Matteo Salvini con Claudio Durigon a Latina (foto LaPresse)

Ecco gli uomini (e le donne) con cui Salvini vuole prendersi Roma

Valerio Valentini

Cresciuti nella destra sociale, folgorati dal “capitano”. Scenari dopo l’adunata della Lega a Latina

Che il luogo prescelto sarebbe stato quello, era in qualche modo inevitabile. E non tanto, e non solo, per quel carico di immaginario e di suggestioni che la vecchia Littoria inevitabilmente suscita a tanti di coloro che questo sabato (29 settembre ndr) vi accorreranno, seppure sotto altre insegne rispetto a quelle cui per anni, decenni, hanno espressamente giurato fedeltà. Se la “Pontida del Centro Sud”, come pure gli organizzatori – in barba alla dicitura ufficiale, inutilmente solenne, che la vorrebbe “Prima festa regionale della Lega Lazio – la definiscono, è stata convocata a Latina, è in verità per motivi più prosaici. “E’ che quella è la città di Claudio e Francesco”.

 

Una location obbligata. Non tanto per la nostalgia della vecchia Littoria, ma perché è la città di Durigon e Zicchieri 

Claudio, nella fattispecie, è Claudio Durigon. Pontino d’origine cispadana, gli avi arrivati nell’Agro proprio ai tempi delle gloriose bonifiche, è lui il punto di riferimento di questa Lega laziale. “Siamo sul tetto d’Italia”, esulta – imbeccata come si conviene – la stampa locale; “Mai nessuno è arrivato tanto in alto come lui”, gioiscono i suoi compaesani di Santa Fecitola, poche decine di case nell’immediata periferia nord di Latina. E’ arrivato a Via Veneto, Durigon: sottosegretario al ministero del Lavoro guidato da Luigi Di Maio. Quella, del resto, è sempre stata la sua occupazione. Sin da quando, giovane segretario dell’Ugl nella sua città, viene notato, appena trentenne, da Renata Polverini, che dal sindacato un tempo vicino al Movimento sociale italiano era da poco uscita per andare a guidare la regione Lazio.

 

E’ il 2010, e Durigon diventa collaboratore dell’assessore al Lavoro, Mirella Zezza. “Sveglio e operoso, fin da allora”, dice chi se lo ricorda alla Pisana. “Forse perfino più sveglio della sua diretta superiore”, aggiungono gli uomini della Polverini di allora, se è vero che, terminato quell’incarico, la Zezza non fa granché d’altro, e invece Durigon, anche sfruttando la rete di conoscenze che l’occuparsi di lavoro, specie in provincia, procura, di lì inizia la sua ascesa. Nel 2013 tenta la fortuna nella lista di Francesco Storace presidente, ma a conquistare un seggio in Consiglio regionale non ce la fa. Scala intanto, però, le gerarchie interne dell’Ugl, fino a diventare vice segretario generale. E mentre il capo del sindacato, Paolo Capone, prova a stringere un rapporto più organico con Fratelli d’Italia, cominciando a frequentare anche i palchi e i comizi di Giorgia Meloni, Durigon capisce meglio e prima di altri che il cavallo vincente è un altro. “Il nostro Capitano, Matteo Salvini: è a lui che dobbiamo questo successo”. Sarà presente anche il leader, a Latina. “Anche per questo – ci dice Durigon – c’è un clima di festa, tutti i militanti della Provincia e del Lazio sono in fermento, ci aspettiamo l’arrivo di migliaia di persone provenienti da tutto il Lazio”. Il passaggio con la Lega, per Durigon, avviene in maniera fulminea: si concretizza, di fatto, all’inizio dell’anno. Prima la nomina a responsabile nazionale del Lavoro, poi la candidatura, quindi l’elezione. Sempre nel suo feudo, quello tra Latina e Frosinone, da cui del resto Durigon ha reclutato anche la sua segretaria particolare, Isabella Ciolfi, dirigente dell’Ater distaccata da tempo al ministero dell’Economia (per dire di come non tutti i tecnocrati di Via XX Settembre siano per forza brutti sporchi e cattivi).

