Di Maio a Berlino fa il socialdemocratico, ma attacca l'Ue
Il ministro sbandiera comprensione assoluta con l'omologo tedesco, ma guai quando si parla di spread
Berlino. E' partito con un tono rassicurante ed europeista, a tratti addirittura merkeliano, il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio nel suo incontro con la stampa italiana a Berlino. Di Maio ha parlato ai giornalisti dopo l’incontro con il primo dei suoi omologhi nel governo tedesco, il ministro socialdemocratico per il Lavoro e gli Affari sociali Hubertus Heil, al quale “ho spiegato che vogliamo rifarci al sistema di politiche per il lavoro che c’è in Germania”. Di Maio ha poi aggiunto che Heil “con sommo stupore ha dichiarato di aver finalmente capito che il reddito di cittadinanza non è uno strumento assistenziale”, ma l’equivalente italiano del sussidio Hartz IV. Tutte le conoscenze dei centri per l’impiego della Repubblica federale saranno quindi importate nel Belpaese, ha detto fiducioso il Giggino nazionale, sbandierando l’approvazione dei socialdemocratici tedeschi – “io ho trovato un clima di grande cooperazione e siamo d’accordo nel mettere il tema dei diritti sociali nell’agenda dei prossimi semestri europei”. Il ministro Heil non avrebbe fra l’altro mai accennato alla tenuta dei conti pubblici italiani né alla questione rimpatri dei richiedenti-asilo, ha poi aggiunto il vicepresidente del Consiglio.
Rincuorato del sostegno di Berlino, Di Maio ha assicurato che il reddito di cittadinanza sarà iscritto nella Legge di bilancio, salvo la necessità di varare un decreto aggiuntivo, dopo l’approvazione della legge. Quanto all’incontro in serata con la sua altra controparte, il ministro federale dell’Economia e braccio destro di Angela Merkel, Peter Altmaier, Di Maio ha detto che “intendo parlare di economia 4.0” e di come il governo Conte intenda dare vita a un fondo venture capital pubblico-privato entro l’anno “così che molti startupper italiani potranno tornare in Italia”.
Insomma, a sentire Di Maio fra la vecchia guardia tedesca, europeista e rigorista, e il nuovo esecutivo gialloverde euroflessibile su Dublino come sui criteri di Maastricht, sarebbe scoppiato amore a prima vista, tanto più che “io ho sempre detto che l’Italia non vuole uscire né dall’euro né dall’Unione europea”. La chiave di successo di un’Europa che si annuncia “diversa” è trovare un compromesso fra “le forze politiche emergenti che guadagnano sempre più consenso” (leggi: noi), e “forze politiche tradizionali che non ne guadagnano” (leggi: loro).
Guai però a insistere sul tasto spread, sul futuro dei bot-people o di chi ha investito in obbligazioni finanziarie messe a dura prova da una Piazza Affari sempre più traballante. “Vedere il presidente del fondo salva-stati fare interviste a Bloomberg proprio in un giorno in cui ci potevano essere delle difficoltà per l’Italia e dire che esprime forti preoccupazioni per le banche italiane, sicuramente è singolare”. Insomma, le tensioni ci sono ma sono alimentate dal solito complotto dei poteri forti. E poi la conclusione apodittica: “Se si mette in contrapposizione il mercato con i diritti dei cittadini, il mercato perde sicuro”.