Il congresso del Pd è sempre più affollato (i rischi della frammentazione)
L’assenza di una candidatura forte, alla Renzi, ha spalancato le porte a tutti, al punto che potrebbero esserci tante candidature, persino troppe
Roma. Le candidature al congresso del Pd, piano piano, lievitano come l’impasto per la pizza. Non c’è solo Nicola Zingaretti in campo, ma anche Matteo Richetti. “Non ha senso ora un partito che prova a parlare a tutti contemporaneamente, mettendo tutti sullo stesso piano, oggi l’emergenza è rappresentata dalle nuove generazioni”, ha detto in un’intervista al Corriere della Sera. Il presidente della Regione Lazio e il senatore emiliano potrebbero non essere gli unici, visto che Matteo Renzi è ancora alla ricerca di un suo candidato ufficiale. L’insistenza su Graziano Delrio e Marco Minniti – che per settimane hanno opposto una cortese resistenza all’ex segretario del Pd – sembra essersi un po’ smorzata. L’assenza di una candidatura forte, alla Renzi, ha naturalmente spalancato le porte a tutti, al punto che potrebbero esserci tante candidature, persino troppe. Stando allo statuto del Pd, infatti, il congresso si svolge in più fasi. Il primo giro serve a filtrare i candidati: “Risultano ammessi all’elezione del segretario nazionale i tre candidati che abbiano ottenuto il consenso del maggior numero di iscritti purché abbiano ottenuto almeno il cinque per cento dei voti validamente espressi e, in ogni caso, quelli che abbiano ottenuto almeno il quindici per cento dei voti validamente espressi e la medesima percentuale in almeno cinque regioni o province autonome”. Non è finita: “Qualora sia stata eletta una maggioranza assoluta di componenti l’assemblea a sostegno di un candidato segretario (501, ndr)”, il presidente del Pd lo proclama eletto. In caso contrario si procede con un ballottaggio a scrutinio segreto tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di delegati. Al congresso del 2009 – vinto da Pier Luigi Bersani – Massimo D’Alema spinse per far candidare Ignazio Marino, a quei tempi sponsorizzato da Goffredo Bettini e Michele Meta, per timore che il congresso potesse vincerlo Dario Franceschini. In caso di spareggio, infatti, Bersani avrebbe vinto con i voti di Marino (non fu necessario). Stavolta però non è così. Non c’è nessuno che prova a “governare” il congresso e c’è il bomba libera tutti. Dunque le candidature potrebbero continuare a lievitare.
Elisabetta Gualmini, vicepresidente della regione Emilia-Romagna, ci sta pensando. Idem il suo presidente Stefano Bonaccini. A Tommaso Nannicini, responsabile programma del Pd, è stato chiesto da una parte del suo partito – il gruppo di Libertà Uguale guidato da Enrico Morando e Stefano Ceccanti – ma Nannicini ha spiegato di voler aiutare e sostenere qualcuno senza però correre in prima persona.
Nei prossimi giorni potrebbero arrivare altre candidature, come quella di Cesare Damiano (forse già oggi). Prossima settimana potrebbe rompere gli indugi anche Debora Serracchiani, mentre è attesa anche la candidatura di Roberto Giachetti, che già in un’intervista al Foglio aveva sviluppato un primo ragionamento programmatico, invocando quanto prima la data del congresso. Un simile spezzettamento però potrebbe portare allo scenario descritto prima e al voto in assemblea fra i primi due ad aver raccolto più delegati. Tutto il contrario di quanto ipotizzato e auspicato da Delrio, che vorrebbe una candidatura untaria, mentre Matteo Ricci, responsabile Enti locali, aveva rilanciato spiegando perché sarebbe meglio fare il congresso dopo le Europee e proseguire intanto con Maurizio Martina (il segretario uscente è un altro possibile candidato) per affrontare la nuova tornata elettorale. Insomma nel Pd c’è molto movimento ma, dice al Foglio un parlamentare renziano, “come diceva il professore di ginnastica ‘marciate sul posto’. Finché Matteo (Renzi, ndr) non decide come intende giocare questa partita, tutto è fermo. E’ finto movimento”. E’ movimento senza palla.