 

 

Claudio Durigon e Matteo Salvini durante un congresso dell'Ugl (foto Imagoeconomica)

 

C’è poi l’altro pontino: quello che, sgravato dalle rogne del Def, si è preso la briga di organizzare davvero il grande evento. E’ stato Francesco Zicchieri, nato ad Alatri ma cresciuto a Terracina, a lavorare alla scaletta, a sovrintendere a quell’umile, indaffarato trafficare che ha portato all’allestimento del palco e dei gazebo nel parco che oggi è intitolato a Falcone e Borsellino, ma che fino a luglio scorso era dedicato a Arnaldo Mussolini. Il cambio d’intestazione avvenne con la benedizione di Laura Boldrini, allora presidente della Camera, che nel luglio 2017 arrivò a Latina per ricordare “il valore di due magistrati morti per la lotta alla mafia” e venne accolta dalle braccia tese e dalle grida (“Littoria! Littoria!”) di chi denunciava “il tentativo di cancellare l’identità della città”.

 

Anche Zicchieri, classe ‘78, ha fatto gavetta nell’Ugl, sin dal 2006. Poi anche lui, sponsorizzato alla Polverini da Durigon, si è affacciato nei corridoi della Regione per finire quindi, sempre insieme “all’amico fraterno Claudio”, tra gli scranni di Montecitorio con la Lega salviniana il 4 marzo, subito promosso vice capogruppo. La carriera politica, però, Zicchieri l’ha cominciata in Azione giovani, il fronte giovanile della fu Alleanza nazionale: da lì in Fratelli d’Italia e poi Noi con Salvini, con cui è stato eletto al Consiglio comunale di Terracina nel 2016, dopo un ballottaggio tutto a destra con Forza Italia. A metà marzo del 2017, trova l’occasione buona per rompere con la maggioranza meloniana: lo fa perché il sindaco decide di aderire al progetto Sprar, il sistema di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo: l’unico, peraltro, minimamente decente, e infatti subito ridimensionato da Salvini nel suo recente cosiddetto decreto sicurezza.

 

 

Claudio Durigon (a sinistra) e Francesco Zicchieri (foto Imagoeconomica)   

 

“La Meloni?Troppo ideologica”. L’ira di FdI: “Traditori. Sono solo carrieristi”. A Roma la fuga verso Salvini è stata guidata da Iadicicco

Abiura in fondo già maturata da tempo, quella di Zicchieri e Durigon: i quali, da vecchi dirigenti dell’Ugl, ricordano ancora di quando venne fondato, all’inizio del nuovo millennio, il Sei: Sindacato emigrati e immigrati, per la difesa dei diritti dei nuovi arrivati. Da destra. “Tempi passati”, ricorda un ex leader dell’Ugl. Tempi di quando, cioè, “questo sindacato almeno manteneva non dico tanto, ma una parvenza d’indipendenza”. In verità già Mauro Nobilia, colui che volle la trasformazione della Cisnal nella nuova Unione generale dei lavoratori, nel 1999 si fece eleggere all’Europarlamento nelle liste di Alleanza nazionale. Poi venne la Polverini, governatrice laziale e in seguito deputata berlusconiana, attualmente alla seconda legislatura. “Vero – ribattono i nostalgici della vecchia Ugl – ma ci furono pure gli scioperi generali contro i governi di centrodestra, ci fu pure Gianfranco Fini costretto a parlare di lavoro in ogni comizio, perché sennò gli rompevano le scatole. Adesso, invece, l’Ugl a che serve?”.

 

Di sicuro è servita a Salvini per riuscire, finalmente, a trovare un ponte su cui scendere dalla Padania a piantare le tende nelle province laziali. E da lì a Roma. Ci aveva già provato per altre vie, più impervie e più ardite, il segretario della Lega. Era il febbraio del 2015, quando a Roma lo stato maggiore del Carroccio sfilò insieme alla Meloni e ai leader di CasaPound, i fascisti del terzo millennio. Il sole delle Alpi accanto al tricolore, il leone di San Marco che sventolava vicino alle bandiere blu con le tre spighe di grano giallo, realizzate in tutta fretta per sostituire quelle della tartaruga con le frecce, evidentemente ritenuta poco opportuna perfino da quel nazionalista che s’apprestava a diventare Salvini. Non funzionò: un po’ perché quell’eccessiva vicinanza con la destra estrema spaventò i dirigenti e gli elettori lumbàrd, un po’ perché Simone Di Stefano e gli altri camerati romani, quelli con cui pure Salvini andava a cena, vedevano come un tradimento al sommo credo qualsiasi compromesso politico, qualsiasi mediazione fatta per governare. Ché poi a Salvini quello interessava. E infatti l’incistamento in terra romana è stato rimandato, fino a trovare, proprio nell’Ugl, il tronco per l’innesto giusto. E questa svolta moderata, Durigon la spiega così: “Se negli anni scorsi la Lega nel Lazio era vista con degli accenti radicali, oggi siamo rappresentativi del volere della gente. Adesso, il messaggio che lanciamo ha raggiunto senza dubbio un elettorato anche moderato che non ha più un riferimento politico e si affida alla Lega senza alcuna remora. E’ anche questa la forza di Salvini”. E insomma “noi siamo una forza che cerca di dialogare con tutti. Essendo arrivati oltre la soglia del 30 per cento è normale che siamo diventato attrattivi anche per moderati, soprattutto per quanto riguarda politica economica e welfare”.

