Le bizzarre congetture di Galli della Loggia sulla vittoria dei populisti
Lega e M5s non hanno rovesciato la Prima Repubblica. Ne hanno raccolto l'eredità peggiore: l'assistenzialismo
Il professor Ernesto Galli della Loggia (Corriere 8 ottobre) ha deciso di investirsi in una missione: fornire, con gli ottimi mezzi della sua professione, una “narrazione” (oggi si dice così) al raffazzonato, incolto e, per alcuni suoi (del professore) colleghi, barbarico populismo di governo italiano. Una narrazione che li nobiliti. E che li proietti sullo sfondo della grande storia. Perché i populisti hanno vinto in Italia (e, per ora, solo in Italia)? Il professore azzarda una risposta ardita, sorprendente, inaspettata. Lui applica all’intero '900 italiano il fortunato schema interpretativo che, dalla vittoria di Trump, ha accompagnato l’avanzata populista in Occidente - la rivolta dell’elemento “autenticamente popolare” al tradimento delle èlites - è diventata la spiegazione del populismo.
L’Italia sarebbe stata egemonizzata, per tutta la sua storia del dopoguerra, da due avanguardie elitarie (Pci e Dc), portatrici entrambe di una finalità estranea ed esterna, “antropologicamente e culturalmente”, all’autentico “elemento popolare italiano”. Secondo il professore non sarebbe stato così in altri paesi. In primo luogo, quelli che hanno sperimentato l’esperienza culturale e di governo delle grandi socialdemocrazie. Un azzardo. Le grandi socialdemocrazie europee e il partito democratico Usa sono l’epicentro della dissoluzione populista del consenso nelle democrazie occidentali. L’essere stati socialdemocratici, purtroppo, non preserva dall’assalto populista più che l’aver sperimentato il Pci e la Dc.
Quella di Galli della Loggia è una bizzarra e forzata congettura. Le anomalie italiane sono tante e potenti ma sulla crisi del consenso liberaldemocratico l’Italia segue il trend dell’Occidente. Insomma: la spiegazione del professore non spiega. Ma perché Dc e Pci avrebbero, secondo il professor della Loggia, “tradito” il popolo e motivato, dopo 70 anni, la sua rivolta (per tramite dei “barbari” che li rappresentano oggi)? Uno si aspetta una sofferta e informata disamina storica, sociologica, economica del secolo italiano, delle classi dirigenti post-belliche, degli errori (e dei successi) dello sviluppo italiano dei primi 60 anni della Repubblica, delle tare e delle anomalie che ci hanno consegnato l’Italia attuale: paese ad elevati consumi ed elevata protezione sociale (in cosa, caro Galli della Loggia, Pci e Dc hanno dato, “all’elemento autenticamente popolare”, meno di una grande socialdemocrazia?) ma fortemente indebitato e dalla crescita debole.
Forse è qui che andrebbe ricercata l’anomalia italiana: nei caratteri del nostro sviluppo, nel “riformismo mancato” della storia italiano, nella torsione assistenziale e concessiva dell’uso, ad esempio, del Bilancio pubblico (quello che all’epoca del Pci e della Dc, si chiamava Finanziaria). E l’esatto opposto e contrario di ciò che azzarda il professore: la negazione e il contrasto, da parte dei due partiti “avanguardia intellettuale”, chierici separati, delle “rivendicazioni” del popolo, sprezzantemente liquidate come “corporative”. Che colossale travisamento! E’ vero l’opposto.
La politica italiana della prima Repubblica ha lasciato in eredità alla seconda (e alla terza, quella dei populisti) l’eredità contraria: l’uso del bilancio pubblico come collezione di rivendicazioni “corporative”, somma dei compromessi tra le istanze innumerevoli di protezione, l’uso della spesa pubblica come anticiclo occupazionale, la spesa a deficit e a debito come Keynesismo de’ noantri. Che ci ha fatto nazione più indebitata del mondo e paese a rischio per qualunque investitore e prestatore di danaro. Il professor Galli della Loggia descrive invece un paese inesistente e una realtà sottosopra: quella di “rivendicazioni corporative”, bisogni popolari, spese pubbliche necessarie concultate da partiti, elitari e insensibili. E’ così che il professore di storia spiega il colossale debito pubblico italiano, la croce di tutti i nostri problemi?
E’ vero il contrario: l’assistenzialismo, l’uso non rigoroso ed elettorale dei conti pubblici, il dirittismo (l’idea distruttiva secondo cui ogni “rivendicazione corporativa popolare è un diritto”) l’idea che si soddisfano le richieste “popolari” trasferendo alle generazioni future il costo della soddisfazione (pensioni anticipate) sono il lascito vero del passato politico italiano.. Altro che Dc e Pci partiti elitari. Erano popolari. E sin troppo.
I nuovi partiti (lega e 5Stelle) rappresentano, davvero, il rovesciamento, come dice il professore, della lunga storia storia della prima repubblica? Rappresentano davvero, come dice il professore, il popolo stufo delle èlite, che prende nelle mani il suo destino affidandolo ad èlite che (a differenza di Dc e Pci) “ascoltano la base”?
Che penosa, sguaiata e poco nobile rappresentazione (nel senso di favola). Questa classe dirigente populista, effettivamente, è la discontinuità con la storia dei grandi partiti italiani. Ma in quello che è la parte nobile e da rimpiangere della grande storia del dopoguerra (che il professore Galli della Loggia riduce, indegnamente, a dileggio): la statura intellettuale e politica dei suoi protagonisti, l’autorevolezza internazionale, il rispetto di valori repubblicani, l’adesione (sin troppo fideistica) ai principi costituzionali e della convivenza tra diversi, il disegno europeo, la competenza di governo e la natura popolare (quella che Galli della Loggia nega a quei protagonisti) di quei partiti.
Sì professore: in tutto questo i populisti sono la discontinuità (malvagia) della storia delle nostre classi dirigenti. E lei ce lo dovrebbe insegnare. Rispetto però all’essenza del suo ragionamento - far contare le rivendicazioni corporative ed “ascoltare la base” - lei sbaglia: questi sono la continuità esatta della prima Repubblica, l’assistenzialismo. Stavolta però, professore, con un aggravante: che costoro non ci portano solo a più debito. Ci portano a sbattere. Lei capisce (dovrebbe) che il male (storico) del populismo è in questo: il bilancio pubblico (dappertutto e non per vincoli esterni dell’Europa o altri) è, per quasi tutti gli Stati in un’economia globale, obbligato, non libero, non manovrabile a piacimento col deficit e col debito. Per molti versi, piaccia o no, il keynesimo e l’autarchia di bilancio (quella che sognano i populisti incompetenti) è ormai un ricordo del passato. Immaginare, come fa Lei, una politica pubblica che si limiti a dare “voce alle istanze popolari” e alle rivendicazioni “corporative” non è dissennata e avventurista (soltanto). E’ impossibile, velleitaria, bugiarda. E segna davvero lo scadimento (rispetto al passato) etico e culturale dei populisti. E’ incredibile che l’illustre professore di storia finisca per arrabattare un ubi consistam che non sin tiene per i nostri populisti.