Daniele Pesco (foto LaPresse)

Deficit, ma con juicio

Valerio Valentini

“Bene il 2,4. Ma se non saremo efficaci, arriveranno tagli dolorosi”. Parla Pesco, uomo dei conti del M5s al Senato

Roma. Esordisce con un’enfasi che parrebbe quasi eccessiva: “È ora che cominci la sfida vera, è il momento di essere coerenti e affidabili”. E si capisce subito, però, che nelle parole di Daniele Pesco, senatore del M5s refrattario ai facili entusiasmi, presidente della commissione Bilancio che sta per ricevere il testo del Def, c’è come un richiamo alla realtà, un invito alla cautela, a se stesso e ai suoi colleghi, che accompagna l’avvio della sessione di bilancio. “La battaglia da vincere – dice – si apre adesso. Dobbiamo da un lato dimostrare perseveranza e capacità di fare per tranquillizzare gli investitori che ci osservano con molta attenzione, dall’altro rendere il più produttivi possibile gli investimenti”. Altrimenti? “Altrimenti vale quello che ha detto il ministro Tria: si dovrà intervenire con dei tagli sulla spesa”.

   

E qui sta il punto, però: se si tratta di sforbiciate alla spesa improduttiva, perché non farli ora? Se invece, come pare, quello di Tria è un avviso ai naviganti, vuol dire che la prospettiva è fosca. Pesco coglie al volo l’allusione: segno che, evidentemente, anche all’interno del M5s c’è chi tiene bene a mente i possibili rischi dell’azzardo sui conti. Ma siccome la parola, al momento, è impronunciabile, la briga di evocarla ce la prendiamo noi. Tria paventa l’arrivo della Troika? “Evitiamo allarmismi. Ma diciamolo chiaramente: se non saremo credibili e rigorosi, a quel punto ci saranno delle manovre dolorose. Abbiamo deciso di rompere la continuità con le strategie macroeconomiche del recente passato, ma siamo consapevoli delle possibili ricadute nel caso di cicli economici peggiori del previsto. Non è quello che vogliamo, e intendiamoci: io sono sicuro che alla fine non si arriverà a quegli scenari. Ma è bene essere tutti consci della posta in palio”.

   

Essere bravi, dunque, in cosa? “Nel mettere in pratica le misure nel modo più funzionale all’economia: e in primo luogo il reddito di cittadinanza”. Ed è convinto che riuscirete a convincere analisti e investitori? “Dobbiamo far capire che non è una misura di mero assistenzialismo, e che anzi attraverso il potenziamento dei centri per l’impiego e l’accompagnamento al reinserimento nel mercato del lavoro puntiamo a riqualificare la manodopera, specie quella giovanile, e dunque a potenziare la produttività delle imprese”.

   

Obiettivo ambizioso, visto che per ora del reddito di cittadinanza si parla perlopiù come di una social card che, se andrà bene, potrebbe rilanciare un po’ la domanda interna. E che vada bene non è neppure detto. Ma è qui che Pesco, 44 anni e una laurea in Ingegneria edile al Politecnico di Milano, come rivendicando le sue origini brianzole, la sua attenzione per il mondo dell’impresa lombardo, si fa rigoroso: “Dovremo essere molto severi nei controlli. Non tollereremo in alcun modo che ci sia chi si approfitta del reddito di cittadinanza, considerandolo magari un incentivo per lavorare in nero. Dovremo attivare dei controlli stringenti, altrimenti rischiamo di fare una manovra che non fa bene al paese”. Un avvertimento per chi spera di restare a casa e beneficiare del sussidio? “Il reddito di cittadinanza è una misura onerosa. Così come è impegnativa per il governo, dovrà essere impegnativo per i cittadini poterne usufruire: servono parametri stringenti, e soprattutto verifiche”. E la social card è una buona idea? “E’ solo un’ipotesi, l’importante è far arrivare 780 euro nelle tasche di persone che in passato hanno stretto la cinghia e ora possono cominciare a spendere”.

    

Tutti questi, però, sono buoni propositi. Per ora nel Def di investimenti e misure per i giovani sembra esserci poco. E quel poco è pure vago. “Ci si lavorerà in Parlamento. Nel bilancio dello stato ci sono decine di miliardi di residui di stanziamento: solo quelli del fondo di coesione sono 17, e attendono di essere sbloccati”. Non siete i primi a dirlo. “Non sarà facile, certo, ne siamo consapevoli. Ma bisogna partire da lì: l’indebitamento che abbiamo ottenuto dovrà essere sfruttato al meglio e in modo intelligente”.

   

Sta di fatto che quello del 2,4 è stato uno strappo. “Ma no, non lo definirei così”. Lei stesso, però, aveva auspicato un rispetto dei vincoli europei suggeriti pure da Tria. “Diciamo che si è deciso di ottenere il massimo di spazio di manovra possibile, ecco”. Giancarlo Giorgetti dice che si potrebbe anche tornare indietro, se arrivassero segnali minacciosi dai mercati. “Non credo sarà necessario, al momento”. Di qui a un mese però ci sarà anche il giudizio di Moody’s e Standard & Poor’s: un declassamento pare quasi scontato. “Non lo ritengo inevitabile, anzi. Spero però che le società di rating siano oneste, con noi e con se stesse, e che riconoscano come ora ci siano le condizioni per fare bene, per superare la dottrina dell’austerity”. A dire il vero, con la sospensione imminente del Quantitative easing, e con le tensioni sui mercati internazionali, non sembra il periodo migliore per lanciarsi in mosse azzardate. “Finora il rigore non ha pagato, serve coraggio. La sfida vera, ve l’ho detto, comincia adesso”.