 

Federico Iadicicco (foto Imagoeconomica)  

“Puntiamo a Roma. La Raggi è una marxista inadeguata”. Ma il sogno di Salvini sul Campidoglio rischia di creare tensioni nel governo

“Puntiamo al ceto medio”, aggiunge, in tono più esplicito e arrembante, Federico Iadicicco. Quarantaquattro anni, romano, imprenditore impegnato nel settore vinicolo (“Passerina del Frusinate”, ci tiene a precisare), pure lui ha cominciato la sua trafila – e a questo punto del racconto, ormai non dovrebbe più sorprendere – nell’Ugl. “Tra il 2000 e il 2005, sì. A Durigon mi lega un’amicizia che nasce proprio in quegli anni”. Militante integralista del Movimento Pro Vita, cresce in Azione Giovani, dove incontra Zicchieri (“Lui era il punto di riferimento a Latina, io nel direttivo nazionale”), poi da An al Pdl, dal Pdl a FdI, dopo la fallimentare candidatura alle regionali del 2013. Il passaggio alla Lega avviene d’estate. L’ultima. E’ l’inizio di luglio quando scrive una lettera pubblica per dare conto del suo addio: “Decisione sofferta, direi soffertissima, ma allo stesso tempo giusta, anzi giustissima”. E repentina, pure, viene da dire: almeno a giudicare dalla sua biografia non ancora aggiornata sul suo sito e sul suo profilo Twitter, che ancora lo certificano “dirigente romano di FdI”. In effetti è successo tutto molto in fretta. “E’ successo – spiega Maurizio Politi, neo leghista dell’Aula Giulio Cesare, fedelissimo di Iadicicco – che Fratelli d’Italia è l’ultimo partito ideologico in un’Italia che è ormai postideologica. E non funziona più: è il 2018 e tengono ancora la fiamma tricolore nel simbolo. Ma dai”. E non che non sia accettabile, come spiegazione: ma lo stesso non ci si capacita di come, Politi e compagni, di questa eccessiva ideologicità si siano accorti solo ora, dopo avere accettato incarichi e candidature con la Meloni per anni. E anzi, a sentire gli uomini più vicini alla leader di FdI, proprio l’assegnazione di seggi non troppo sicuri avrebbe spinto Iadicicco al risentimento più aspro. A lui è stato dato quello del Gianicolense: avversario diretto, sull’uninominale del Senato, di Emma Bonino, e senza paracadute nei listini del proporzionale. Una condanna alla sconfitta certa, nella Roma del pieno centro. “E’ che di seggi blindati non ce n’erano per nessuno, in città”, correggono i vertici di FdI. Come che sia, lui non deve aver gradito, e ha organizzato un piccolo esodo.

 

Insieme a lui, infatti, si ammutina un nutrito manipolo di esponenti della destra romana all’interno del Raccordo. “So’ ragazzi miei”, dice lui ora, con un esibito autocompiacimento. “Li ho cresciuti io”, aggiunge. “Una penosa operazione di calciomercato: è per questo che hanno tradito”, sbuffano di rabbia gli uomini rimasti accanto alla Meloni. “Tradito? Io so’ fedele solo a mia moglie Ilenia”, ribatte lui. Ed è un’acidità di commenti, da una parte e dall’altra, che dimostra come la rabbia non sia ancora stata smaltita.

 

Ci provò con CasaPound nel 2015 a sbarcare a Roma. C’è riuscito adesso attraverso l’Ugl. “E ora puntiamo al ceto medio”

