“Parlo sempre a nome della Lega", ci dice Borghi
Il presidente della commissione Bilancio della Camera dice che "non cerchiamo l’eurexit, ma lo mettiamo in conto. Giorgetti? Si ricordi del Cav.”
Roma. Arriva alla buvette dopo pranzo, con l’aria di chi in fondo sa di averla fatta grossa. “Dai, chiedetemi qualcosa così faccio crollare anche la sterlina”, scherza. Poi però Claudio Borghi si fa serio, appena gli si chiede se non crede di avere fatto un danno innanzitutto al suo partito, ribadendo di prima mattina, a “Radio Anch’io”, il suo credo antieuro. “Ma vi pare che se non fossi in sintonia con la linea della Lega io verrei mandato in giro a parlare in tv e alla radio quasi ogni giorno?”. In verità non sono pochi i colleghi del Carroccio che trattengono a stento una certa insofferenza per questa sua eccessiva libertà. “Ma figuriamoci”, ribatte lui, quasi a rivendicare il suo ruolo di presidente della commissione Bilancio, di responsabile economico di Matteo Salvini. E allora dalla tasca della giacca sfila il tablet e mostra il messaggio ricevuto lunedì sera dall’Ufficio di comunicazione della Lega. “Visto? Sono loro che mi chiedevano di andare a ‘Radio Anch’io’. Così come mi hanno chiesto di tornare a Piazza Pulita, giovedì, ad affrontare Padoan”.
Ma insomma ci sta dicendo che anche Salvini condivide le sue idee? “Vedete voi”. E anche Salvini cerca l’incidente grande, l’inciampo che ci obblighi, come lei in parte auspica, a uscire dall’euro. “Non lo cerchiamo, l’incidente. Ma ovviamente mettiamo in conto tutti i possibili rischi che questa trattativa con Bruxelles può provocare”. E però, con una leggerezza destabilizzante, nel mentre che allude a svolte irreversibili sulla moneta, al contempo si mostra sereno. “Non a caso ho comprato Btp in questi giorni. L’ho fatto anche stamattina”.
Ci sta speculando, allora, onorevole Borghi? “No. Anche perché ho disposto gli acquisti di titoli decennali prima della mia intervista in radio. Semmai sono stato un cretino. Ma resto convinto che un tasso del 3,5 per cento sia esageratamente alto, e dunque si tratta di un investimento ad alto rendimento. E anche se si dovesse uscire dall’euro, non credo si svaluterebbero”.
Giancarlo Giorgetti predica prudenza, però. “Non è come lo descrivete: vi piace raccontarlo come il moderato, ma anche lui è convinto che si debba andare fino in fondo”. Fin dove, cioè, esattamente? “Fino a ottenere questo 2,4 per cento, intanto”. Veramente lui si dice pronto a cedere qualcosa, sul deficit, se i mercati dovessero mostrarsi troppo ostili. “Non sono affatto d’accordo. Significherebbe tradire un mandato elettorale chiarissimo. Io non mi squalifico di fronte a chi mi ha dato il suo voto per cambiare le cose”.
Giorgetti invita pure a ricordare quello che avvenne nel 2011, e a evitare di ripetere gli stessi errori. “A me la memoria del 2011 insegna soprattutto che non bisogna chinare il capo. Berlusconi eseguì tutti gli ordini di Bruxelles, compreso il pareggio di bilancio in Costituzione”. Fu Giorgetti, il relatore di quella legge. “Lo so bene. E so anche come andò a finire: Berlusconi ne uscì politicamente distrutto e l’economia italiana finì comunque al collasso. Per questo noi non arretriamo”.
A proposito di Costituzione: anche il capo dello stato invoca prudenza sui conti. “Io Mattarella non riesco neanche più a commentarlo. Dovrebbe essere garante della volontà popolare. E invece mi pare espressione di un fantomatico partito eurista”. A gennaio finisce il Quantitative easing, intanto. È davvero il tempo giusto per gli azzardi, questo? “Certo. Quei signori a Bruxelles devono capire che se salta l’Italia va tutto per aria. Non conviene a nessuno”. Neanche a noi. “Ma non possiamo essere noi a cedere. Lo spread non può valere più degli impegni presi con gli elettori. Vale anche per il M5s”.
Parla del reddito di cittadinanza? “A me quella misura non piace per niente. Ma è nel contratto. Si dovessero trovare le coperture solo per le nostre riforme, basterebbe il 2 per cento di deficit. Ma they exist: e non gli si può negare di onorare le promesse elettorali. Capisco che c’è chi vorrebbe mandarci a casa, ma non funziona così”. Anche lei crede che si faccia il tifo per la Troika? “Può darsi, ma ci servirebbe un governo che la chiama. Questo non lo farà mai”. E un governo tecnico? “Bah, possono anche trovare il Cottarelli di turno, ma farebbe comunque fatica a ottenere la fiducia delle Camere. E poi sia chiara una cosa: io, da presidente della commissione Bilancio, mai mi piegherei a certe imposizioni”.