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Il paternalismo su come spendere i soldi spiegato con Johnson e le sigarette

Ugo Cornia

Un libro di Giorgio Manganelli, la vita di Samuel Johnson e la sua opinione sulla povertà 

Trovo nella splendida Vita di Samuel Johnson scritta qualche anno fa da Giorgio Manganelli queste belle parole che illustrano l’opinione di Johnson sulla povertà: “Johnson era d’opinione che la severità verso i poveri s’accompagnasse, o seguisse di necessità e indubitabilmente le posizioni politiche dei progressisti whigs; e non si accontentava di dar loro qualche aiuto, ma voleva si divertissero come potevano. Qualcuno dice: perché dare denaro ai mendicanti? tanto lo spendono in gin e tabacco. ‘E perché’, ribatteva Johnson, ‘dovrebbero esser loro negate queste dolcezze dell’esistenza? E’ certo cosa inumana chiudere a costoro ogni strada che porti al piacere che noi giudicheremmo troppo rozza o povera. La vita è una pillola impossibile da ingoiare senza una qualche doratura; ma per il povero non ne vogliamo sentir parlare, e non ci vergogniamo di dirci dispiaciuti, se procurano di togliersi in qualche modo l’amaro dalla bocca’” (p. 23).

 

Poche pagine prima, all’inizio del libro, Manganelli ci racconta di questi due giovani che, diretti verso la grande città, hanno lasciato il loro piccolo borgo. “Avevano un cavallo in due, e si davano il cambio a tirar la cavezza e a star in arcioni; in tasca pochi spiccioli” (p. 11). Insomma, si tratta di spiriti avventurosi. Uno dei due era Samuel Johnson. Perché questi due giovani erano partiti per Londra? “Johnson partiva per Londra per motivi semplici, eterni: era stanco di miseria; voleva sentirsi attorno un mondo più ricco, più vivo, più vario della sua Lichfield, provinciale, virtuosa, pettegola e monotona” (p. 12).

 

Vorrei dire che sono da sempre lontano dalle letture attualizzanti, amo le letture inattualizzanti, o disattualizzanti, dove si respiri un po’ di meraviglia oppure dove si trovi qualcosa di diverso, futili speranze fantastiche di qualcosa di altro (tra viaggi nell’aldilà e avventure di pirati) vissute in pomeriggi mediamente noiosi. Ho quindi citato le righe che precedono non tanto perché siano “così attuali” ma perché le trovo eterne e lessicalmente soddisfacenti. Il mio soddisfacimento è avere una decina di parole che dicono tutto: da una parte la speranza di qualcosa di più ricco, più vivo, più vario, dall’altra qualcosa di più provinciale, virtuoso, pettegolo e monotono, in mezzo la vita come cesso, cioè la pillola da indorare, quella in cui ti siedi da qualche parte e fumi un po’ di sigarette e bevi un bicchierino invece di diventare un serial killer.

 

D’altronde, come faceva notare lo pseudonimo di un mio amico su Facebook, una volta le sigarette non si negavano a quelli che stavano in galera, e la famosa ultima sigaretta non si negava neanche ai condannati a morte. Abolire la pena di morte per me indubbiamente è stato un progresso, ma non implicava necessariamente anche l’abolizione dell’ultima sigaretta. Mi sembra tutto un po’ troppo paternalistico o anche, per le attuali esigenze di politicamente corretto, maternalistico (anche se mia mamma, devo dirlo, tutte le volte che avevo bisogno di soldi per le sigarette mi diceva “ma non ti faranno male?”, ma poi mollava subito i soldi). Quindi si potrebbe anche immaginare questo bancomat in cui l’utente NPRA (nuovo povero relativo assistito), quando va per comprare le sigarette, abbia una vocina, anche magari affettuosa, che dica “ma non ti faranno male tutte quelle sigarette?”, e così via. So che sembra strano, ma io, nella mia vita, ho conosciuto ottime persone che fumavano e persone che, pur non fumando, sono morte ugualmente. Qualcuno mi dirà: “Ma quello fuma e beve con i miei soldi”; “è vero” dico io “ma fuma e beve anche con i miei soldi, e a me va bene così”. Quindi, a questo punto, o facciamo un referendum, oppure la questione rimane sul vago.