“Ci siamo fidati di quello che diceva Federico”, conferma, con la devozione del soldato verso il comandante, Politi. “E’ anche grazie a lui che, come Lega, vogliamo dare rappresentanza ai conservatori romani, stringere i rapporti col mondo cattolico”. Che a dire il vero, però, di questi tempi è assai critico con Salvini e la sua truce politica securitaria e anti migranti. Ride, Politi, ma con una certa perentorietà. “I cattolici non sono certo rappresentanti da Avvenire e Famiglia cristiana. E per capirlo basta vedere le copie che vendono questi giornali”. E così negli stessi giorni in cui Iadicicco scriveva la lettera di commiato, con tempismo perfetto Politi, trentaquattrenne ex finiano ed ex berlusconiano, quindi meloniano, annunciava il suo abbandono del gruppo consiliare di FdI a Palazzo Senatorio: un mese nel bagnomaria del Gruppo misto, poi l’approdo definitivo nella Lega. Obiettivo? “Mandare a casa Virginia Raggi, la peggiore sindaca della storia di Roma”, dice al Foglio. “E’ più marxista del Pd”. Nientedimeno? “Sì, perché il marxismo è un germe, non una ideologia. E lei ce l’ha dentro”. E insomma, “andiamo alla conquista di Roma”, sentenzia Durigon.

 

Per farlo, bisognerà però attrarre non solo “i voti di chi ha sempre votato per il centrodestra”, ma anche quelli dei grillini delusi. Flavia Cerquoni ha trentun anni, è consigliera al settimo municipio. “Ha preso ottomila voti alle scorse regionali”, ci dice Politi parlando di lei, pur avendoci da poco detto che “il carro della Lega è un carro che si spinge, non un carro su cui si sale”, e che dunque “Matteo” vuole solo “militanti e attivisti, non signori delle tessere”. Fascino discreto delle preferenze: nulla per cui scandalizzarsi. “Sì, risultato lusinghiero: ottomila voti”, ribadisce la Cerquoni, ignara che noi già sappiamo. Di destra da sempre, fin dai tempi del suo impegno in Azione Universitaria a Tor Vergata, alle scorse regionali è stata candidata pure lei con FdI. “Poi ho seguito Iadicicco: devo tutto a lui”, racconta. E prosegue: “Sì, ci sono tanti elettori del M5s che hanno una estrazione di destra sociale: vogliamo calamitarli, specie qui a Roma – dice lei, che vive a San Giovanni e fa la consulente legale – dove l’amministrazione Raggi dimostra di essere fallimentare”. E per questo anche tra gli adolescenti bisognerà pescare. E per questo anche alcuni esponenti di Azione giovani sono stati trascinati nell’avventura salviniana: tipo Edoardo Arrigo.

 

Ma non rischierà d’incrinare gli equilibri del governo gialloverde, questa opposizione leghista alla sindaca grillina della Capitale? “L’alleanza che regge l’esecutivo Conte si fonda su un contratto”, puntualizza Durigon. “A livello locale abbiamo la nostra visione. Autonoma. Critichiamo la Raggi a ragion veduta. Roma ha bisogno di cambiare marcia e deve, nel più stretto giro di tempo tornare ad avere i servizi degni della città più importante al mondo”. Ma non c’è solo il Campidoglio da espugnare. “Auspico la caduta della giunta Zingaretti il prima possibile”, dice Durigon. “Vogliamo portare definitivamente il Lazio ad avere un vero cambiamento che solo la Lega e Matteo Salvini possono dare”. Zicchieri, più brutale: “Un candidato leghista alla regione? Assolutamente sì. Ma dobbiamo costruire un percorso serio”.

 

 

Matteo Salvini e Barbara Saltamartini (foto Imagoeconomica) 

 

Si comincerà oggi (sabato 29 settembre ndr), a Latina. Dove ci sarà una buona parte dello stato maggiore del Carroccio. Ci sarà Barbara Saltamartini, ex aennina, romana, che il salto nella Lega l’ha fatto nel 2015 – praticamente in tempi non sospetti, quando ancora c’era il Nord nel nome e nel simbolo del partito – e che oggi è presidente della commissione Attività produttive a Montecitorio; e ci sarà pure Umberto Fusco, nativo di Latina ma da sempre attivo nel Viterbese, neo senatore del Carroccio. E’ stato lui, insieme a Zicchieri, a volere fortemente anche Susanna Ceccardi, sindaca leghista di Cascina e da poco promossa a consigliera politica del Viminale, modello per chiunque voglia espugnare feudi ostili – specie se rossi – e consegnarli in dote al “Capitano”. Che arriverà, pure lui, per il gran finale della festa. Dovesse arrivarci un po’ sovrappensiero, magari stanco dalle veglie sopportate per stilare il Def, nei cartelli della via che da Roma lo condurrà a Latina, potrebbe capitargli perfino di leggere, d’improvviso, il nome che rievoca il sacro pratone di Pontida. Settecento chilometri più a sud, certo: ma in fondo la differenza è in una lettera soltanto.