che indebitarsi oltremisura per dispensare sussidi ci condanna all'isolamento in Europa e mette a rischio la ricchezza dei cittadini. Qui non c'è traccia di misure volte ad aumentare gli investimenti e ad incentivare la crescita economica”.
Alla fine il ministro dell'Economia Giovanni Tria ha ceduto alle pressioni dei due azionisti del governo. “Non è stato uno spettacolo encomiabile. Dopo essersi posto come argine alle scemenze di grillini e leghisti, Tria si è arreso alla logica dell'instabilità finanziaria”. Colpisce l'assenza di politiche mirate ad agevolare l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, si parla piuttosto di anziani che andranno prima in pensione... “Sulla previdenza siamo alla fiera dell'incompetenza. Ci spiegano che per far lavorare i giovani bisogna pensionare i vecchi ma l'economia non funziona così, il numero dei posti di lavoro non è fisso. Se aumenta la platea dei pensionati, cresce contestualmente il carico contributivo che i lavoratori di oggi, dunque i giovani, devono sostenere per provvedere alle prestazioni previdenziali. Un'economia deve puntare ad aumentare le opportunità occupazionali, e noi in questi tre anni, grazie al Jobs act, abbiamo creato un milione di posti di lavoro”.
Lei è stato consigliere economico della presidenza del Consiglio, prima con Matteo Renzi, poi con Paolo Gentiloni. Sa bene che i parametri di Maastricht non sono più considerati un totem intoccabile, del resto risalgono a quasi trent'anni fa, il mondo è cambiato. “Siamo stati i primi a dire che certi vincoli vanno ridiscussi in un sistema economico profondamente mutato. Non c'è più l'Unione sovietica, per intenderci. All'epoca quei numeri furono fissati sulla base di un calcolo economico che considerava la media del debito dei paesi dell'area euro, attorno al 60 per cento, con una crescita nominale di cinque punti percentuali. Oggi la media del debito europeo si aggira attorno al 90 per cento, il quadro macroeconomico generale risulta mutato e quei parametri andrebbero aggiornati. Ciò non vuol dire, però, che ognuno possa fare di testa sua”. Con ogni probabilità, la Commissione europea avvierà una procedura d'infrazione nei confronti del nostro paese per deficit eccessivo. La campagna elettorale in vista delle europee, a maggio 2019, si preannuncia rovente: i sovranisti brandiranno lo scontro con l'Europa matrigna. E voi, gli antisovranisti, insomma i democratici europeisti, o come volete chiamarvi, come vi preparate alla prova delle urne? “Parliamone un'altra volta”, Marattin manda giù l'ultimo sorso di succo, quasi gli va di traverso. Gulp.